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    TE LO DO IO IL BARRIO VIP - QUARTIERI CON PIÙ SERVIZI MA “APPALTATI” AI COMMERCIANTI: LA SPAGNA SI SPACCA SULLA PROPOSTA DI RAJOY - I SINISTRATI DI IZQUIERDA UNIDA ATTACCANO: “AUMENTERANNO LE DISUGUAGLIANZE”


     
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    Alessandro Oppes per “la Repubblica

     

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    Gli amanti del genere li chiamano quartieri vip, zone premium, aree a cinque stelle. Ma il solo fatto che la destra di governo, il Partito Popolare di Rajoy, abbia proposto di importare anche in Spagna un modello di gestione pubblico-privata dei centri cittadini, conosciuto in altri paesi con la sigla Bid (Business improvement districts ) ha subito provocato un putiferio politico e reazioni contrastanti nella società. Perché il timore di fondo è che si possano creare città “a due velocità”, con barrios di prima categoria e altri condannati a un ruolo più marginale, forse persino a un progressivo degrado.

     

    L’idea, ad altre latitudini, non è nuova. Il primo esperimento, datato 1969, venne fatto a Toronto. Poi i Bid hanno preso piede nelle grandi metropoli Usa, proliferando in seguito in una ventina di paesi, dal Regno Unito all’Olanda, dalla Germania alla Nuova Zelanda. Con risultati a volte soddisfacenti, ma non senza polemiche.

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    Tutto dipende, in realtà, dai limiti più o meno ampi imposti alla gestione privata dello spazio pubblico. Nel modello spagnolo, che si profila simile a quelli britannico e americano, si prevede che i commercianti di una determinata zona versino un’imposta supplementare nelle casse dell’amministrazione comunale, per riceverne a cambio servizi extra, destinati a migliorare l’aspetto, la pulizia, la sicurezza, l’arredo urbano del quartiere. Il quale, si suppone, potrà così attrarre più visitatori, nuovi possibili clienti per i negozi che vedranno compensato lo sforzo economico supplementare con un incremento dell’attività.

     

    Tutto grazie a un radicale make-up: migliore manutenzione e pulizia, iniziative di marketing, informazione turistica, eventi. Per ora, sono stati avviati progetti per la creazione di Bid a Madrid e Barcellona.

     

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    L’iniziativa parte in genere dei commercianti, che propongono un business plan e organizzano un referendum tra loro. Ma il “sì” definitivo alla costituzione dell’ente spetta all’amministrazione locale, i cui rappresentanti fanno parte del consiglio di gestione. Il Comune riscuote la tassa supplementare e fornisce i servizi di prima qualità che permettono la realizzazione del piano.

     

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    Una condivisione di competenze, che si traduce in una gestione parzialmente privata dello spazio pubblico. Con vantaggi indiscutibili ma anche alcune controindicazioni: Izquierda Unida ricorda che le imposte dovrebbero servire «per correggere le disuguaglianze, non per aumentarle ».

     

    In realtà, se è vero che la fornitura di risorse supplementari a beneficio di un barrio non significa la sottrazione di fondi destinati agli altri, la sperequazione provoca squilibri pericolosi. A cominciare dalla possibile “gentrificazione”: la riqualificazione rivaluta anche il valore degli immobili, determina l’impennata degli affitti e si conclude con l’inevitabile espulsione di una parte degli abitanti e la chiusura di alcuni negozi.

     

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    Da qui la nascita di quartieri di prima e seconda categoria. Con un’aggravante. Dove esiste un Bid, la vigilanza è estrema e la gestione privata del territorio può favorire abusi. L’esperienza americana insegna, in particolare quella di New York. A Times Square sono arrivati a proibire manifestazioni e proteste, in quanto sconvenienti per gli obiettivi commerciali del Bid.

     

    A Midtown Manhattan hanno espulso gli artisti di strada e i venditori ambulanti perché creavano un presunto danno d’immagine. Uno dei punti più controversi è la sicurezza. Anche questa potrebbe essere in parte privatizzata, con conseguenze prevedibili come l’espulsione di mendicanti, prostitute e ambulanti.

     

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