Francesco Manacorda per “la Repubblica”
renzi padoan gentiloni
«Non mi rassegno a un governo e a una maggioranza che tirano a campare», aveva detto venti giorni fa il presidente del Consiglio davanti ai parlamentari del Pd. O il suo messaggio non è stato chiaro o nel frattempo Paolo Gentiloni deve avere cambiato intenzione e deciso invece di rassegnarsi almeno un po'. Solo così si spiega il pressing insistente e continuo di buona parte dello stesso Pd, in suprema sintonia con l' ex premier Matteo Renzi, sulla politica economica del governo, a iniziare dal capitolo delle privatizzazioni.
Quella a cui si oppongono i parlamentari piddini non è un' ondata epocale di vendite di beni pubblici come negli Anni '90, ma solo la cessione di alcune selezionate partecipazioni - in particolare la seconda tranche delle Poste e una quota delle Ferrovie dello Stato, dalle quali il Tesoro guidato da Pier Carlo Padoan conta (o contava) di portare a casa sette o otto miliardi di euro utili a dare una limata al debito - oggi al 132,6% del Pil - e far vedere a Bruxelles che l' Italia non ha proprio abbandonato i suoi buoni propositi sul fronte della finanza pubblica.
JUNCKER GENTILONI
Di fronte all' opposizione di tanta parte della loro maggioranza alle privatizzazioni sarà difficile che Gentiloni e Padoan possano andare lontano. Ma resta da capire dove altro potranno andare, anche perché chi dice no alle privatizzazioni non dà certo ricette per sostituire i mancati introiti di quella voce. No a nuove tasse, come predica ovviamente Renzi; no ai rincari sulla benzina; no perfino a una revisione del catasto. Alla fine si rischia di rimanere con il solito simulacro della "lotta all' evasione" riempito all' inverosimile di previsioni ottimistiche. E questo riguarda solo l' abbinata tra Def e manovrina correttiva chiesta da Bruxelles che arriverà la prossima settimana.
renzi con la campanella
È un errore arroccarsi sul no a ogni misura che possa presentare svantaggi in termini elettorali, anche perché il momento non è quello di una contrapposizione frontale tra una presunta ricetta di sviluppo all' italiana e un feroce rigorismo in salsa europea. Ci sono spazi per negoziare.
Con le elezioni presidenziali francesi in arrivo assieme a quelle politiche in Germania, le istituzioni comunitarie hanno tutto l' interesse a non stringere troppo la corda del rigore fiscale attorno al collo dell' Italia; tanto che sulla manovra correttiva da 3,4 miliardi ci potrebbero essere margini di flessibilità con Bruxelles. Ma quelle stesse istituzioni hanno anche il diritto che Roma non cerchi di trovare sempre e comunque una scappatoia ad obblighi ai quali adempiono altri Stati membri dell' Ue.
Un governo come quello Gentiloni, che ha meno di un anno di vita davanti, non gode certo delle condizioni migliori per mettere mano ai problemi del Paese. Se quello stesso governo si trova già mesi e mesi prima trascinato suo malgrado in una lunga campagna elettorale, nella quale non si fa altro che gridare promesse e tacere verità sgradite, allora il rischio che sprofondi nella palude è concretissimo.
mattarella e gentiloni
Ma le scelte da fare ci sono e un mercato e una finanza sempre più globali non significano che i governi nazionali debbano abdicare. La vicenda che si è conclusa ieri a Parigi - con l' italiana Fincantieri a lungo ostacolata dal governo Hollande nel suo acquisto di una quota di maggioranza assoluta nel cantiere Stx che ottiene il via libera, ma a patto che sia sotto il 50% - dimostra che per quanto discutibili si possano considerare certe scelte protezionistiche la politica ha decisioni da prendere, obiettivi da raggiungere e strumenti da utilizzare.
matteo renzi pier carlo padoan
In Italia si tratta della partita fondamentale della finanza pubblica e di quella contigua delle privatizzazioni, ma non solo di quella. Per l' Ilva di Taranto si confrontano ad esempio due offerte profondamente diverse tra di loro, con implicazioni sull' ambiente, sul futuro dello stabilimento e in fondo anche sul sistema dell' industria nazionale che dipenderanno dalla decisione presa.
Quando il governo si troverà, dopo Pasqua, a decidere prevarrà lo sguardo lungo che punta ai prossimi decenni o quello corto che si arresta alle prossime elezioni? L' Alitalia è all' apice ormai ciclico della sua eterna crisi. Bisognerà stabilire se lasciarla al suo destino o prepararsi a un intervento pubblico. Sarà una decisione realistica o elettoralistica?
PADOAN
Molti di quelli che avevano scommesso su Renzi apprezzavano una sua certa furia iconoclasta come l' unico mezzo per spingere davvero il carro bloccato delle riforme. Adesso la furia è rimasta, ma le riforme paiono non essere più in programma, sostituite da polemiche interne di interesse generale nullo.
Da qui alle elezioni politiche, mentre va in scena lo spettacolo e il regista e i suoi assistenti tacciono mentre dalla buca del suggeritore un vocione toscano grida i suoi ordini, ce n' è abbastanza per logorare protagonisti e pubblico. Magari con la prospettiva che la prossima replica dopo il voto sia affidata a una coalizione di larghissime intese che - è facile predirlo - seppellirebbe in via definitiva qualsiasi spinta verso le riforme.