1. UE, IL PREMIER SFIDA JUNCKER
Da “la Repubblica”
renzi mogherini 2
«Cher Jean-Claude, caro presidente...il governo italiano ha deciso di designare Federica Mogherini come Alto rappresentante e vice presidente della commissione europea». I toni non potevano essere più affabili. Ma la sostanza non va nella direzione chiesta da Jean Claude Juncker. Il neo presidento eletto della Ue aveva sollecitato tutti i paesi a fornire i loro candidati commissari entro il 31 luglio. Il premier italiano aveva reagito: «Prima dobbiamo sapere la delega, poi daremo il nome». Juncker aveva insistito per avere da ciascuno una rosa di nomi. Renzi aveva temporeggiato, ma ribadendo che «l’Alto rappresentante della politica estera europea spetta al Pse, che ha non solo “il diritto”, ma anche il “dovere” di rivendicarlo».
JUNCKER
E che l’Italia non aveva nessuna intenzione di retrocedere sulla richiesta di lady Pesc per il ministro Mogherini, respingendo l’accusa di essere filo russi. Poi a tarda sera la lettera a Juncker che indica la Mogherini esclusivamente per il ruolo di Alto rappresentante. Ma la partita delle nomine tra Roma e Bruxelles è tutta da giocare. Juncker nel corso della giornata aveva peraltro fatto sapere che ci sarebbe stato un ulteriore slittamento se i paesi membri non avessero indicato un numero adeguato di donne.
2. GIOCARSI A BRUXELLES IL TUTTO PER TUTTO
Andrea Bonanni per “La Repubblica”
LETTERA DI RENZI A JUNCKER
A poker la mossa di Renzi ha un nome preciso. Si chiama “all in”: giocarsi il tutto per tutto. Spesso questa mossa copre un bluff. Ma non sempre. Nella diplomazia comunitaria un nome non c’è. Non a caso. Perché il passo del governo italiano è, appunto, la negazione della diplomazia e della ricerca di un compromesso, che è l’essenza stessa della politica europea. Come è abituato a fare nel teatrino italiano, Matteo Renzi spariglia i giochi.
Ribalta il tavolo. E con l’occasione assesta anche un potente ceffone al presidente designato della Commissione europea, Jean Claude Juncker, che è un grande incassatore ma anche un tipetto vendicativo e dalla memoria lunga.
Si può star certi fin da ora che, se davvero il bluff di Renzi porterà Federica Mogherini sulla poltrona di Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue e vicepresidente della Commissione, la signora non avrà vita facile. Ma probabilmente non l’avrà neppure Juncker. Lo schiaffo di Renzi a Juncker, ma anche al presidente del Consiglio europeo Van Rompuy e agli altri ventisette capi dei governi dell’Ue, è doppio: di forma e di sostanza.
Dopo il fallimento sulla candidatura Mogherini dell’ultimo vertice europeo, che avrebbe dovuto designare il “ministro degli esteri” della Ue, il futuro capo della Commissione aveva chiesto a tutti i governi di indicare entro ieri a mezzanotte il nome dei rispettivi candidati al posto di commissario. Riservandosi naturalmente di assegnare in un secondo tempo a ciascuno un portafoglio di competenza.
RENZI VAN ROMPUY
Questa mossa aveva, tra l’altro, l’effetto di mettere in difficoltà l’Italia che continuava a puntare sulla poltrona di alto rappresentante per la politica estera, in gergo Mr Pesc: un posto che, a differenza degli altri, non viene assegnato in base ad una trattativa bilaterale tra il presidente della Commissione e il Pese interessato, ma viene deciso a maggioranza qualificata dai capi di governo, che per farlo si sono ridati appuntamento il 30 agosto.
Designando un proprio candidato senza una destinazione predefinita, come hanno fatto gli altri grandi, dalla Germania alla Francia alla Gran Bretagna, che però hanno deciso in base a garazie informali offerte loro da Juncker, l’Italia dunque avrebbe dovuto negoziare con il presidente della Commissione una destinazione che non avrebbe potuto essere quella di Mr. Pesc, perché non rientra nelle disponibilità di Juncker.
FEDERICA MOGHERINI IN SPIAGGIA FOTO DA OGGI
La cosa aveva irritato non poco gli italiani. Che in un primo momento avevano deciso di non presentare nessun nome per tenersi le mani libere. Ma poi al danno si era andata aggiungendo la beffa di un paziente e sottile lavoro di “spin”, di condizionamento subliminale, che gli uomini di Juncker avevano messo in atto per stoppare la Mogherini. C’era stato un incontro a sorpresa tra Juncker e D’Alema.
E c’erano state le voci, messe in giro a Bruxelles, su una presunta rinuncia dell’Italia alla candidatura Mogherini in favore di un portafoglio di peso da assegnare magari proprio a D’Alema. Si stava ripetendo, insomma, il copione dell’ultimo vertice, quando per stoppare Mogherini fonti europee avevano messo in giro la voce di una candidatura di Enrico Letta come futuro presidente del Consiglio sostenuto da tutti ma bocciato proprio da Renzi.
Matteo Renzi e Massimo D Alema
È stato probabilmente a questo punto che Renzi ha deciso di far saltare il tavolo. E, a un’ora dalla scadenza del termine per la presentazione delle candidature, ha mandato una lettare a “Cher Jean-Claude” indicando non solo il nome di Mogherini, ma anche il posto a cui intende candidarla: quello, appunto, di ministro degli esteri della Ue. Doppio affronto, come si diceva.
Nella forma, perché neppure Berlino, Parigi o Londra si erano permesse di indicare esplicitamente le proprie aspirazioni rispettando il protocollo che riconosce al presidente della Commissione il diritto di assegnare i portafogli. E nella sostanza, perché di fatto la lettera di Renzi afferma due concetti che suonano rivoluzionari per la vecchia prassi concosciativa che regola questo tipo di decisioni comunitarie. Il primo concetto è che il posto di numero due della Commissione tocca ad un socialista, essendo Juncker un esponente conservatore, e che dunque i leader e i dirigenti del Ppe non hanno voce in capitolo su quella scelta.
Matteo Renzi ascolta Massimo D Alema
Il secondo è che, avendo i leader socialisti già appoggiato l’idea che quella poltrona vada all’Italia, la scelta della persona da metterci spetta insindacabilmente al capo del governo italiano.
Passerà questa doppia rivoluzione al vertice del trenta agosto, quando i giochi saranno chiusi? Di certo Renzi si è, come si dice, bruciato i ponti alle spalle. A questo punto non ha che due alternative. O va avanti e vince, confermando il primato della politica sulla diplomazia comunitaria. Oppure è costretto a indietreggiare e affoga, distruggendo il credito che la straordinaria vittoria elettorale gli aveva dato in Europa.