IGNAZIO MARINO
Renzi, 'Marino? Fu sciagura per Roma
(ANSA) – “Io ho fatto il sindaco e so come si fa. Marino non è stato un buon sindaco. È stato mandato a casa dai suoi, non da me. E alcuni di quelli che l’hanno mandato a casa ora stanno in Parlamento, domandatelo a loro. A me non me ne può fregare di meno. Se si candida e va al Parlamento europeo, buon per lui. Io se c’è uno che non voto manco morto è proprio lui. Io penso che l’amministrazione Marino, così come quella Raggi e Alemanno, siano state tre sciagure”.
Lo dice il leader di Italia Viva Matteo Renzi, rispondendo ai cronisti vicino alla Camera, in merito alla candidatura alle europee dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino nella lista Avs. “Io in quegli anni facevo il presidente del Consiglio – ha precisato Renzi parlando del periodo in cui Marino venne sfiduciato -.
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Non so se è ossessionato da me. Marino fu mandato a casa dai suoi consiglieri comunali, oggi quasi tutti tra Pd e Alleanza Verdi e sinistra. La scelta fu del commissario Matteo Orfini, persona che io stimo. Una posizione che ottenne il consenso unanime di tutto il Partito democratico – ha ricordato -. Quindi non vedo motivo che sia ossessionato da me. Lui disse io mandante? Con tutto l’affetto del mondo, è una cosa di cui faccio fatica a interessarmi”.
LA VENDETTA DEL CHIRURGO
Salvatore Merlo per “il Foglio” - Estratti
Trema il Pd romano, si preoccupa il sindaco Roberto Gualtieri (“questo non vuole il termovalorizzatore”), aggrotta la fronte Nicola Zingaretti (“ma si candida nel centro?”) perché lui ritorna, e come il conte di Montecristo si vendicherà sicuramente dei torti subiti.
ignazio marino
E allora eccolo, Ignazio Marino, già sindaco marziano, il defenestrato del Campidoglio, cacciato dal Pd romano come un calcolo renale nove anni fa, che rimette piede in politica e dunque si candida alle europee. Ma con i Verdi. Con la Sinistra italiana. Oggi l’annuncio ufficiale. L’avevamo lasciato così, Marino, una fredda sera di ottobre del 2015, con Matteo Orfini, presidente del Pd, che lo implorava di dimettersi “per carità di Dio”.
Mentre lui, il sindaco chirurgo, rispondeva con l’inconfondibile voce di chierichetto devoto a Sacher-Masoch: “Io non solo non mi dimetto, ma se mi sfiduciate convoco pure una conferenza stampa e faccio i nomi di chi mi aveva consigliato di assegnare gli incarichi a Ozzimo e a tutti gli altri inquisiti in Mafia Capitale”. Finì come finì. Ma ora egli ritorna, e come Edmond Dantes farà giustizia e darà a ciascuno il fatto suo. E già si preoccupa Gualtieri, perché ha in animo di risolvere il problema della monnezza romana con il termovalorizzatore, mentre il chirurgo della vendetta, cioè Marino, quello che chiuse la discarica di Malagrotta a Roma, farà campagna contro quell’opera.
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(...) Cosa fu Ignazio Marino a Roma? Un pasticcio dell’ideologia? Il governo di un puro? Chissà. La città si riempiva di monnezza, e lui celebrava matrimoni gay non ancora previsti dal codice civile. Intanto però eliminava l’acqua minerale dagli uffici del comune “perché quella del rubinetto è più buona”. Poi rinominava l’assessorato allo Sport in Benessere e Qualità della vita.
Si occupava anche di toponomastica, proponendo una via Vittime di Hiroshima, una via Salvador Allende, una via Nelson Mandela e una via Enrico Berlinguer. Girava anche la città in bicicletta (un giorno cadde e finì col sellino per terra), quindi annunciava di volere un corpo di polizia municipale su due ruote “molto più efficaci per il controllo del territorio” mentre intanto però gli autobus cominciavano a saltare le corse e una banda di magliari stampava biglietti falsi dell’Atac.
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Poi venne il pasticcio burino di Mafia Capitale. “Un fatto tutto interno al Pd”, è la sua idea. E quando pronuncia queste parole, Marino assume un sorriso soddisfatto e indispettito, con la stizza che gli guizza negli occhi. Nei confronti del suo ex partito, statene certi, sarà tollerante con ferocia e spietato con dolcezza . Se fossimo Zingaretti, Gualtieri o chiunque altro del Pd romano cominceremmo seriamente a pensare di raggiungere al più presto Goffredo Bettini in Thailandia.
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