Ettore Maria Colombo per https://www.ettorecolombo.com/
mattarella
La miccia alle polveri, e i piedi nel piatto, li ha messi il leader della Lega, Matteo Salvini, in un’intervista al quotidiano La Repubblica, cioè – in teoria – al suo ‘nemico’ pubblico numero uno: “Nei prossimi mesi il centrodestra avrà i numeri in aula per essere determinante e cambiare gli equilibri – avvertiva il Capitano già una settimana fa – Nel Pd almeno in cinque si contendono il Colle, ma possono mettersi l’anima in pace. Il (nuovo) presidente sarà eletto con molta probabilità coi voti di tutti, tranne che del Pd, che lavora per averne uno a suo piacimento”. Scatta il panico, specie dentro il Pd: da dove prende, Salvini, una tale sicumera?
francesco storace foto di bacco (1)
Segue, sempre negli stessi giorni, un dotto articolo del notista politico del Corriere della Sera, Massimo Franco, molto introdotto ‘a corte’, cioè a palazzo Chigi, che, ove mai corrispondesse al vero, sarebbe una signora notizia: “I 5Stelle non vogliono eleggere il nuovo Capo dello Stato insieme al Pd e, soprattutto, scegliendo un loro uomo. Lo hanno deciso nel M5s e lo sanno anche nel Pd”.
Vero? Falso? Le smentite dei 5Stelle sono deboli, vaghe, imbarazzate. I malumori, dentro il Pd, serpeggiano e montano, alcuni ‘papabili’ al Quirinale si imbestialiscono. La destra inizia a ‘sognare’ un blocco di manovra che, partendo dai numeri di partenza che già possiede, arriva a una massa di manovra di oltre 400 ‘grandi elettori’: con l’appoggio dei 5Stelle, all’atto di eleggere il successore di Mattarella, il centrodestra farebbe bingo.
renzi mattarella
Nel sogno, per ora solo a occhi aperti, si esercita, sempre sul Foglio, una vecchia volpe della Destra italiana, Francesco Storace, oggi entrato in Fratelli d’Italia: “È scritto nei numeri – spiega Storace – il centrodestra ha 430 grandi elettori, i 5 Stelle ne hanno circa 300 e la sinistra variamente intesa si ferma a 283. Significa che se, il centrodestra rimane compatto, insomma se non facciamo stupidaggini, ci mancano una settantina di voti per avere la maggioranza al quarto scrutinio”. Obiettivo a portata di mano o scenario irrealistico che sia, i numeri quelli sono.
La settimana si chiude con l’intervista dell’ex premier, e oggi leader di Italia Viva, Matteo Renzi che, al Foglio, prima spiega perché Conte ha il dovere di sperimentare il metodo Ursula (cioè una maggioranza allargata a FI, ndr.) “che in Europa sta funzionando”, poi argomenta sul punto: “Il problema non è chi è oggi l’inquilino di Palazzo Chigi, ma chi sarà domani l’inquilino del Quirinale.
giuseppe conte e ursula von der leyen a bruxelles
Per questo, in vista di questa sfida ambiziosa, sono convinto che questo Parlamento debba arrivare fino al 2023, sostenendo e traducendo con i fatti e con una maggioranza all’altezza della sfida lo sforzo europeista messo in campo in Europa da Ursula von der Leyen (presidente della commissione Ue, ndr.)”. Poi Renzi fa un ulteriore passo in avanti: il governo Conte deve andare avanti non solo per guidare il Paese al meglio in una fase così difficile, ma anche “per evitare che, nel 2022, Salvini e la Meloni possano eleggere un Presidente della Repubblica ‘sovranista’ (sic)”.
Per quanto riguarda il nome del possibile prossimo Presidente della Repubblica, Renzi ancora non si sbilancia (“è prematuro parlare di donne o uomini”), ma molti pensano che l’identikit che ha in mente è quello di un suo vecchio amico, il senatore Pierferdinando Casini, già presidente della Camera, già leader dell’Udc, centrista doc, un nome che sarebbe in buon continuità con Mattarella.
salvini meloni
Chiude, dalle colonne de Il Dubbio, Giorgia Meloni: “Il mio sogno è che il prossimo Capo dello Stato sia eletto a suffragio universale dai cittadini: è una battaglia storica della Destra, che FdI farà nelle piazze e in Parlamento. Ma questo signore, Renzi, che vorrebbe impedirci di eleggere un presidente della Repubblica non gradito alla Sinistra e alla Merkel è vergognoso e vomitevole. Mi fa schifo”.
