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    1. QUARANT’ANNI FA ESPLODEVA LA DISCO-MUSIC DI DONNA SUMMER E DEGLI CHIC, UN BORDELLO DI COLPI D'ANCA E CULI SCOSSI IN UN FORTILIZIO FODERATO DI SPECCHI, FUORI DAL QUALE IL TEMPO, LA SOCIETÀ, IL DESTINO, POTEVANO TENDERE I LORO LEGITTIMI AGGUATI E LA VITA RITIRARE LE SUE PROMESSE. "FUORI", IL DOLORE; "DENTRO", IL PIACERE 2. IL 1974 FU L’ANNO IN CUI LA DISCO DILAGÒ DAI CLUB DI MANHATTAN; E DA LÌ A POCHI MESI, CON UNA RISONANZA SENZA PRECEDENTI, IN TUTTI GLI USA E NEL RESTO DEL MONDO 3. GLI ECCESSI DEI ''NOTTURBINI" ISPIRARONO UN ARTICOLO DEL GIORNALISTA NIK COHN: “TRIBAL RITES OF THE NEW SATURDAY NIGHT” (I RITI TRIBALI DEL NUOVO SABATO NOTTE). DA QUEL TESTO ‘’LA FEBBRE DEL SABATO SERA’’ CHE NEL ‘77, CON JOHN TRAVOLTA DIVENTATO CULT NEI PANNI DI TONY MANERO, CHE TRADUSSE IN IMMAGINI CINEMATOGRAFICHE UN FENOMENO MUSICALE E DI COSTUME. RINASCITA PER MOLTI, PER QUALCUN ALTRO PIAGA SOCIALE E CULTURALE


     
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    LA REGINA DELLA DISCO MUSIC DONNA SUMMER LA REGINA DELLA DISCO MUSIC DONNA SUMMER

    1. 40 ANNI DI DISCO MUSIC - DA UN LOFT NEWYORCHESE FINO AI DAFT PUNK PASSANDO PER TONI MANERO STORIA DI UN GENERE MOLTO ODIATO. E MOLTO BALLATO

    Giuseppe Videtti per “la Repubblica”

     

    Il Natale di quarant’anni fa non fu come tutti gli altri a New York. C’era un suono nuovo nell’aria, cominciavano a chiamarlo disco music. Negli ultimi mesi i club erano spuntati come funghi. Complici invisibili maestri di cerimonia, i disc jockey, la vita notturna era tornata effervescente come negli anni del twist, quando il Peppermint Lounge di Times Square era preso d’assalto dai posseduti del nuovo ballo e dagli immancabili vip — da Jacqueline Kennedy a Greta Garbo.

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    Il 1974 fu l’anno in cui la disco dilagò dai privé e i club underground a tutta Manhattan; e da lì a pochi mesi, con una risonanza senza precedenti, in tutti gli Usa e nel resto del mondo. Gli eccessi e le stravaganze dei nightclubber, un popolo che ormai si muoveva alla controra per la metropoli a tormentare il riposo dei pantofolai, ispirò un articolo del giornalista Nik Cohn sul New York Magazine: “Tribal Rites of the New Saturday Night” (i riti tribali del nuovo sabato notte).

    LA REGINA DELLA DISCO MUSIC DONNA SUMMER LA REGINA DELLA DISCO MUSIC DONNA SUMMER

     

    john travolta febbre sabato sera john travolta febbre sabato sera

    Da quel testo Norman Wexler trasse ispirazione per la sceneggiatura de La Febbre del sabato sera che nel ‘77, con John Travolta diventato cult nei panni di Tony Manero, tradusse in immagini cinematografiche un fenomeno musicale e di costume. Rinascita per molti, per qualcun altro piaga sociale e culturale.

     

    David Mancuso, il dj il pioniere della disco, non avrebbe mai immaginato che quei private party a suon di Soul Makossa che cominciò a organizzare dal febbraio 1970 nel suo Loft al numero 647 di Broadway (poi costretto dalle proteste dei vicini a traslocare al 99 di Prince Street), poco più di duecento metri quadrati, avrebbero generato quel pandemonio. Il locale, il cui motto era “Love saves the day”, diventò il rifugio della clientela gay, stanca di essere derisa e magari anche ammanettata nelle discoteche straight, dove ancora il ballo tra maschi era considerato criminale.

