Carlo Bertini per ''la Stampa''
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Quando Nicola Zingaretti butta lì la frase che vanno evitate due liste per le europee ispirate al Pse, i suoi sostengono si riferisca ai socialisti di Nencini, ma due renziani di credo ortodosso si guardano al volo: «Sta dicendo che infila nelle liste quelli di Leu», sibila uno nell' orecchio dell' altro che annuisce. Ecco il fantasma che agita i sonni di quelli che temono il ritorno dei «traditori» alla Bersani. «Qualcuno ci ha fatto la guerra e ora vuole rientrare!», alza il muro Bobo Giachetti, citando il caso di Elisa Simoni passata con Mdp e ora pronta a riprendere la tessera.
renzi martina
L' altro fantasma, un accordo del Pd con i grillini, Zingaretti prova a scacciarlo con una scelta simbolicamente significativa: lasciando alla Regione senza farlo entrare nel nuovo Pd il vicegovernatore Massimiliano Smeriglio, teorico della politica dell' avvicinamento a M5S che ha più volte creato problemi al candidato durante la campagna per le primarie. Due fantasmi, il ritorno dei «compagni traditori» e l' occhio di riguardo per i grillini, che forse saranno usati dai renziani come alibi per andarsene da casa. Un esito evocato dal palco da Anna Ascani se pure al rovescio, «qualcuno ci vuole buttare fuori ma questa è casa nostra», insieme all' accusa a Zingaretti di dire sempre che l' avversario è Salvini, mentre «lo sono pure i 5 stelle!».
Ma se scissione sarà non avverrà certo a breve. Matteo Renzi è restato a Firenze a marcare le distanze da quel Pd che Zingaretti tiene bene a chiarire, «non è una bad company». E pure se lancia un tweet («buon lavoro Nicola, basta polemiche interne, avanti tutta») Renzi non incanta gli scudieri del neo-leader che si indignano per la sua assenza. «Aveva un buon motivo familiare, ma non sarebbe venuto comunque», ammettono i fiorentini che lo conoscono bene.
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E che sanno quanto all' ex leader risulti indigesto presenziare alle incoronazioni di altri. Quando poi si parla con la vecchia guardia dell' intenzione repressa di far nascere un nuovo soggetto, della voglia di strutturare i comitati civici battezzati alla Leopolda, investendo del compito Ettore Rosato, chi ne sa qualcosa garantisce che se Renzi dovesse dare vita a una nuova formazione, lo farebbe solo a tempo debito. «Lui dice sempre che i nuovi partiti si fanno sotto elezioni, non si annunciano prima».
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Ogni eventuale scissione resta dunque nel congelatore almeno per un anno. Nel frattempo i suoi marcano il territorio nel Pd provando a vendere cara la pelle. Il niet di Luca Lotti a Zingaretti sulla proposta di mettere Andrea Orlando capogruppo al posto di Delrio, in cambio di un ingresso in segreteria, nasconde una debolezza. Uno stop che il segretario ha accolto infatti con flemma, rilanciando perfidamente dal palco una pepita più grossa in grado di spaccare il fronte.
«Propongo che ci sia un vicesegretario indicato da chi non ha vinto il congresso», ha buttato lì, sapendo di scatenare un putiferio nel torrente della minoranza. Costituita dal blocco di Giachetti e dai quattro affluenti di Martina, quello guidato da Lotti e Guerini, quelli di Matteo Richetti e Matteo Orfini e quello dello stesso Martina. Il quale, fiutata l' aria di guerriglia, con i renziani pronti a giurare che quel posto sarà ricoperto dalla fidata Simona Malpezzi, ha subito diramato una nota per dire che Zingaretti «per decidere il nome si rivolgerà a lui e non certo a sottocorrenti». Facendo trapelare che i nomi papabili sono Tommaso Nannicini, Matteo Mauri, Chiara Gribaudo, Brenda Barnini.
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Dunque la minoranza è divisa, non vuole cedere la poltrona di capogruppo, facendo la parte di chi non tratta sul punto, ma vuole mantenere il piede nella cabina di regia.
Zingaretti lascerà la questione dei vicesegretari a bagnomaria e si dedicherà alle amministrative e alle Europee. Provando a tenere dentro tutti.
«Sono orgoglioso dei nostri governi - rassicura i renziani - non dividiamoci».
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