Insomma, anche la Meloni dice la sua e, a quel punto, Salvini, non pago, non può certo restare in silenzio, sul tema.“L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica – nota il Capitano, tornando su un tema da lui già toccato, la corsa al Colle – sarà tra un anno e mezzo. Il Pd non può tenere ferma l’Italia perché vuole nominare il suo presidente”. Non a caso, già pochi giorni prima, in un’intervista rilasciata, questa volta, all’odiata Repubblica, il leader leghista aveva lanciato un amo proprio ai 5Stelle, chiedendo loro di scegliere ‘insieme’ il futuro inquilino del Colle (si voterà a febbraio 2022): obiettivo eleggere “un presidente di tutti, tranne che con i voti del Pd” (una contraddizione…).
berlusconi letta
Insomma, è davvero iniziato il ‘Gran Ballo del Quirinale’. E cioè la lotta, i posizionamenti e le candidature – per ora solo di candidati in pectore: cinque/sei, e cioè Franceschini, Prodi, Veltroni, Enrico Letta, Casini e Paolo Gentiloni, il cui mandato come commissario Ue scade nel 2023, solo per parte dem/Iv; Conte, per parte M5s, Draghi, Visco e Cartabia nel caso di un presidente ‘di tutti’.
Per ora, sono frasi smozzicate pronunciate e fatte correre a mezza bocca da parte di chi sogna, spera o è così ambizioso da credere davvero di poter succedere a Sergio Mattarella. Il quale è, oggi, il XII presidente della Repubblica italiana a far dato dal primo, Luigi Einaudi, eletto nel 1948 (Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato nel 1946-1948, nel conteggio ‘non vale’, non viene contato).
Prodi e Veltroni con dito alzato
E così, Veltroni intervista i protagonisti della storia repubblica sul Corsera, Prodi scrive dotti articoli sul Messaggero, Casini rilascia interviste a tutto spiano, Enrico Letta si rende ‘simpatico’ facendosi intervistare da Propaganda live, solo Gentiloni pensa, così appare, a tenere fede al suo ruolo British, mentre Franceschini, come al solito, preferisce muoversi e tramare ‘nell’ombra’, al riparo dai giornali. Questo per la parte del centrosinistra. Per il resto, se Conte si agita moltissimo (e, pare, ci crede), Draghi si trincera dietro il suo elegante mutismo, la Cartabia cerca di far entrare la Consulta a scuola, la Casellati non perde occasione per farsi notare (anche se i risultati, per ora, sono pessimi).
franceschini letta
Vale, prima di tutto, la pena di fare un minimo di chiarezza sui ‘paletti’ inderogabili che preesistono alla competizione stessa, quella per il Colle più alto. I ‘giochi’ veri e propri non si apriranno di certo da oggi in poi, ma solo tra qualche mese. Per la precisione, anche formalmente, si apriranno quando scatterà il famoso ‘semestre bianco’, cioè gli ultimi sei mesi di mandato presidenziale in cui, come prevede la Costituzione, l’inquilino del Colle non può sciogliere le Camere.
paolo gentiloni 2
Una norma fortemente voluta dai padri costituenti che, scottati e traumatizzati dall’esperienza della dittatura fascista, volevano così impedire che un Presidente della Repubblica, per cercare di farsi rieleggere, sciogliesse le Camere ‘sotto’ la fine del suo mandato con l’implicito tentativo di farsi rieleggere grazie a Camere nuove e compiacenti. Il semestre bianco si calcola dal giorno dell’insediamento del nuovo Capo dello Stato e scatterà, in questa legislatura, a partire dal prossimo 3 agosto 2021.
Il che vuol dire che, realisticamente, sarà ‘questo’ Parlamento, con i suoi attuali rapporti di forza, a eleggere l’inquilino del Colle. Tra tre anni, facendo il saldo del dare e dell’avere, cioè i passaggi dei transfughi dai vari gruppi o la nascita di nuovi, i partiti si conteranno e faranno valere i loro numeri.
conte di maio
Certo, una finestra elettorale tecnicamente ancora ‘aperta’ c’è, ed è quella della primavera del 2021 (ad agosto 2021, come si diceva, inizia il ‘semestre bianco’), ma se nessuno è pronto a scommettere sulla durata dell’attuale governo, molti – se non tutti – scommettono sulla fine ‘ordinata’ e ‘naturale’ della legislatura, proprio come vuole e desidera ardentemente che succeda Mattarella.