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    Facevano la fila al Loft, un piccolo business che fece gola anche a imprenditori facoltosi. Vecchi teatri newyorchesi — alcuni con una storia che risaliva ai ruggenti anni Venti (quando il ballo epidemico era il charleston) — si ribattezzarono con nomi ammiccanti per ospitare il popolo più glitterato della storia della dance music: Paradise Garage, The Gallery, The Saint, il preferito dai gay, e a Chicago il Warehouse, culla della house music e regno del leggendario dj Frankie Knuckles.

     

    studio cinquantaquattro club sfrenato studio cinquantaquattro club sfrenato

    Lo stile musicale — che riconosce in Barry White il suo vate, in Gloria Gaynor la sua vestale e in Donna Summer la sua regina — è ben raccontato nel volume patinato di Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano La Disco — Storia illustrata . Corredato da una prefazione di Bob Esty (rinomato produttore dell’etichetta specializzata Casablanca)

     

    studio cinquantaquattro club senza inibizioni studio cinquantaquattro club senza inibizioni

    e da un’intervista a Giorgio Moroder, l’italiano che insieme a Nile Rodgers è oggi il più riverito dei sopravvissuti all’epidemia, il libro è il più esauriente compendio sulla produzione di un genere trascurato dalla critica e apertamente avversato dall’intellighenzia (che però non faceva segreto di trovare irresistibili le notti a base di sesso e coca sotto la mirror ball dello Studio 54).

     

    Nel 1975 Love To Love You Baby, l’orgasmodisco di Donna Summer abilmente architettato da Moroder in Germania, tutto sospiri e sintetizzatori, fece scalpore almeno quanto la lasciva Je t’aime … moi non plus della coppia Gainsbourg-Birkin, che nel ‘69 esortava i ballerini a più lenti corpo-a-corpo.

     

    studio cinquantaquattro il clun piu cool dei settanta studio cinquantaquattro il clun piu cool dei settanta

    Era l’inno ipnotico, sensuale e robotico che la generazione disco andava cercando, ma anche il brano che scatenò la reazione di chi aveva già mal digerito l’annacquamento elettronico del funk negli anni (proto-disco) del Philadelphia Sound di Jerry Butler e Harold Melvin and the Blue Notes.

     

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    La reazione degli ex figli dei fiori e di chi aveva giurato fedeltà al rock fu immediata. A New York i nuovi club spazzavano via inesorabilmente quelli che avevano fatto fortuna negli anni d’oro del folk revival; dove erano passati Dylan e Pete Seeger ora una folla di nuovi dandy si scatenava al suono di una musica che mai nel Novecento era stata così spudoratamente edonistica, futile e in qualche caso anche più scema di Loco Motion o Da Do Run Run.

     

    politici attori e artisti allo studio cinquantaquattro politici attori e artisti allo studio cinquantaquattro

    L’Emporium di Bleecker Street, nel Greenwich Village, che vendeva bootleg e cimeli rock, fece incassi insperati smerciando t-shirt bianche con le scritte “Disco Sucks”, la musica disco fa schifo, oppure “Death to Disco”, morte alla disco; slogan che in molti casi accompagnarono fino alla fine degli anni Settanta vere e proprie campagne xenofobe e omofobiche all’indirizzo di gay e/o ispanici, i leader della disco revolution.

     

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    L’industria, al contrario, non esitò un istante a trarre profitto dal fenomeno: di disco si macchiarono anche il punk (Debbie Harry), il rock (David Bowie, il più lungimirante, strizzò l’occhio alla dance già con ‘’Young Americans’’) e persino gli evergreen (Liza Minnelli).

     

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    Quella musica, considerata contagiosa come la peste e culturalmente degenere, salvò il culo ai Bee Gees, ex enfant prodige in caduta libera riportati al top dalla colonna sonora di Saturday Night Fever , un repertorio che stanno riciclando da quasi quattro decenni ed è tuttora una risorsa indispensabile del music business; i riff degli Chic sono stati conditi in salse diverse da Prince e Madonna (che all’epoca ebbe una relazione sentimentale e artistica col dj John Jellybean Benitez), George Benson e Rolling Stones, Herbie Hancock e Lady Gaga, Daft Punk e Pharrell.

