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    “RESISTO AI CONFORMISMI DEL TEMPO” - SE NE VA A 88 ANNI MARC FUMAROLI, IL GENTILUOMO DELLA LETTERATURA FRANCESE – STORICO, BIOGRAFO DI CHATEAUBRIAND - ANNICHILI’ DAMIEN HIRST E JEFF KOONS, DA LUI DEFINITI “I RECENTI INDUSTRIALI AMERICANI E INGLESI DELLA SEGNALETICA SCAMBIATA PER OPERA D’ARTE” – “L’EUROPA, A COMINCIARE DALL’ ITALIA, POTREBBE RIPRENDERE COSCIENZA DELLA SUA IDENTITÀ, SENZA LASCIARSI AMERICANIZZARE” – LA BORDATA AI ROLLING STONES, LO "SCHIAFFO" A JACK LANG...


     
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    Stefano Montefiori per corriere.it

    marc fumaroli marc fumaroli

     

    A dare la notizia è l’Académie française che lo accolse tra gli «Immortali» venticinque anni fa: «Il segretario perpetuo (Hélène Carrère d’Encausse, ndr) e i membri dell’Accademia hanno la tristezza di comunicare la scomparsa del loro collega Marc Fumaroli, deceduto il 24 giugno a Parigi. Aveva 88 anni. Era stato eletto nel marzo 1995 sulla poltrona già di Eugène Ionesco». Con Marc Fumaroli scompare uno specialista del Seicento di fama mondiale, un grande storico della letteratura, e il più erudito interprete di quel filone di pensiero insofferente verso la modernità che in Francia ha da sempre enorme successo.

     

    Uomo di straordinaria gentilezza, Fumaroli era comunque capace di annichilire con poche e feroci parole celebrità come Damien Hirst o Jeff Koons, da lui definiti «i recenti industriali americani e inglesi della segnaletica scambiata per opera d’arte». Coltissimo, aveva di buona parte dell’arte contemporanea la stessa opinione che si può raccogliere presso il pubblico meno avvertito, realizzando così, alla fine, una specie di comune sentire tra il grande aristocratico delle lettere e il popolo. È la massa, che a Fumaroli non piaceva, e ancora meno la «cultura di massa», pop, di stampo anglosassone.

    marc fumaroli marc fumaroli

     

    «L’Europa, magari a cominciare dall’ Italia, potrebbe riprendere coscienza della sua identità, senza lasciarsi americanizzare ancora di più», aveva detto in un’intervista al «Corriere» di qualche anno fa. E a chi gli ricordava i capolavori contemporanei, nel cinema e nella letteratura, di autori come Robert Altman o Philip Roth rispondeva sorridendo «ma loro sono d’accordo con me! L’Europa aveva la tradizione di numerose culture popolari. Artigianali e genuine tanto quanto la cultura di massa è industriale e prefabbricata.

     

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    La cultura popolare riposa su un’adesione spontanea del suo pubblico; la cultura di massa utilizza il bombardamento pubblicitario, dalla nascita alla morte, per imporsi. L’Europa aveva le sue canzoni, e non piccoli selvaggi che montano in scena urlando fino a rischiare di rompersi la vena della tempia, prendendosi per Dioniso o Rimbaud. La pretesa dei Rolling Stones di essere geni fino a cent’anni non mi pare nella tradizione di Rimbaud».

     

    Nato l’8 giugno 1932 a Marsiglia in una famiglia di origini corse, Marc Fumaroli è cresciuto in Marocco, a Fès, dove suo padre era funzionario dell’amministrazione francese e sua madre istitutrice, prima di tornare in Francia, terminare il liceo a Marsiglia, studiare alle università di Aix en Provence e Parigi e poi insegnare letteratura a Lille, alla Sorbona e al Collège de France dove aveva la cattedra di «Retorica e società in Europa nei secoli XVI e XVII».

     

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    Fumaroli ottenne quella cattedra grazie al fondamentale saggio del 1980 L’età dell’eloquenza: retorica e res literaria dal Rinascimento alle soglie dell’epoca classica (edito in Italia da Adelphi come quasi tutta la sua opera), ripercorrendo l’arte di dire e di convincere riscoperta dagli umanisti nel Rinascimento e portata allo splendore nel Grand Siècle, il Seicento tanto amato da Fumaroli. In Il salotto, l’accademia, la lingua: tre istituzioni letterarie, Fumaroli ha analizzato l’importanza dell’arte della conversazione privata, dell’Académie française fondata nel 1634 per volere di Richelieu, e della lingua francese, considerata non uno strumento di espressione accanto ad altri ma un universo unico e incomparabile.

     

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    Con Le api e i ragni Fumaroli ha indagato sulla disputa degli Antichi e dei Moderni ricorrendo a un’immagine di Jonathan Swift: mentre gli Antichi come le api sanno ricavare dai fiori il miele e le sostanze necessarie alla felicità, i Moderni come i ragni secernono escrementi che diventano tele e tranelli mortali. Nella Repubblica delle lettere l’autore ha dato espressione al suo particolare europeismo, quello legato alla cultura e alle lettere, descrivendo una comunità autonoma dagli Stati nazionali, unita dalle biblioteche e dalla conversazione.

     

    L’opera forse più conosciuta al di fuori dell’ambito accademico, quella dalle conseguenze più importanti nel dibattito contemporaneo, è Lo Stato culturale pubblicato nel 1991, un grande schiaffo al potentissimo ministro dell’epoca Jack Lang e al presidente François Mitterrand. «Mai stato ostile all’intervento dello Stato in questo campo, tutt’altro — aveva spiegato Fumaroli nell’intervista al «Corriere» —. Ho solo denunciato che lo Stato francese allargava la sua responsabilità patrimoniale a rock, rap, graffiti e altri prodotti commerciali. Lo Stato deve a mio parere preoccuparsi della Comédie Française e di restaurare le cattedrali, invece di rincorrere l’hip-hop e simili pericolosi giocattoli. Si diffondono anche troppo da soli».

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    Marc Fumaroli poi non sopportava l’altro tormentone contemporaneo di «avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro» e citava a questo proposito Giambattista Vico, «che nel 1708 pronunciò la celebre conferenza che ogni europeo dovrebbe conoscere a memoria, “Sul metodo negli studi del nostro tempo”. Dopo i successi della nuova scienza di Galileo e Cartesio, protestava Vico, ormai insegniamo ai bambini la matematica prima ancora della poesia e dell’arte.

     

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    Un errore allora, ma ancora più grave oggi. Chi si occupa adesso di formare la sensibilità, l’immaginazione, i sentimenti dei giovani? Più che la scuola, o la famiglia, spesso impotenti, temo che siano i videogiochi, i reality show, l’iPhone e l’iPad». Grande amante dell’Italia come molti francesi colti e non, Fumaroli individuava nel patrimonio artistico italiano un’occasione sprecata, «non occupa il rango che gli spetta, non è capito come una forza spirituale per l’oggi... Quando invece potrebbe allontanare dalla cultura pop molti europei».

     

     

     

     

     

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