Al netto di cambi di casacca ed eventuali ‘voltagabbana’, come pure al netto della nascita di nuovi, eventuali, gruppi, la forza dei gruppi parlamentari attuali è e sarà, dunque, quella uscita dalle politiche del 2018: M5s primo partito e centrodestra prima coalizione, Pd fanalino di coda dietro (e poi scosso da ben due scissioni), LeU gruppo piccolo, Fratelli d’Italia poco importante nei numeri anche se oggi col vento in poppa nei sondaggi, Lega forte, FI sovrastimata e, infine, gruppo Misto sempre più calderone di transfughi, perlopiù ex pentastellati in fuga dai loro gruppi di elezione.
mattarella napolitano
Numeri da tenere a mente: assai realisticamente e molto probabilmente, sarà ‘questo’ Parlamento, con i suoi attuali rapporti di forza, ad eleggere l’inquilino del Colle. Lì i partiti si conteranno. Sempre che, ovviamente, le Camere non vengano sciolte in via anticipata. Il che è sempre possibile, certo, ma anche molto difficile, a causa di una serie di motivi tecnici che si possono riassumere in due ‘ad impossibilia nemo tenetur’.
MATTARELLA E NAPOLITANO
La prima ‘impossibilia’ è il referendum costituzionale: si terrà il 20 settembre, nel cd. Election day, e dovrà stabilire se il Parlamento italiano deve continuare a essere composto da 945 membri (630 deputati e 320 senatori, cioè 315 più 5 senatori a vita) o se, invece, dovrà essere decurtato di 345 di loro, scendendo a 600 membri (400 deputati e 200 senatori, più i cinque senatori a vita attuali).
Difficile pensare che le attuali Camere, presumendo che, ragionevolmente, al referendum i ‘sì’ al taglio dei parlamentari battano i ‘no’, abbiano una insana voglia di auto-castrarsi, rinunciando a un’occasione ghiotta come quella di partecipare, appunto, al gran ballo del Colle.
BERLUSCONI QUIRINALE
IL ROSATELLUM
La seconda impossibilia, strettamente imparentata con la prima, il taglio dei parlamentari, sarà la necessità – una volta entrata in vigore la riforma costituzionale – di adattare, al nuovo numero di deputati e senatori – l’attuale legge elettorale, il Rosatellum. Un ‘adattamento’ che, a causa del ‘combinato disposto’ tra il taglio dei parlamentari e la legge elettorale oggi in vigore, per un terzo basata sui collegi uninominali maggioritari, comporterebbe una forte, e perniciosa, sotto-rappresentazione di alcune regioni italiane, specie quelle più piccole e specie dentro il Senato.
palazzo del quirinale sala degli specchi
Meglio, molto meglio, scrivere, a quel punto, una legge elettorale tutta nuova. E, nel cassetto, ma pronta all’uso, c’è il Germanicum: una legge elettorale di tipo proporzionale, con sbarramento unico e fisso al 5%, che attenuerebbe il problema della sotto-rappresentanza, specie delle regioni piccole.
Ma dato che, sia per attuare il referendum che ridisegnare i collegi e approvare una nuova legge elettorale, “ci vuole il tempo che ci vuole”, cioè diversi mesi, è realistico pensare che l’attuale legislatura resterà in carica e che sarà essa la base elettorale per la nuova elezione presidenziale che andrà in scena a febbraio 2022, cioè quando scadrà il mandato dell’attuale presidente.
PalazzoQuirinale D
Se sono veri i precedenti due motivi, ben corposi, in base ai quali è molto difficile, se non impossibile, che l’attuale legislatura, la XVIII dell’era repubblicana, venga sciolta, è ovvio che anche la ‘base’ elettorale della prossima elezione presidenziale non cambierà e, con essa, la maggioranza parlamentare che dovrà decidere il nuovo Capo dello Stato. ‘Base elettorale’ che è fissata sempre dalla Costituzione e viene detta dei ‘Grandi elettori’: stante l’attuale numero dei parlamentari (945), 5 senatori a vita e 58 delegati regionali (tre per ogni regione, tranne la Valle d’Aosta, che ne ha uno), i ‘Grandi elettori’ sono 1008. Quindi la maggioranza assoluta, che serve dal quarto scrutinino in poi, è di 504 grandi elettori, se vanno a vuoto i primi tre scrutini, dove invece servono i due terzi dei voti.