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    Il leggendario Studio 54 aprì i battenti nel 1977, in piena disco fever — non più una febbriciattola ma un ceppo influenzale più resistente dell’asiatica. La discoteca, nel cuore di Broadway, realizzò su larga scala il sogno di Mancuso: coinvolgere una popolazione cosmopolita, interraziale, transgender e transgenerazionale.

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    Non c’erano soltanto, come la storia tramanda, Warhol e Jagger, Diana Ross e Salvador Dalí, Jackie Onassis e Diana Vreeland, Truman Capote e Martha Graham, Baryshnikov e Divine (il travestito diventato simbolo della trasgressione disco), ma anche un folto pubblico di paganti rigorosamente selezionato alla porta non in base al ceto ma all’apparenza: “everybody is a star!”.

     

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    Per noi che arrivavamo dalle province d’Europa in cappotto e dolcevita non c’era modo di ottenere il visto d’ingresso. Un gigante nero che masticava un po’ d’italiano ci indirizzò a uno scantinato sulla Nona Avenue dove a ottanta dollari (allora il biglietto di un concerto era di cinque) liquidavano gli invenduti di Charivari, la boutique delle grandi firme.

     

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    Ricordo una notte di trentacinque anni fa in cui sotto una esagerata bufera di neve, superbo in un Versace blue di Cina più impunturato della tuta di un astronauta (che mai arrivò in Italia), feci il mio ingresso allo Studio. All’interno del cubo, Liz Taylor festeggiava con i Village People il compleanno della figlia Maria Burton. La disco fever aveva contagiato anche Hollywood.

     

    2. IL GIORNO IN CUI TRASFORMAMMO UN TUM-TUM IN FEBBRE

    Giorgio Moroder, estratto dal libro “La disco. Storia illustrata della disco music, Arcana edizioni, pubblicato da “La Repubblica”

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    A me la musica disco è sempre piaciuta. Potrei dire che è nata con Love To Love . In precedenza brani miei come Son Of My Father o Lady Of The Night erano sì ballabili, ma non quanto Love To Love . L’idea di inserire la cassa in 4/4, che in realtà era contro il mio senso musicale fino a quel momento, fu determinante. Nello studio di registrazione tutti ballavano, e così abbiamo deciso di continuare a usare il tum-tum della grancassa anche nei dischi successivi: ecco come abbiamo iniziato a fare disco.

     

    clienti selezionati allo studio cinquantaquattro clienti selezionati allo studio cinquantaquattro

    Negli anni Settanta avevo messo su una squadra valida con lo stesso batterista, tastierista, chitarrista etc. per tutte le produzioni e sapevo esattamente come guidarli. Poi negli anni Ottanta hanno iniziato a chiamarla “dance” anche a causa di una dimostrazione violenta che c’era stata a Chicago nel 1979 e conosciuta come “Disco sucks” (“la disco fa schifo”, ndr) che ha cambiato la percezione del fenomeno in senso negativo. In quel periodo di transizione, con Donna Summer abbiamo commesso l’errore di non accorgerci che il fenomeno stava sparendo.

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    Sulla nostra hit, Hot Stuff , abbiamo aggiunto delle chitarre rock, ma avremmo dovuto continuare su questa scia anche con il mio album From Here To Eternity e soprattutto con il disco successivo , e= mc2. Per fortuna poi per me è iniziata l’era fortunata delle colonne sonore con Flashdance . Comunque l’etichetta discografica, la Geffen, non si è mai impegnata per promuovere la nostra musica. Il culmine fu raggiunto con il rifiuto di David Geffen in persona di pubblicare l’album doppio che avevamo inciso nel 1-981 , I’m A Rainbow.

     

    Probabilmente a lui la disco proprio non piaceva. Il momento migliore? Il 1977.

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    Ricordo che quell’anno è stato magico in Italia: in estate Donna era al numero uno con I Feel Love , Roberta Kelly al due e io al quattro con From Here To Eternity… Niente male, vero?

