Candida Morvillo per corriere.it
GASSMANN 5
Al cinema è un prof iperconnesso in Beata Ignoranza, nella vita, gira documentari sui migranti, twitta (solo 20 minuti al giorno...) su mafia, Pd, violenza, scende a spazzare le strade sporche di Roma.
«La nascita di mio figlio e la morte di mio padre mi hanno fatto crescere e imparare ad espormi», spiega . E poi: come si ama la stessa donna da 25 anni, la volta che Raquel Welch voleva sedurlo, la tartaruga nascosta sotto uno strato di adipe...
Aprile di quest’anno. A Ballarò, Alessandro Gassmann ce l’ha con Giorgia Meloni. Alza la voce: «Io, a voi politici vi pago e quindi vi giudico quanto voglio». Sul web, quella lite è diventata virale.
Da un po’, quando c’è una battaglia civile da combattere, lui c’è. Gassmann con due N, perché una l’ha aggiunta di recente in omaggio al nonno di origini ebraiche che dovette toglierla durante le leggi razziali, twitta su politica, assenteismo parlamentare, mafia, referendum, violenza contro le donne. Ha girato un documentario sugli artisti siriani rifugiati in Giordania e Libano.
È sceso in strada con la scopa per pulire il vicolo sotto casa sua a Roma. «Noi cittadini abbiamo il diritto di partecipare e il dovere di farci sentire, specie avendo una classe politica non fantastica come la nostra», dice alCorriere. In principio, Alessandro era Gassman-figlio, il terzogenito dell’immenso Vittorio, il ragazzino che si era messo in testa di fare anche lui l’attore.
GASSMANN PADRE E FIGLIO 2
Aveva una faccia da schiaffi, gli offrivano ruoli da playboy o mascalzone. I recensori scrivevano: «È perfetto quando fa il bello, superficiale e senza scrupoli». Aveva un fisico da urlo e finì su un calendario da 750 mila copie. Anno 2001, tartaruga memorabile, antisnobismo da vendere, dato che arrivava da Il bagno turco di Ferzan Ozpetek, il film che l’aveva sdoganato come bravo davvero. Con Caos Calmo, dove faceva il fratello di Nanni Moretti, arrivano i premi: David di Donatello, Nastro d’argento…
Oggi, a 52 anni, Alessandro Gassman ha diretto due teatri stabili, quello del Veneto e quello dell’Aquila, ha firmato dieci regie teatrali, una di cinema,Razzabastarda, crudissima storia di immigrazione. Nessuno più gli chiede che significhi esser «figlio di». Lui, però, se ne infischia di fare l’attore impegnato, spazia e fa quel che gli pare.
GASSMANN
Fiction, come I bastardi di Pizzofalcone, appena andata in onda su Raiuno, sei milioni 800 mila telespettatori di media, quasi il doppio dell’Isola dei famosi che andava in contemporanea, regie teatrali sold out ovunque, come Qualcuno volò sul nido del cuculo, o La pazza della porta accanto, sulla poetessa Alda Merini, infine, commedie come Beata ignoranza di Massimiliano Bruno, al cinema in questi giorni. «Glielo dico subito, in questo film sono un deficiente. Bruno mi affida sempre ruoli da disturbatore e cialtrone.
In Viva l’Italia ero il figlio scemo, ne Gli ultimi saranno i primi, un marito farfallone. Qui sono un prof modernista, sempre iperconnesso a social e telefonino, mentre Marco Giallini è il classico cinquantenne rimasto fermo all’anteguerra. Lui sarà costretto a usare le tecnologie, io ne sarò privato. Si ride molto e spero che anche si rifletta», racconta.
Lei ha 191 mila followers, conta 52.300 tweet. Non è iperconesso?
«Io sto su Twitter venti minuti al giorno, solo la mattina. Poi, spengo e non ci penso più. C’è gente che vive lì dentro, fa piccole battagliette, magari nella vita sono persone ammodo, ma sui social danno il peggio di sé. Nascosti vigliaccamente dietro l’anonimato, dicono cose che non pronuncerebbero mai a voce. Io mi sono dato la regola di essere su Twitter quello che sono nella vita».