Berlusconi Renzi
L’attuale Capo dello Stato è in carica dal 3 febbraio 2015 (giorno dell’insediamento), dopo l’elezione, a scrutinio segreto, avvenuta il 30 gennaio, al IV scrutinio, scelto da poco meno dei due terzi dei ‘grandi elettori’ del Parlamento di allora, quello della XVII legislatura. Legislatura, quella precedente all’attuale, che già si era ritrovata a fare i conti con le dimissioni di Napolitano, che aveva aggiunto, ai suoi primi sette anni (2006-2013), altri due (2013-2015), succedendo, per la prima volta nella storia repubblicana, a sé stesso: lo fece dietro pressante richiesta e volontà unanime delle Camere, ma fu uno sbrego alla Costituzione che parla chiaro di mandato di 7 anni.
giuliano amato
La convergenza sul nome di Mattarella arrivò grazie a una delle solite ‘strambate’ di Matteo Renzi: prima voleva accordarsi con Berlusconi e il centrodestra (che, alla fine, si astenne) e che, di fronte all’ostilità di Berlusconi, che voleva eleggere Giuliano Amato e che non si ‘fidava’ di Mattarella, vide poi Renzi stringere un patto con la sinistra interna del Pd, quella che poi diede vita alla scissione di Mdp-Articolo 1 dei vari D’Alema, Bersani e Speranza, nella ‘speranza’, appunto, che quel patto avrebbe garantito lunga vita al suo nascente governo – cosa che, invece, come si sa, poi non fu.
napolitano
Ma uno dei pochi punti fermi della prossima corsa al Colle è che Mattarella – ex ministro della sinistra Dc prima e PPI poi, giudice della Consulta, etc., caratura di cattolico democratico a tutto tondo, personalità ferma e inflessibile quanto gentile e disponibile all’ascolto, insomma l’esatto opposto del suo predecessore, Giorgio Napolitano – non ha alcuna intenzione di farsi rieleggere, né per un periodo breve, né tantomeno per un periodo lungo, alla carica che, nel 2022, quando sarà arrivato alla veneranda età di 81 anni, avrà ricoperto per i canonici sette anni del suo mandato presidenziale. Lo dice la sua storia, personale e politica, lo dicono i suoi consiglieri più fidati, lo sanno i pochi amici di lunga data che Mattarella ancora conserva e con i quali spesso parla.
“Mattarella non è Napolitano – spiega uno dei suoi amici – ha interpretato il suo mandato in senso del tutto opposto a quello del suo predecessore. I suoi interventi politici e formali – tranne quelli, necessitati, sul ‘cancro’ che si sta mangiano la magistratura – sono stati pochissimi e mirati. I ‘rilievi’ del Colle, tranne su poche leggi (vedasi i decreti Sicurezza di Salvini, ndr.) sono stati rari ed eccezionali.
pierferdinando casini matteo renzi
Il presidente ha avuto, è vero, un ruolo maieutico nelle ultime due crisi di governo che si è trovato a gestire (la nascita del Conte I, nel 2018, e quella del governo Conte II, nel 2019, ndr.), ma anche la stessa popolarità, la stima, l’affetto – che si sono rafforzate, durante la pandemia e di cui gode presso l’opinione pubblica – dicono che Sergio Mattarella non ha alcuna intenzione di succedere a se stesso. Neppure se le forze politiche glielo chiedessero recandosi da lui in ginocchio e in processione, come hanno già fatto l’altra volta. Sergio non è Napolitano e non lo vuole diventare.
pierferdinando casini matteo renzi 2
Non indicherà di certo lui, il suo successore, anche se ha in mente, ovviamente, diversi profili che ritiene spendibili per il ruolo e la figura del suo successore. I giochi dei partiti sulla sua poltrona li lascerà ai partiti. Il solo compito che Mattarella intende scrupolosamente assolvere e che lo attende è la conclusione ‘ordinata’ e, possibilmente, ‘naturale’, della XVIII legislatura repubblicana, quella in corso.
