Andrea Galli per il “Corriere della Sera”
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Poi di sicuro, passionali e gelosi delle loro terre, si arrabbieranno e forse non ci faranno più entrare in paese, che conta un'unica strada d'accesso e d'uscita. Però i fatti questi sono: un'intera valle nasconde e protegge, veste e sfama Massimo Riella, fino al 12 marzo ignoto ai più e adesso, proseguendo a oltranza la sua latitanza, divenuto perfino leggendario come certi pirati del lago d'un tempo.
Eppure, al di là di forzature mediatiche, Riella, evaso appena scese dal furgone della polizia penitenziaria (era senza manette) che l'aveva trasportato quassù a Brenzio per farlo pregare sulla tomba della mamma Agnese, da poco sepolta, «tira avanti una vita da schifo. Non fa altro che ripeterlo, preferisce la galera».
Ma scusate, domandiamo a papà Domenico, ex gruista nella vicina Svizzera: ripeterlo a chi? «Oh insomma, sveglia! La gente se lo passa di casa in casa, il mio Massimo non vaga nei boschi cacciando a mani nude Lo tengono una notte a testa, quindi riparte. Semplice».
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L'amico e la droga Riparte sbarbato e sfamato, la biancheria intima nuova, calze e maglioni di riserva. Ormai forse più sfuggente che fuggitivo. Signor Domenico, ma mica è un film, suo figlio deve consegnarsi. «Siamo già d'accordo che ce lo porto io, ai carabinieri. Prima però bisogna arrestare il vero colpevole. Il mio Massimo è mezzo matto, m' ha fatto disperare Però non è tipo da picchiare gli anziani. Lui è fuggito per dimostrare la propria innocenza. Anche se ho il terrore che voglia farsi giustizia da solo. Casomai l'accoppa...».
Un attimo: siete contati, vi conoscete tutti, dunque chi sarebbe l'altro? «Non ricordo il nome. Un amico di Massimo. Traffica con la droga».
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Il Dna sul coltello Riella, 48 anni, una figlia dall'ex moglie, una seconda compagna, imprenditore edile, era stato catturato a dicembre con l'accusa d'aver aggredito e derubato di settecento euro una coppia di novantenni di casa lungo la via che da Brenzio, ex municipio oggi frazione di 36 abitanti, scende al lago. Siamo oltre Dongo, nella zona alta del Lario. Quel predone era in passamontagna ma sull'arma impiegata, un coltello, gli investigatori avevano isolato un Dna. Il Dna di Riella, sul cui conto si vocifera in Procura di traffici di rifiuti e discariche abusive, a conferma di quanto proprio non sia un santo.
«Ma quale santo Per carità, avrà fatto sei, sette anni di cella, chi lo discute è scemo. Ma lui, anzi l'intera valle, che dico, ogni angolo delle montagne, esclude abbia preso di mira due poveri vecchi».
Lei quanti anni ha?
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«Vado per gli ottantuno, in realtà sono giovanissimo. Mi stava scoppiando il fegato, bevevo un litro e mezzo di caffè al giorno per stare sveglio sulla gru. Mollai il lavoro, mi misi a studiare il corpo umano e le piante. Sono un naturista, regalo consigli per campare bene. Ad esempio, mi dia il polso Allora, allora Inizi a segnare: mele, cipolle rosse, tisana di ortica».
Signor Domenico, resta il mistero sul (presunto) autentico rapinatore.
«Senta, quel tizio dormì da Massimo, a casa sua, e così ebbe l'occasione per incastrarlo, adoperando una lama sulla quale c'erano le impronte di mio figlio. Non ci vuole un genio».
La caccia Sul furgone della Penitenziaria gli agenti erano cinque. L'autista fermò il mezzo a ridosso di un viottolo che conduce al cimitero, costeggiando prati e un pollaio. Una cinquantina di tombe. In fondo, quella del fratello Cristian, morto a 33 anni in un incidente di moto («Per forza, andava sempre a duecento all'ora»), e mamma Agnese. Ci sono dei fiori, e non è escluso che il Grande Evaso si sia regalato un'incursione. Dopodiché, a questo punto potrebbe sembrare che nessuno dia la caccia a Riella. Al contrario si sono mobilitati carabinieri e finanzieri, ed è falso che l'indagine sia cessata per risparmiare soldi.
massimo riella con la figlia
O meglio, non era sostenibile spedire intere squadre sui bricchi, contando sulla presenza di residenti che fungono anche da sentinelle. Allora s' è ripiegato sull'analisi strategica, la coltivazione di informatori, l'attesa di dritte. Alla fine, cadono tutti. E i pizzini lasciano tracce. Sì, la notte mani anonime depositano fogliettini sotto sassi e dietro la ruota d'un trattore. Messaggi di Massimo Riella ai compaesani, o compagni di lotta.
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