Quirino Conti per Dagospia
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Come poche altre attività creative, la Moda vive di antitesi; di contrapposizioni spesso addirittura drammatiche, come quelle senza esclusione di colpi tra Armani e Versace, Dolce & Gabbana e Gucci, ma precedentemente anche tra Chanel e Schiaparelli. Negli anni settanta, eroica e quasi mitica fu la contrapposizione tra l’apollineo di Montana e il dionisiaco di Mugler. E se il primo aggiungeva arbitrariamente l’oro agli abiti da giorno, come un nuovo Beato Angelico, l’altro su corpi da valchiria applicava niente di meno che il frontale (con annesso manubrio) di una scintillante motocicletta, completo di ogni più espressivo dettaglio. In un percorso che, partendo dal culto del corpo, era finito per trasfigurarlo in una sorta di robot estetizzante.
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Thierry Mugler era abituato, infatti, a un “corpo” ulteriore, da ex danzatore, e portò alla Moda un’eroicità fisica che non aveva mai conosciuto (poi continuata nel lavoro di Nikos, ma anche in quello di Calvin Klein). Corpi, dunque, eroici ai quali la Moda aggiungeva una forma sempre più stilizzata. Uno stile selettivo che sfocerà nel grande successo di Azzedine Alaïa, prossimo di Mugler nella professione e nell’ideologia. Perché questo genere di stile corre spesso il rischio di selezionare per razza la corporalità dell’umano. Come nell’Olympia di Leni Riefenstahl.
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Non bastava a Mugler la bellezza, la sua era una ricerca del superuomo tradotto in femmina. I dettagli del suo stile provenivano sempre da una macchina vittoriosa, da un corpo eroico ignaro del dolore. Ecco perché come mai, in questo caso, la morte non si addice alla Moda. E non solo perché ne fece una riflessione anche il giovane Leopardi, ma per il vitalismo incurante di tutto ciò che lo stile Mugler portò a questo mestiere. Senza un difetto – senza una piega, come si direbbe –, i corpi inventati da lui provenivano, più che dalla letteratura, da un fumetto erotico. Con maschi entronauti e femmine regine della giungla. Comunque disumani, o meglio superumani.
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Il massimo lo raggiunse nella promozione dei suoi profumi: dove creature fredde come iceberg e guerrieri provenienti da stelle lontane invadevano le pagine degli avidi magazine, nel disagio e nello scandalizzato smarrimento dei più fronzuti decoratori e addobbatori ancora in circolazione.
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La Francia sa onorare la Moda come nessun altro paese: se indimenticabile e struggente fu l’addio a Saint Laurent, per Mugler, un condottiero che rientrò nell’ombra senza mai perdere l’aggressività del suo “nuovo mondo”, sarebbero più adatti gli onori militari. Insieme alla gratitudine per aver combattuto – più che disegnato – uno stile.
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