taxi
1 - CUCÙ
Sebastiano Messina per “la Repubblica”
Oggi assisteremo al più classico dei derby, la sfida Stato-Tassisti. Lo Stato parte sfavorito: finora è sempre stato battuto dagli avversari, per i quali fa il tifo un'ampia curva sud che va dalla destra di Giorgia Meloni alla sinistra di Stefano Fassina. Dunque non ci illudiamo, noi che tifiamo per lo Stato: c'è poco da fare, quando giochi contro i poteri forti.
2. "SALI, TI PORTO DA UN PARTITO ALL'ALTRO" L'ATTRAZIONE FATALE TRA TASSISTI E POLITICI
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Enrico Mattei
«Uso i partiti come taxi - diceva Enrico Mattei - pago e scendo». Non era una cosa tanto carina, ma così andavano allora le faccende del potere. «Il taxi sono io!» rivendicò del resto svariati decenni dopo Denis Verdini rovesciando la prospettiva in un empito di spensierata sincerità autopromozionale: «Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo».
denis verdini
Quest' ultimo non era il suo futuro genero sovranista, Salvini, ma il post-rottamatore, Renzi, del cui cuore l'ex grossista di carne di Campi di Bisenzio possedeva evidentemente le chiavi. Ma l'idea facilitatrice del taxi accompagnava così le immagini, i linguaggi e un po' anche la spregiudicatezza della vita pubblica italiana.
Quanto poi a Berlusconi, punto di partenza delle corse verdiniane, occorre forse ricordare che la figura professionale di un taxista era significativamente compresa nel videoclip che illustrava, insieme a maestri, studenti, camerieri, pasticcieri (oltre alla giovanissima Francesca Pascale), l'indimenticabile brano Meno male che Silvio c'è .
MATTEO RENZI E DENIS VERDINI
Mentre per quanto riguarda il Giglio magico renziano il compito di accompagnare a destra e a manca il capo e Maria Elena Boschi era concretamente delegato alla cortese disponibilità del barbuto onorevole Francesco Bonifazi, perciò soprannominato Bonitaxi - e con questo si porrebbe fine al rimestio meta-linguistico sull'immaginario tassinaro.
Anche perché più saldi vincoli avevano legato, nello spettacolo, la politica a questo servizio eminentemente urbano e particolarmente capitolino. In questo senso molti (attempati) lettori ricorderanno l'accoppiata Sordi-Andreotti che nel 1983 promise vano lustro a un film intitolato appunto Il tassinaro.
GIULIO ANDREOTTI E ALBERTO SORDI NE 'IL TASSINARO'
Si tratta purtroppo di una delle più brutte e imbarazzanti pellicole realizzate da Sordi, grande attore, ma piccolissimo regista e qui anche infimo sceneggiatore. Insieme a una Pampanini eccessiva che si congedava con una parolaccia e a uno svogliatissimo Fellini diretto a Cinecittà, Sordi caricava a bordo il Divo; ma questi, inquadrato nello specchietto retrovisore, risultava a disagio dietro il faccione ammiccante di quell'altro mostro sacro.
Tra i due, oltretutto, una lunare conversazione su argomenti astrusi tipo il numero chiuso nelle università. Per gli amanti del brivido pubblico e privato, la collaborazione allietò senz' altro il botteghino, ma dispiacque alla signora Andreotti che ebbe più di una ragione a considerarla una inutile buffonata.
pd veltroni
Dopo di che, di lì a dieci anni, i veri tassinari, sempre più esasperati per il traffico, l'abusivismo e in via di accentuata sindacalizzazione, diedero parecchio filo da torcere alle amministrazioni di sinistra, prima Rutelli, poi maggiormente Veltroni.
Cominciarono scioperi bianchi, ululati di clacson, manifestazioni che comportavano anche temibili blocchi in zone cruciali, a piazza Venezia o alle pendici del Circo Massimo. In una di queste prove di forza, per dire il genius loci, si vide il leader della corporazione che si aggirava nella marmellata di lamiere vestito da centurione.
BLOCCO DEI TASSISTI A PIAZZA VENEZIA A ROMA
Quando nel 2008 la destra, con Alemanno, conquistò Roma i taxisti improvvisarono festosi caroselli e presentarono il conto. Ma non è che per loro le cose migliorarono troppo. Vedi, dopo le liberalizzazioni di Bersani e la comparsa di Uber.
Ed eccoci all'oggi. Non senza aver ricordato i barconi dei migranti, che l'improvvido Di Maio definì «taxi del mare», e la quantità di talk show che tuttora intasano la tv, «un'industria fondata sui buoni taxi», secondo Andrea Minuz. Quando in studio l'ex brigatista Etro esagerò, Massimo Giletti ritenne di congedarlo al grido: «Ti pago il taxi di tasca mia!».
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