Sui lavori di ristrutturazione del Teatro Valle di Roma, ha scritto: «Sono una manica di inetti, bugiardi, ignoranti».
GASSMANN PADRE E FIGLIO
«Quel teatro è il più antico di Roma ed è chiuso da cinque anni. Hanno promesso di ristrutturarlo i sindaci Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Virgina Raggi, il commissario Francesco Tronca… Mi ha sempre dato fastidio essere preso in giro. Ora, è comparso il cantiere, speriamo».
Lei ha votato Virginia Raggi?
«No, però voglio essere ottimista. Anche perché peggio di così Roma non può essere».
Sul Pd, ha twittato: «Più che una scissione è una liquefazione. #ditequalcosadisinistra».
«Sarei di centrosinistra, ma il Pd ha perso il polso della situazione, è distante dal Paese. Ora, non sto né con Matteo Renzi né con la scissione. Se si votasse domani, forse non voterei».
Ha anche twittato: «Possibile che un raffinato politico come Massimo D’Alema non capisca che, se tiene un tono perennemente sarcastico, risulta odioso?».
«Lo dico da attore: se avesse un altro timbro vocale, una mimica meno saccente, sarebbe ascoltato di più. Non che in politica si debba essere simpatici per fare le cose».
GIALLINI GASSMANN
Due estati fa, lei ha lanciato gli hashtag #puliamoRoma e #Romasonoio ed è sceso a pulire il vicolo di Trastevere sotto casa sua. Quando le è venuta questa furia civile?
«Ho sempre amato prendere posizione, non mi piace osservare e basta, ma, per anni, non l’ho fatto pubblicamente, non è nel mio carattere, sono schivo. Però, diventare padre, 18 anni fa, è stato un passaggio importante: ho capito di fare un mestiere pubblico che mi consente di far sentire la mia voce e l’ho capito perché il centro della mia vita si è spostato su un’altra persona. Due anni dopo, è morto papà e io ho definitivamente smesso di essere figlio per essere padre».
Che significa essere padre?
«Che devi sbagliare meno. Ne parlavo con Marco Giallini, che ha due figli e ha perso la moglie cinque anni fa. Dicevo: “Ci hanno dato tanto questi ragazzi”. Se, come noi, hai avuto un buon padre, senti la responsabilità di ricambiare il dono che hai ricevuto».
E lei ha avuto un buon padre.
«Mi ha sempre insegnato che, se ho davanti, due strade, devo scegliere quella che richiede uno sforzo maggiore».
Perché suo papà diceva che, da grande, lei avrebbe fatto « il puttaniere e il croupier»?
«…».
Non rida.
«Perché ero paraculo. Sapevo di essere carino, di avere un sorriso accattivante. Ma lui si augurava che non andasse così».
ALESSANDRO GASSMANN
Mi racconti un episodio in cui le pronosticò questo futuro allegro.
«Durante il mio primo viaggio con gli amici, in Grecia, rimasi senza soldi. Ma, avendo incontrato una donna diciamo matura, mi trasferii da lei al grand hotel, salvando tutti, perché la mattina sottraevo brioches e marmellate dalla colazione e le gettavo agli amici dalla finestra per far mangiare anche loro».
Ammirevole.
«Però non era una tardona, era una trentottenne anche bella, io avevo diciott’anni. C’era del sentimento».
Suo padre fu fiero di lei.
«In casa si schierarono due partiti. Lui disse: “Almeno se l’è cavata”. Sua moglie Diletta disse che era eticamente vergognoso. Aveva anche ragione».
Altre avventure rocambolesche?
«Alla fine, ero un timido. A 16 anni, nell’ascensore di un grande albergo di Lecce al Premio Rodolfo Valentino, Raquel Welch che era un mio mito erotico, mi guardò in modo più che eloquente, ma io la lasciai uscire al suo piano senza seguirla. Ero imbarazzato, sudato, mi sentii un fesso. Ebbi il coraggio di confessarlo a mio padre solo anni dopo».
Lei come educa suo figlio?