Se dovrà sciogliere le Camere sarà, per lui, un grave smacco. Se non dovrà farlo, avrà vinto lui. Ma nessun leader di partito potrà costringerlo a restare – chiude il ‘ragionamento’ l’amico personale di Mattarella – oltre ai canonici sette anni previsti. Forse qualcuno si dimentica che Mattarella è un giurista e un cultore della Costituzione. Per lui, quello che hanno deciso i padri costituenti, un mandato presidenziale di 7 anni, è la legge, anzi le tavole della legge”.
walter veltroni massimo franco
Sgombrato il campo dal primo, grande, equivoco, la rielezione di Mattarella – favola che, dentro i Palazzi in molti ancora si raccontano – quali sono i ‘veri’ candidati al Colle? Per parte dem, il gioco, paradossalmente, è facile. Ci punta, sopra ogni altra cosa, il ministro ai Beni culturali, l’ex Dc- ex PPI, amico personale di Mattarella, Dario Franceschini, non a caso uno dei più tenaci propugnatori e sostenitori dell’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s. Ma ci puntano pure, anche senza darlo troppo a vedere, l’ex premier e fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, l’ex segretario del Pd, Walter Veltroni, e l’ex premier Enrico Letta, tutti e tre molto attivi sia sui social che, soprattutto, in tv e sui giornali.
Solo che, mentre Prodi ha l’età giusta, ma ci ha già provato, e gli è andata assai male, senza dire che sconta la totale ostilità della destra, Veltroni, Letta e Franceschini sono ancora troppo ‘giovani’, per poter ambire di sedersi al Colle mentre Paolo Gentiloni sarà impegnato ancora a lungo in Europa.
cossiga
Inoltre, i dem stanno scoprendo – come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera – che “i 5Stelle diranno di no a un candidato comune al Quirinale”. Poi, certo, per parte 5Stelle, ci sarebbe la candidatura del premier attuale, Giuseppe Conte: lui accarezza il ‘sogno’ di salire al Colle per occuparne la poltrona, l’M5s l’appoggerebbe (molti, ma non tutti), il Pd potrebbe essere costretto a farlo, ma la destra voterebbe in blocco contro una tale ipotesi.
antonio segni e giuseppe spataro ricevimento due giugno sessanta
Ed è a questo punto, dunque, che entra in gioco la destra e, in particolare, Silvio Berlusconi. Infatti, mentre Salvini e Meloni sognano, finalmente, di riuscire a imporre, proprio grazie all’aiuto del M5s, un candidato con le stimmate ‘di destra’ incorporate, al Colle (in 70 anni, non c’è mai stato, dato che anche personalità giudicate ‘di destra’ come Antonio Segni, Giovanni Leone, Francesco Cossiga, sempre alla Dc appartenevano), Berlusconi è pronto, come al solito, a giocare in proprio e, forse, ‘di sponda’ con il Pd, ove mai se ne presentasse l’occasione e, ovviamente, il profilo giusto. Due, in questo caso, i candidati possibili, per l’asse Cav-Renzi: il senatore Pierferdinando Casini (quotazioni in ascesa), e la presidente del Senato, Alberti Casellati (quotata in discesa).
vittoria e giovanni leone 1
I 5Stelle, allo stato, non hanno – e difficilmente avranno, anche tra un anno – candidati seri e ‘papabili’ allo scranno presidenziale, ma i loro voti fanno gola a tutti: sono la forza politica più grande presente in Parlamento e, senza il loro gradimento, nessuno dei due schieramenti ‘canonici’, il centrodestra o il centrosinistra, può ambire ad avere il Colle. Insomma, sono la Dc dei bei tempi.
Salvini, la Meloni e, obtorto collo, pure Berlusconi, lo sanno: proprio con loro devono fare i conti, se vogliono riuscire nell’impresa. Come, ovviamente, lo sa il Pd. Dunque, come sempre, sarà ‘al centro’ dell’area politica, e dei gruppi parlamentari, che si consumerà la lotta per conquistare il Colle, pur se il ‘centro’, oggi, vuol dire M5s. Sarà lì, al centro, che si bruceranno e si accavalleranno i candidati.
CARTABIA
Poi, certo, se nessuno dei nomi politici mostrerà chanches di vittoria o dovesse finire ‘bruciato’ nelle prime votazioni (nei primi tre scrutini serve la maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio in poi ‘basta’ la maggioranza assoluta), tornerebbero in gioco figure istituzionali e super partes come Mario Draghi o la presidente della Consulta, Marta Cartabia, che ha il pregio di essere donna (mai una donna è salita al Colle) e di essere la candida in pectore del Colle o, meglio, del suo attuale inquilino. Una sola cosa è certa: Mattarella non si ricandiderà e non si farà mai ricandidare. Punto.
mario draghi