     

    3. ALLA RICERCA DEL PARADISO PEDESTRE

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    Prefazione di Roberto D'Agostino al libro di Marco Trani e Corrado Rizza “I love the nightlife” (Wax production, 2010)

     

    Viviamo in un'epoca in cui, come scriveva Baudelaire, le cose non deformate non hanno volto. E la discoteca è lo specchio deformante di questa realtà. Uno spazio di sovrabbondanza, eccesso, prevaricazione, frastuono, colore accecante, esibizionismo, estasi.

     

    sul pavimento dello studio cinquantaquattro sul pavimento dello studio cinquantaquattro

    Malgrado gli stereotipi da rotocalco, questo modo diverso e "fuoriorario" di far oratorio ha prodotto nell'ultimo tratto del Novecento una sottocultura fatalmente mutante, senza falsi bersagli, né falsi movimenti. Una mitologia attrezzata per accogliere tutto e il contrario di tutto, che si è rumorosamente alterata e trasformata e svuotata nel corso del tempo alla stregua di un codice egiziano, di un'araba fenice, di un oleogramma.

    zona lounge allo studio cinquantaquattro zona lounge allo studio cinquantaquattro

     

    Se una notte dell'estate '78 un viaggiatore si avventurava nella nuova e accecante terra delle discoteche gli sarebbe capitato di imbattersi in uno scenario somigliante tantissimo a un bordello di colpi d'anca, un fortilizio foderato di specchi, un "Paradiso pedestre", fuori dal quale il Tempo, la Società, il Destino, potevano tendere i loro legittimi agguati e la Vita ritirare le sue promesse. "Fuori", il dolore; "dentro", il piacere.

     

    billy bilancia marco trani e claudio casalini a riccione billy bilancia marco trani e claudio casalini a riccione

    Un universo che non voleva più credere nella violenza, cariche di poliziotti e sfoghi di studenti, katanghesi autonomi e pariolini autosufficienti, Lotta Continua e "da oggi prendo la spranga", cantautore stonato e complessino scordato, eskimo e Inti Illimani, picchettaggio e volantinaggio, sballi e scazzi, la frittatina al topo nell'osteria alternativa, militanza-a-tempo-pieno, "il privato è politico", "vogliamo tutto", "checcazzo!", viva l'ago, camuffarsi da proletari o da ragazzo di riformatorio, immaginazione al potere e Parco Lambro, 'radio libere' in modulazione di frequenza, Moro tra errore e terrore. Altro che ballare: c'è di che correre a Lourdes. ("Dieci undici anni di lotte / Discorsi, dibattiti, discussioni / Attentati, ferimenti, uccisioni / Per mandar Castellina e Capanna / All'assemblea di Strasburgo". 1968-1978 secondo Alberto Arbasino).

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    jerry cala e marco trani allarea di cortina jerry cala e marco trani allarea di cortina

    Così, in quei complicati, violenti, tragici, oscuri, alla fine senza speranza anni Settanta, le disco-dance attivate dalle piroette de "La febbre del sabato sera" (1978) hanno rappresentato il segnale dell'inizio di un decennio che rovescerà la vita di tutti. Gli Ottanta hanno incorniciato la "starizzazione-pop" profetizzata da Andy Warhol (quindici minuti di celebrità non si negano a nessuno), l'ascesa rapida, nel cielo dei valori pubblici, delle nuove mitologie del successo e di una festevolezza un po' irresponsabile, destinata a una gioventù che gettava con tutte le forze alle proprie spalle gli oltre duemila morti, Aldo Moro compreso, della guerriglia politica degli anni Settanta.

     

    beppe grillo billy bilancia marco trani al pascia beppe grillo billy bilancia marco trani al pascia

    Aria! Aria! la guerra è finita e la bella epoque è qui, sembrava dire quel popolo di "notturbini" che affollavano le piste da ballo dell'Easy Going" e del "Much More". Improvvisamente, volano nell'aria certe sberle di ritmo che sono peggio delle revolverate. Il dialogo a due "piatti" tra i disc-jockey Marco Trani e Corrado Rizza è, in filigrana, il racconto di due protagonisti del "Grande caldo" che l'esplosione del fenomeno disco-dance accese tra le nuove generazioni.

