Estratto dell’articolo di Federico Fubini per www.corriere.it
giorgia meloni e raffaele fitto
L’Italia sta attraversando indenne l’attuale ciclo di revisione dei rating da parte delle più importanti agenzie del mondo. Può darsi che ciò si spieghi anche con un passaparola, forse avviato riservatamente dal Tesoro americano: in un mondo con due guerre drammatiche e molte ferite aperte – finanziarie e politiche – evitiamo, se possibile, di innescare nuove crisi.
[…] Certa è invece la ragione di fondo fornita dalla più importante delle agenzie di rating, S&P, nel graziare l’Italia: “Entro il 2025, prevediamo che la crescita del prodotto interno lordo italiani segnerà una ripresa sopra l’1%, dopo una decelerazione nel 2023-2024. Decisivo per questo risultato è il pieno dispiegamento dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
PROIEZIONI RAPPORTO DEBITO PIL
In sostanza il Pnrr ci ha salvati da un brutto voto sul rating. Già, ma come va il Pnrr? La risposta sincera è che non lo sappiamo: non sono pubblicamente disponibili gli elementi per valutare. Eppure sarebbe essenziale.
Per capire quanto essenziale, guardate il grafico qui sopra. Lo ha pubblicato il ministero dell’Economia nell’ultima nota di aggiornamento economico-finanziaria (Nadef) e poi di nuovo nel Documento programmatico collegato alla Legge di bilancio ora in parlamento. Il grafico mostra l’andamento previsto del debito pubblico dell’Italia nei prossimi undici anni, in diversi scenari.
Vedete subito che c’è un’ipotesi-horror, appropriatamente in rosso cupo, denominata “scenario A”, in cui il debito torna a esplodere fino quasi al 150% del Pil. Quando l’ho vista, ho pensato: vabbè, dev’essere quello che succede se va proprio tutto storto. Chessò, altre epidemie, altri choc energetici, un governo iper-populista.
raffaele fitto giorgia meloni
Poi però ho letto bene il Documento programmatico di bilancio e ho scoperto che lo scenario-horror è semplicemente ciò che accade, in sostanza, se continuiamo a andare più o meno come stiamo andando: i conti restano più o meno dove oggi stiamo sperando che saranno nel 2026 (deficit previsto in calo al 2,9% del pil); il surplus di bilancio prima di pagare gli interessi sul debito resta a un livello francamente alto e virtuoso per le nostre medie storiche (più 1,6% del Pil); la demografia declinante resta quella che è; il costo in interessi del debito aumenta come sta già aumentando; e soprattutto la crescita resta debole – com’è già, da un quarto di secolo – se il sistema-Italia resta allo stato attuale. Dunque è lo stesso governo che ci sta dicendo che se continuiamo su questa strada, ci schiantiamo. Chiaro?
Qui entrano in gioco gli altri scenari del grafico qui sopra. Quello migliore, in giallo (debito in calo verso il 120% del Pil nel 2034), implica che continuiamo a ridurre il deficit e alzare il surplus prima di pagare gli interessi sul debito ma, soprattutto, realizziamo davvero il Pnrr e questo successo ci permette di crescere di più.
RAFFAELE FITTO GIORGIA MELONI
Lo realizziamo tutto: gli investimenti e anche le riforme che vanno con questi: da una giustizia più efficiente, a un’amministrazione più capace, a una scuola più adatta alle esigenze dei bambini e ragazzi, a una sanità territoriale più avvicinabile dai pazienti. E tutto il resto. Per questo è davvero vitale capire come sta andando realmente il Pnrr.
Ci sono stati anche segnali incoraggianti, per esempio mi sembra di intuire che la Commissione europea sia abbastanza soddisfatta della proposta di revisione di 57 misure su circa 300 avanzata in estate dal governo. Ma, appunto, oggi è molto difficile dire come sta andando realmente il Pnrr.
RISORSE NADEF
Per chiarire cosa intendo guardate questi altri due grafici, molto semplici. Quello immediatamente qua sotto (”Tavola I.1”) mostra il programma del governo sul Pnrr in tutti gli anni del Piano. Con i volumi, le variazioni anno per anno e le modifiche nei programmi rispetto ad alcuni mesi prima. Molto dettagliato. Ma era il programma steso e presentato dal governo di Mario Draghi nella Nadef del settembre 2022.