«Ho posto paletti larghi, ma inamovibili. Sono un padre che gioca, scherza, fa la lotta, ma che, se serve, sa imporsi».
Quali sono i paletti «larghi ma inamovibili»?
GASSMANN
«Il primo è che la nostra libertà termina dove inizia quella degli altri. Puoi ascoltare la musica forte, se non dai fastidio a qualcuno. Puoi ubriacarti, ma poi non guidi e non metti a rischio l’incolumità tua e altrui. L’altro paletto è quello che citavo a proposito di mio padre: per ottenere risultati bisogna faticare».
Suo padre era oculato. Le diceva sempre di spegnere le luci.
«Lo disse anche poco prima di morire. Io, a mio figlio, quando ha preso la patente, ho regalato un’utilitaria usata. Ma Leo non è un fighetto, è molto più serio di quanto non fossi io alla sua età. Studia, è più intelligente, fa sport, è appassionato di filosofia».
Quando suo figlio aveva un anno, posaste nudi per il settimanale Specchio. Lei disse: «Uno scambio di ruoli fra genitori sarebbe fruttuoso per tutti». Di fatto, inventò il «mammo» . Col senno di poi, è della stessa idea?
«Sì, credo che in una famiglia tutti debbano fare tutto e che le donne si ritrovino a fare più le mamme perché per loro, anche se più colte e brave di noi, c’è meno lavoro».
Lei in casa che cosa fa?
«Sono il più bravo a caricare la lavapiatti, batto tutti in velocità e capacità di sgrassare a mano, col limone, come faceva la nonna».
ALESSANDRO GASSMANN E MARCO GIALLINI IN BEATA IGNORANZA
Lei sta con sua moglie, l’attrice Sabrina Knaflitz, da 25 anni. Inaspettato per un sex symbol.
«È una donna splendida, forte, in casa le decisioni le prende lei. A lungo, si è tirata fuori dal lavoro per sostenere la famiglia e me. Incontrarci è stata una fortuna».
Avere un padre che ha collezionato tre matrimoni e svariati amori ha influito sul suo desiderio di stabilità?
«Forse per reazione, ma credo che fra me e Sabrina duri perché ci amiamo con intelligenza e complementarità. La cosa strana è che litighiamo spesso. Parecchio e non stancamente».
Per che cosa litigate?
«Per tutto. Su come educare nostro figlio, su dove andare in vacanza. Ma, quando non c’è, come ora che è in tournée, le nostre litigate mi mancano, nonostante all’80 per cento prevalga lei perché io sono permaloso, quando mi arrabbio dico frasi che non penso, mi metto dalla parte del torto, azzardo decisioni definitive che poi mi rimangio. Prevale lei, perché ho tanti difetti, ma se sbaglio lo ammetto».
Sua moglie è via, in tournée ne La pazza della porta accanto, di cui lei è regista. Perché le due sue ultime regie hanno per tema la follia?
ALESSANDRO GASSMANN E MARCO GIALLINI IN BEATA IGNORANZA
«In realtà, m’interessa il tema della privazione della libertà. Alda Merini, interpretata da una splendida Anna Foglietta, ha vissuto una situazione assurda, sappiamo come si stava nei manicomi. Mentre Qualcuno volò sul nido del cuculo, nell’adattamento di Claudio Fava ambientato in un manicomio di Aversa, ha un protagonista che si finge pazzo per non stare in carcere e tocca corde anche grottesche. In entrambi i casi, la gente si emoziona, si commuove».
Lei per che cosa si commuove?
«Piango al cinema e mi commuovono le persone buone, più che le persone che hanno problemi. Ho pianto guardando in Tv le scene dell’hotel di Rigopiano travolto dalla neve. Ho pianto nei campi dei profughi siriani dove ho girato con l’Unhcr».
La crisi dei cinquant’anni si è sentita?
«Ho sentito solo la sciatica. L’altro giorno, Giallini, dopo 48 ore di promozione del film, molte in piedi, mi ha chiesto: “Senti anche tu una stanchezza atavica, come se l’avessi sempre con te?”. E io: “La vecchiaia è quando senti questa stanchezza e capisci che domani ti sveglierai e non sarà passata”».
