Estratto dell'articolo di Paolo Rossi per “la Repubblica – Motore”
NICOLA PIETRANGELI
Gli diedero una Vespa, quando vinse nel 1958 il campionato italiano. Ma il suo primo trofeo fu un pettine ottenuto dagli scarti di una bomba, a Tunisi, dopo un torneo di doppio vinto con il suo papà nel campo di concentramento.
Nicola Pietrangeli, classe 1933 (a settembre saranno novant'anni), è stato un re della racchetta ed è ancora il tennista italiano più titolato, con i suoi due trionfi Slam (due volte il Roland Garros, 1959 e 1960) e il record di presenze in Coppa Davis (164 partite). Ma la sua vita ha avuto molte diramazioni. essendo uomo curioso e intelligente. E il mondo dei motori non poteva certo mancare nel suo percorso di vita.
Donne e motori, no? Ma per lei possiamo coniare uno slogan tipo "racchette e motori'.
«No, no. Va benissimo così: donne e motori, perchè dobbiamo cambiare i detti popolari?».
Bene, il suo proverbiale senso dell'umorismo fortunatamente non viene mai meno.
«E se ci togliamo pure quello stiamo freschi... ....».
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E allora: cosa ci racconta del suo rapporto con i motori? È ancora in essere?
«Accidenti, certo che sì. Altrimenti come potrei muovermi per Roma? Già faccio fatica a camminare...».
(...)
Mi scusi, ritorniamo alla Ferrari.
«Che è meglio. Beh, ne presi una. Mi pare fosse la 308, e mi giocò anche un brutto scherzo».
In che senso?
«Io sono sempre stato naif, no? Quindi la prendo e comincio a farci un giro. Credo di aver preso l'Aurelia per andare in direzione Orbetello, o giù di lì. A un certo punto incappo in un camion e io, su una Ferrari, posso mai perdere tempo dietro un camion? Scalo marcia, e sorpasso. Ma, durante la manovra, la Rossa mi balbetta. Fortunatamente dall'altra parte non arriva nessuno e ho il tempo di completare il sorpasso più lento della storia automobilistica».
Meno male. E poi?
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«Telefono alla Samocar. E spiego la situazione: 'Ah, dottò, scusi. Qualche macchina, quando il livello del serbatoio della benzina è sotto la metà, potrebbe avere qualche problema.. L'avrei ammazzato, il meccanico».
E che ne ha fatto della Ferrari?
«Ah, ci andai a Montecarlo, dove poi la vendetti».
Comunque non era la prima volta che la vedevano, su una supercar.
«Di che parliamo?».
A Parigi fece un certo scalpore...
«Ah, ho capito. Con la Buick. Siamo nel 1959, mi presentai alla finale del Roland Garros guidandola. Ma non era mia. Era della persona che sedeva accanto: Candida, la più famosa spogliarellista del Crazy Horse.Ma forse guardavano più lei che la macchina, mi sa. Era una bella lotta».
(...)
Ma le è mai capitato di fare delle gare vere?
«Come no. una volta, mi pare fosse il1988: una Celebrity Race a Imola. Si guidavano delle Alfa Romeo 164. Indovina chi altri c'era?».
NICOLA PIETRANGELI
Un nome a caso?
«Adriano Panatta. Prima della gara mi diceva sempre: "Ti spiego io', "ti faccio io' "to dico io'. Tutto così. Facciamo le prove ed effettivamente lui fa tempi migliori dei miei. Poi le qualifiche, ed eccoci alla gara. C'erano tanti altri, anche piloti che avevano fatto la Formula 1 oltre che gli amatori della pista, ma in realtà la gara nella gara era tra me e Adriano. Dovevamo fare 12 giri della pista.
Si parte, va tutto bene. Nessuno sbatte in partenza ma, al 3° o 4° giro, vedo una macchina davanti a me con dei problemi, e mi sembra proprio la sua macchina: rallento, lo affianco e, perdonatemi ma quando ci vuole ci vuole, gli faccio il gesto dell'ombrello».
Ma come? Perché?
PANATTA NICOLA PIETRANGELI
«Nella curva prima del rettilineo, nel giro precedente, voleva speronarmi. Dalle tribune mi facevano cenni. Ma lui, nella manovra, prese un cordolo e danneggiò la macchina. "Ti lascio l'offshore', ciao ciao».