     

    MACOR TRANI E CORRADO RIZZA MACOR TRANI E CORRADO RIZZA

    Un "documento" dal vivo del cambiamento, senza birignao socio-letterario, ma dialogo 'selvaggio', amarcord in presa diretta, di due ragazzi che non vogliono portare il lutto di nulla ben consapevoli che si è chiuso il ciclo "Settanta" della politicizzazione, del protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, autore appunto del libro "Felicità privata e felicità pubblica" (che spiega come i pendolarismi della storia derivino dall'oscillazione dei gusti del pubblico fra questi due poli). Mescolare le carte, dunque.

     

    Dal sinistrismo al narcisismo, dal Noi all'Io, dalla sommossa delle Bierre alla mossa delle Pierre, da Lotta Continua al successo di breve durata, dai furgoni cellulari al telefonino cellulare, dal significato al significante, dalle fratte ai frattali, dal ciclostile al fax, dalla rivolta a Travolta. E' stato un Pediluvio universale. "Impara l'arte e mettila nei party" (Achille Bonito Oliva). Peperoncino dall'inizio alla fine. Alè, conciliare l'alto e il basso. L'est e l'ovest. La Storia e la scoria. La qualità e la quantità. Lo snob e il Blob. I Dik Dik e i Duran Duran. Le Botteghe Oscure e le boutique lucenti.

    Febbre del sabato sera Febbre del sabato sera

     

    Lo scavalcamento dei ruoli, la sapienza combinatoria, il desiderio di sedurre, era ben rappresentato e legittimato dalle culture emergenti degli anni Ottanta: il Post-moderno nell'architettura, la Transavanguardia nella pittura, il "pensiero debole" nella filosofia, la New Wave nella musica giovane, il miraggio del look nelle tribù giovanili, il computer come memoria istantanea, il video come operazione di smontaggio e rimontaggio della realtà. Se non si può opporre l'avanguardia alla tradizione, né l'avvenire al passato, contro gli opposti estremismi, il "doppio-gioco" è allora un tentativo positivo di mettersi in comunicazione con l'astuzia del tempo e l'ambivalenza del presente.

     

    E non è singolare che sia toccato proprio a Umberto Eco, uno dei più raffinati ed elitari intellettuali nostrani, di diventare con l'intercontinentale e incontinente trionfo popolare del "Nome della rosa" il garante dello slittamento, della doppia identità. La cosiddetta 'febbre del sabato sera' non è stata una voga stagionale. L'émpito da discoteca di Tony Manero, compreso quello spavaldo burinismo tamarro di stile ampiamente dileggiato dai comici dell'epoca, non è stata una passione particolarmente graziosa: implicava crudezza, materialità, sesso, emozioni gettate senza garbo, un atteggiamento rubizzo e spavaldo.

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    A partire, dal proprio abbigliamento, inteso a rappresentare non ciò che si è, ma ciò che si vorrebbe essere. La loro 'tragedia' è che non possono permettersi altro sacrificio che il divertimento. Per ritenersi unici, al di sopra di qualsiasi ritratto, si mettono in cammino da Cuneo, partono da Canicattì, sopraggiungono da Bitonto per stordirsi nelle discoteche adriatiche dove ridono, sorridono, sballano, come gli attori di un film horror che, durante una pausa delle riprese, si dimenticano di togliersi il finto coltello dalla schiena o di detergere il sangue finto. S'imbottigliano in pista a mezzanotte, e si mettono a nanna alle otto del mattino, "strippati" e lessi.

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    I dati Siae dimostrano che, nel '78, le presenze nelle sale da ballo sono aumentate del 40-50 per cento rispetto all'anno precedente. Così che la disco-music svuota palestre, supermercati, ex-cinema, retro-bar, sottoscala, club privées esclusivi, Cral ferroviari, portinerie, ex tendoni da circo, bagni pubblici, per riempirli di specchi e piste girevoli, tempestarli di luci psichedeliche, fecondarli di fasci stroboscopici, inondarli con bolle di sapone. Da Ibiza a Mykonos, da Riccione a Manhattan.

     

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    E' nata per lo scrittore Tom Wolfe la "Me Generation"; per il sociologo Christopher Lasch trattasi di "cultura del narcisismo"; per gli intellettuali italiani "la disco è una multinazionale del rimbecillimento di massa". Non riuscivano a scorgere, i nostri geni del pensiero, la doppia vita che scorreva sotto la pista da ballo. Da una parte c'era un locale, un ambiente concreto, legato ai fatti, come un qualsiasi altro prodotto di consumo per il tempo libero.