Lei la tartaruga da calendario l’ha ancora?
«C’è, ricoperta da adipe in avanzamento con l’età. Ma sono in buono stato rispetto agli anni che ho. Faccio una vita sana e beneficio dello sport praticato da ragazzo».
alessandro gassmann ricorda maria pia fusco
Beata ignoranza è il terzo film che gira con Giallini dopo Se Dio vuole e Tutta colpa di Freud. Come si forma una coppia cinematografica? E penso anche a quella Gassman e Tognazzi.
«Per complementarità e simpatia. Marco mi fa ridere e io faccio ridere lui. Sul set, a me vengono idee per lui e a lui per me. Anche guardando mio padre, ho capito che lavorare con persone a cui vuoi bene è importante. E io e Marco siamo accomunati dal non avere eccessi di snobberia, pur facendo anche cose raffinate».
Come si spiega il successo de I bastardi di Pizzofalcone?
«È tratto dai libri di Maurizio De Giovanni ed è bello attingere a libri che hanno personaggi già sfaccettati e profondi, qui i protagonisti sono umani, hanno sbagliato o sono accusati di aver sbagliato».
La Napoli di quella fiction è molto diversa dalla Napoli di Gomorra. Lei è fra chi ritiene che Gomorra offra un cattivo servizio alla città e renda affascinanti i camorristi?
alessandro gassmann saluta giorgia meloni
«Noi raccontiamo anche la parte bella di Napoli, quella del centro che è insieme periferia e quartiere abitato da benestanti. Una Napoli, oggi, che ha un calore umano che a Roma si è perso. Gomorra racconta una periferia che c’è ed è giusto raccontare così com’è».
La sua prossima tappa?
«L’8 maggio inizio a girare il mio secondo film da regista, titolo provvisorio Il viaggio, anzi, scusi: Il premio. Racconto il lungo viaggio in auto da Roma a Stoccolma di una famiglia anomala: un vecchio, due figli, un segretario, due nipoti. Immagino una commedia sofisticata, non volgare, anche malinconica». (Sotto, nella
Quando ha detto «il viaggio», ho pensato al viaggio fatto con suo padre, che lei citò in un’intervista per dire che da Roma a Milano non vi scambiaste una parola. Lapsus casuale il suo?
«In effetti no. Sono partito da una frase che diceva sempre mio padre negli ultimi anni: “Se volessi, potrei vivere mangiando e dormendo gratis in posti bellissimi, solo ritirando premi alla carriera”. Poi, il resto della sceneggiatura è di fantasia. Comunque, il nostro era un silenzio non imbarazzato, ma molto piacevole. Io non sono un chiacchierone, papà non lo era. Avevamo un modo bello di stare in silenzio, lo stesso che ho con mia moglie Sabrina quando passeggiamo nei boschi, attività che ci piace molto».
alessandro gassmann pulisce la strada 3
Come ha vissuto la depressione di suo padre?
«Non era facile stargli accanto. Ho dovuto imparare a comunicare con lui. Il segreto era non farlo sentire malato, non assecondarlo. Se non voleva alzarsi dal letto, lo spronavo, minimizzando. Dicevo: se ti alzi non succede niente, vedi? Papà aveva momenti in cui era molto giù, ma per fortuna altri in cui era persino entusiasta».
Lei di depressione non ha mai sofferto.
«Io al massimo attacchi di panico. Il primo lo ebbi in teatro. Ora sono passati, all’inizio grazie ai farmaci, poi con l’analisi, il regalo più importante fatto a me stesso».
Che cosa ha imparato di fondamentale in analisi?
alessandro gassmann pulisce la strada 2
«Che non devo essere io a risolvere tutti i problemi del mondo. Prima, mi sembrava inopportuno chiedere favori, ora ho imparato ad affidarmi alle persone vicine. Mi restano piccole paure. Quella dei cani, perché da ragazzo ne vidi uno mordere una donna, e la paura di nuotare dove non vedo il fondo, ma poi nuoto lo stesso».
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