Simone Di Meo per “la Verità”
A dar credito alle minacce di querela di Tiziano Renzi, il primo della lista dei denunciabili dovrebbe essere proprio il figliolo, Matteo. Che a Filippo Roma delle Iene, nella puntata andata in onda martedì sera, alla fine ha detto a denti stretti quel che il genitore sta tentando strenuamente di negare. Per l' ex premier, infatti, non risarcire Evans Omoigui, ex strillone di una società di famiglia, è un «errore».
tiziano renzi filippo roma le iene
La Verità ha documentato che esistono almeno due condanne del tribunale di Genova (giudici Margherita Bossi e Giuliana Melandri) in danno della società Arturo srl (di proprietà di babbo Tiziano e da lui amministrata fino al marzo 2007) con relativi indennizzi proprio per aver sottopagato e cacciato lavoratori irregolari.
Nello specifico 90.000 euro a Omoigui, e 15.000 euro a Monday Alari. Quest' ultimo ingaggiato pur in assenza del permesso di soggiorno. «Io dico che se ci sono delle sentenze vanno tutte rispettate», ha aggiunto Matteo evocando, comunque, lo spauracchio delle denunce per chi osa ricordarglielo. E giocando a confondere le acque con le cause vinte dal babbo contro Marco Travaglio. Cause scaturite da articoli riguardanti il fallimento della Chil post (altra creatura della galassia societaria renziana) e non le vertenze di ex impiegati senza contratto.
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Dunque, perché l' ex premier non convince il babbo a versare quanto dovuto a Evans? D' altronde, lo stesso Tiziano è sbottato incalzato dalla Iena: «Ne rispondo io dei cosi (debiti, ndr) di Arturo...». Che ne dovesse rispondere lui, in realtà, lo sapeva anche il magistrato che - nel 2011 - aveva dato mandato agli ufficiali giudiziari di notificargli a casa l' intimazione a pagare i 90.000 euro al nigeriano, ma l' azienda nel frattempo era già stata cancellata dal registro delle imprese; e lui non aveva versato un soldo.
Si rifarà ora che lo ha annunciato in tv? Chissà.
Ancora ieri, Tiziano, su Facebook ha ribadito di non voler essere accostato ad Antonio Di Maio, il papà del vicepremier che ha ammesso di aver avuto lavoratori in nero. «Il servizio delle Iene aveva un obiettivo molto chiaro», ha scritto, «dimostrare che sono tutti uguali.
Non è così, naturalmente».
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E via con il solito elenco delle presunte diffamazioni. Una in particolare merita attenzione: «Non ho strutture abusive ma un tendone autorizzato che peraltro si monta, si smonta, si sposta essendo un tendone e non un manufatto abusivo». Autorizzato sì, ma solo per 90 giorni, ha dimenticato di aggiungere Tiziano.
Novanta giorni che sarebbero scaduti nel giugno 2017 e che, invece, si sono protratti fino a dicembre 2018. Quando è stato disinstallato, in tutta fretta, dopo la pubblicazione di un nostro articolo.
Come pure aveva suggerito l' ex presidente del Consiglio, sempre alle Iene: «Se c' è un tendone abusivo è una cosa gravissima», aveva detto di fronte alla telecamera, «io sono favorevole a togliere il chiodino che tiene il tendone...».
Insomma, per Orso Saggio - il nickname che Renzi senior si scelse su Facebook - e per il figlio il tema del contendere è sempre il confronto con la dinasty di Pomigliano d' Arco. Una famiglia che, dalle carte finora emerse, annaspa in difficoltà finanziarie che non sono sconosciute nemmeno ai Renzi. Considerato che, nel 2012, i quattro fratelli (Matteo, Samuele, Matilde e Benedetta) hanno acquistato, accendendo un mutuo da 1,3 milioni garantito anche da una banca di cui è socio l' amico Marco Carrai, la casa familiare di Torri, una frazione di Rignano sull' Arno, dalla mamma Laura Bovoli. Quel giorno, dal notaio, a rappresentarli come da procura depositata è il papà Tiziano. Di solito, l' asse ereditario si forma per successione e non per vendita. Perché questa scelta?
matteo renzi filippo roma le iene
Semplice: i Renzi avevano bisogno di liquidità. «Gliela feci io l' operazione della villa perché Tiziano mi disse che era in difficoltà; comunque non fece nulla di male, ha pagato le tasse», ha ricordato Andrea Bacci, ex amico e collaboratore di famiglia. Una richiesta di mutuo a 25 anni, peraltro su un immobile già ipotecato, avrebbe incontrato difficoltà considerata l' età anagrafica dei genitori dell' ex premier. È stata invece accettata facendo gravare il prestito sulla generazione più giovane.
Altra operazione su cui, magari, la casata di Rignano sull' Arno potrebbe spendere qualche delucidazione, è quella relativa al finanziamento di 437.000 euro concesso nel 2009 dal Credito cooperativo di Pontassieve alla Chil post srl (poi fallita) e garantito da Fidi, la finanziaria della Regione Toscana, nonostante il trasferimento della sede legale fuori regione (Genova) e malgrado il ritorno in capo a papà Tiziano delle quote che prima erano nelle mani della moglie e delle figlie.
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Requisito, quest' ultimo, che aveva assicurato l' incasso di una somma più alta in virtù della «prevalenza femminile» della compagine sociale.
Sempre ieri, a sparare sui Di Maio è stata anche Maria Elena Boschi. «Il vicepremier non poteva non sapere quel che accadeva nella sua azienda», ha detto. Azienda di cui Luigi Di Maio non aveva però la gestione, affidata ai fratelli. Mentre è opportuno ricordare che l' ex ministra incontrò l' ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, per parlare di Banca Etruria (di cui il papà era prima consigliere e poi vicepresidente) a pochi mesi dal commissariamento.
ANTONIO DI MAIO
Storielle che non finiranno mai, come lo scoop sui lavoratori irregolari dell' azienda di famiglia del vicepremier Luigi Di Maio, sul New York Times. Chi ha firmato quell' articolo è infatti una vecchia conoscenza del Giglio magico. Si chiama Jason Horowitz, ed è l' autore - tra gli altri - di un memorabile ritratto di Matteo Renzi premier. «Con i suoi lineamenti morbidi e la risata contagiosa, può essere affascinante in modo disarmante», scrisse con leggero tocco michelangiolesco il giornalista americano, rapito ed affascinato dal Lorenzo de' Medici di Pontassieve.
ANTONIO DI MAIO