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    Dall'altra scorreva un fiume incontrollato di desideri feroci, solitari, romantici, una concentrazione di estasi e violenza che era il vero sogno di ogni ragazzo. Il proletario Manero-Travolta, di giorno sfigato commesso in un negozio di vernici, di notte irresistibile ballerino-bellimbusto in discoteca, sanava una contraddizione profonda della cultura giovanile post '68. Metteva d'accordo due cose che erano già entrate in pesante conflitto fra di loro.

     

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    Quel desiderio di successo, quella voglia, quel "bisogno" di scavarsi una identità forte che nessuna ubriacatura ideologica riuscirà mai a liquidare, da una parte. E dall'altra, il terrore della competizione, dura, ingrata, inutilmente lacerante. Ecco: in quanto vissuta come attività "espressiva" e non "competitiva", la danza permetteva questo miracolo. "Ingrottarsi" in una discoteca, del resto, non nasce da un bisogno di ribellione ma piuttosto da un bisogno mistico, biologico di calore umano, di "camaraderie", di fratellanza, di solidarietà.

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    Eccoci tutti in pista; spazio che diventa antro, grotta, rifugio, guscio, terra di nessuno. Che cos'è la gioventù, se non un popolo, un mondo, un continente che sviluppa ombrosamente i propri valori, disvalori, gusti, disgusti, sapori, abitudini di abbigliamento e, attraverso la musica, il suo particolare sistema di comunicazione?

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    E' la "sofferenza" di diventare grandi il punto di partenza; un frenetico modo di riempire i buchi della vita, sia quelli del dolore sia quelli della noia. Si va alla ricerca del piacere non come fine, ma come terapia. Così entriamo nel più intrigante (e disturbante) aspetto della discoteca: è edonismo privo di individualità, ricerca di un piacere collettivo, bambagia baluginante che ci protegge da un mondo smorto.

     

    In altri tempi, il tipo di piacere e ricerca di abbandono, di cui la discoteca è espressione, fu condannato e temuto dalle autorità - avventurarsi in uno speakeasy, spaccio clandestino di alcolici, assumeva un carattere di sfida al Proibizionismo degli anni Venti - perché era un atto di ribellione individuale contro quella autorità, un ostinato isolamento dal gregge.

     

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    La discoteca, invece, non possiede nessuna individualità - la sua anonimità è la quintessenza del suo fascino. Chi balla non manifesta, ma si manifesta. E' una "ribellione" senza volto, un big-bang nella testa, motivato da sentimenti di alienazione, di angoscia, dalla necessità di scaricare la depressione quotidiana. Ballare in una discoteca può non sembrare un atto di rifiuto, ma lo è quando rivendica la danza, e la musica, come il significato reale della vita.

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    Per dire: ecco, niente è più certo dell'incerto. Al verticale, i fanatici della discoteca preferiscono l'orizzontale, si appassionano al pavimento, che almeno il loro precario Paradiso Pedestre ingombri lo spazio, che ci si inciampi dentro, che impedisca la solitudine. La cosiddetta "democrazia del frivolo", infatti, portava con sé i valori della creatività individuale e del pluralismo, riconciliava la tecnologia con il gioco, il potere politico con la seduzione, il sesso con il piacere, il divertimento con la vita: la sua incoscienza favoriva la coscienza, le sue follie il rispetto dei diritti e della libertà di tutti.

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    Sedotta da un menù a ideologia zero che preferiva l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà, la gente mostrava di amare le grandi riunioni di gruppo, aveva bisogno dei suoi momenti "confusionali", dove ognuno poteva non tanto far confusione, quanto "confondersi" con gli altri.

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    Aveva bisogno dei suoi momenti di "edonismo popolare", di "contagio affettivo", di "logica passionale"; aveva bisogno insomma di un'orgia: in questo senso panico, confusionale, emozionale. E ottiene sulla piste da ballo, anche se in forme mascherate da un Kitsch sfrenato, il suo momento di massimo "orgiasmo".

     

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