Valentina Raffa per il Giornale
CARCERI ITALIANE
La cella del carcere di contrada Petrusa ad Agrigento, in cui era rinchiuso per scontare la seconda condanna per mafia, è troppo piccola. Il detenuto va scarcerato con effetto immediato e pure risarcito. Anche se si tratta del 44enne Domenico Seddio, condannato nell'ambito della maxi inchiesta Dna che ha fatto luce sull'ennesimo tentativo di riorganizzazione mafiosa delle cosche del versante empedoclino.
Il detenuto, stando ai calcoli elaborati sul suo caso, nei tre anni in cui ha vissuto in cella nel carcere di Agrigento, ha avuto a disposizione uno spazio medio di 2,73 metri quadri, considerando la condivisione della cella con gli altri carcerati. Troppo pochi per il magistrato di sorveglianza di Agrigento, Walter Carlisi, per considerare questo trattamento dignitoso. E ha quindi liberato anzitempo Seddio.
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E ha anche disposto per lui un risarcimento economico di 7.208 euro per il restante periodo di detenzione, in pratica 8 euro al giorno moltiplicati per 901 giorni. Il magistrato ha dunque accolto il reclamo proposto dall'avvocato Vita Maria Mazza, ritenendo che il trattamento carcerario subito dal detenuto Seddio sia stato «degradante e contrario ai principi costituzionali».
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E così Seddio, che avrebbe finito di scontare la seconda condanna per associazione mafiosa il 17 ottobre, si trova a piede libero e in attesa di risarcimento economico. Secondo i calcoli elaborati dal magistrato di sorveglianza, Seddio, durante il periodo di detenzione scontato nel carcere di contrada Petrusa, è stato collocato per 1092 giorni in uno spazio pro capite, al netto di bagno, suppellettili e letto, di meno di tre metri quadrati.
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Il magistrato di sorveglianza fa presente che la cella in cui era rinchiuso Seddio era provvista di finestra, che garantiva il ricambio d'aria e la penetrazione della luce naturale, ma ha anche sottolineato che in altre celle ci sono infiltrazioni di acqua piovana e perdite dall'impianto idrico, condizioni che potrebbero avere ripercussioni negative su chi vive là dentro sia dal punto di vista sanitario che da quello igienico.
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Nell'ordinanza è scritto anche che le docce del carcere sono quasi tutte carenti di manutenzione, tali da far ritenere concreto il pericolo di insorgenza di malattie. La perdita di dignità è indicata dall'Unione Camere Penali quale causa principale dei suicidi e di atti di autolesionismo da parte dei detenuti. A farne le spese sono troppo spesso gli agenti di polizia penitenziaria che, intervenendo per impedire ai detenuti di arrecarsi dei danni seri, rimangono loro stessi feriti e talvolta rischiano pure la vita.