Il programma presentato nell’ultima Nadef, quella di settembre scorso, si presenta invece così come lo riporto nel grafico immediatamente qua sotto (Tavola III.3). Le sei colonne anno per anno con le varie righe sulle variazioni in corso d’opera sono scomparse. Lasciano il posto a un’unica colonna “2020-2026”.
PREVISIONI NADEF
Il governo ha smesso di dirci in che tempi prevede di spendere i 191,5 miliardi del Pnrr da quest’anno al 2026. Ci dice solo che intende farlo. In realtà però qualche informazione la si può desumere. Per esempio nell’ultima Nadef il governo dice che gli “investimenti fissi lordi” nel 2023 saranno pari al 2,9% del Pil, mentre nell’ultima Nadef di Draghi e del ministro Daniele Franco per quest’anno erano previsti al 3,3% del Pil (circa 8 miliardi in più di quanto preveda ora il governo Giorgia Meloni-Giancarlo Giorgetti).
raffaele fitto presenta le modifiche al pnrr 4
Se si considera la quota degli “investimenti fissi lordi” sul totale dei fondi del Pnrr, si può immaginare che l’attuale governo, almeno a settembre scorso, avesse in mente di spendere fondi del Piano per circa una trentina di miliardi quest’anno. Forse qualcosa di meno. E’ probabile che anche trenta miliardi di spesa nel 2023 siano un obiettivo troppo ambizioso, se si guarda ai bandi di gara già lanciati e agli impegni di spesa di enti come i comuni. Draghi e Franco invece, poco più di un anno fa, programmavano che quest’anno sarebbero stati spesi 40,9 miliardi.
Un po’ di ritardo si sta accumulando. Era forse inevitabile, l’Italia in questo non è certo sola e in sé non è un dramma. Più problematica è la scarsa visibilità dell’esterno nella scatola nera del Pnrr. La banca dati pubblica sul Piano, “Universo Regis”, è molto dettagliata ma non include la colonna di numeri sulla spesa già effettuata. Il ministro delegato al Pnrr Raffaele Fitto ieri non era immediatamente disponibile a rispondere alle mie domande di chiarimento su questi dati.
PNRR – GIORGIA MELONI URSULA VON DER LEYEN - VIGNETTA BY LE FRASI DI OSHO
E anche questo lo capisco, per carità. Ma né il ministro, né l’intera unità di missione sul Pnrr a Palazzo Chigi, né l’intero dipartimento delle Politiche europee della Presidenza del Consiglio – che ha accentrato il controllo di circa 350 miliardi di euro fra Pnrr, fondi europei e fondi nazionali – non ha, che io sappia, un portavoce che risponda alle domande dei giornalisti. Non solo questo. […]
Perché questo è il punto: stiamo vivendo questo passaggio fondamentale per il nostro futuro come la solita medicina europea, con l’idea che si vive meglio se se ne parla poco. Non come qualcosa di nostro. E chi la gestisce – forse avvertendo questa contraddizione – preferisce farlo in modo un po’ carbonaro, dando all’esterno meno informazioni possibile. Meno, francamente, della dose minima che dovrebbe essere consentita.
Pnrr Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Questa cultura italiana del nascondersi mentre si lavora sulle questioni “europee” non è certo un’esclusiva della destra. A sinistra gli esempi non sono certo mancati in passato, né mancano oggi nelle amministrazioni locali a guida Pd. Ma temo che sia un clamoroso autogol: non abbiamo nessuna chance di fare del Pnrr il successo che ci serve così disperatamente, se chi governa non ne fa una missione che l’intero Paese sente come propria. Perché implica dei cambiamenti che non si fanno certo con un tratto di penna in un palazzo, perché devono vivere nella società e nei comportamenti di tantissimi italiani.
[…]Credo sinceramente che il ministro Fitto lavori duro per il successo del Piano e lo voglia, più di ogni altro. Ma ha bisogno di aprire le finestre. Dunque gli rivolgo un invito: ministro, comunichi di più. E inizi a farlo sul “Corriere della Sera”. Siamo pronti a ospitarla, quando vuole.
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