PADOAN RENZI
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Matteo Renzi non dice la verità. O per lo meno non la dice tutta. Non è vero che l’Europa ha bocciato l’attivazione del Fondo di tutela dei depositi come aiuto di Stato illegittimo, di fatto costringendo il governo e la Banca d’Italia a optare per il più costoso (oltre che doloroso) piano «B», cioè il salvataggio d’emergenza dei quattro istituti in crisi. C’era un’alternativa per evitare l’assurda «risoluzione» di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e Popolare dell’Etruria.
Ed era una soluzione che non solo è stata esaminata a lungo dai vertici dell’industria bancaria e dall’autorità di vigilanza, ma che è stata suggerita dalla stessa Unione europea nella lettera che palazzo Chigi ha fatto circolare ieri. Un’operazione squisitamente mediatica intentata dall’ex sindaco di Firenze per cercare di scaricare su Bruxelles le colpe della bufera legata al «risparmio tradito», ma che sta tornando indietro su Roma, minacciosa come un boomerang.
il pupazzone di matteo renzi protesta a bruxelles durante il g sette
Insomma, siamo di fronte al più classico degli autogol. La questione, come accennato, ruota attorno al Fondo interbancario di tutela dei depositi. Si tratta di uno strumento privato e finanziato dalle banche, ma considerato formalmente pubblico dall’Ue perché previsto da direttive europee oltre che dalla legislazione nazionale. Un cappello «statale» reso ancor più evidente dal fatto che i contributi sono obbligatori.
renzi con merkel cameron van rompuy harper
Tuttavia, il Fondo è «attivabile» anche su base volontaria. E nella lettera di chiarimenti dell’Ue spedita il 19 novembre al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, viene espressamente menzionata questa ipotesi. Sbaglia, quindi, l’inquilino di via Venti Settembre quando sostiene che la lettera «ci dà ragione» perché sarebbe stata l’Europa a vietare l’utilizzo del piano «A». Non è così.
fotomontaggi maria elena boschi e banca etruria 9
Secondo l’Ue, quando uno o più istituti sono sull’orlo del baratro «se altre banche decidono da sole di intervenire in un meccanismo pienamente privato, questo esula dall’ambito del controllo Ue sugli aiuti di Stato». Che vuol dire? Che Marche, Chieti, Ferrara ed Etruria potevano essere salvate con un meccanismo diverso in grado di sterilizzare sia l’azzeramento delle azioni sia la cancellazione delle obbligazioni subordinate.
Tutto questo è spiegato nella comunicazione che Renzi ha utilizzato come scudo, probabilmente senza conoscerne a fondo i dettagli né i risvolti tecnici. Per cercare di metterci una pezza, il Tesoro, nel tardo pomeriggio di ieri, ha fatto filtrare un’altra comunicazione di Bruxelles, quella relativa a Tercas. Questa seconda lettera, in realtà, è datata: fu mandata a febbraio da Bruxelles e anticipava quanto la stessa Commissione Ue avrebbe poi ripetuto a novembre.
renzi con il padre suo e di boschi e rosi di banca etruria stile amici miei
L’utilizzo del Fondo di tutela diventa aiuto di Stato illegittimo solo se si sfruttano i versamenti obbligatori; sesi sceglie la «volontarietà» non esistono ostacoli. Tant’è che proprio per Tercas la soluzione è già in pista. E lo spiega lo stesso Tesoro: «È pronto l’intervento di un fondo volontario del sistema bancario». Ed era pronto anche per i quattro istituti di credito «risolti» col consiglio dei ministri di domenica 22 novembre.
Non se n’è fatto nulla. I motivi vengono taciuti dai diretti interessati. Sono, però, piuttosto chiari. La prima ragione è fiscale. Per i contributi obbligatori esiste uno sgravio che non si applica a quelli volontari: lo sconto corrisponde alla defiscalizzazione dei «versamenti» pari a una detrazione Ires del 27,5 per cento.
renzi boschi banca etruria
Non è poco e i conti sono stati analizzati pure dagli esperti delle banche: sui 3,6 miliardi tirati fuori (tra quote 2015 al Fondo di risoluzione di Bankitalia e anticipi degli anni successivi) lo sgravio Ires è di 1 miliardo. Se, invece, avessero scelto il finanziamento volontario, non ci sarebbero stati benefici tributari. Non è tutto. Il piano è finito sul binario morto anche per alcuni dissidi fra i grandi gruppi bancari del Paese.
Nelle ore più concitate, attorno alla metà di novembre, qualche banca ha minacciato di tirarsi indietro. Un «tradimento» che avrebbe comportato esborsi maggiori a carico di tutti gli altri partecipanti al salvataggio di Marche, Chieti, Ferrara ed Etruria. È quindi è prevalsa la linea «o tutti o nessuno». Con buona pace per chi, grazie alla «risoluzione» delle quattro banche in crisi, ha perso i risparmi di una vita