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    RESPIRA, MEDITA, MANGIA (POCO) – SI CHIAMA ‘MINDFUL EATING’ ED È LA PRATICA CHE AIUTA A CONTROLLARE LE ABBUFFATE: PORTA ALLA SEPARAZIONE DELLA FAME DALLE EMOZIONI E METTE A TACERE LA TENTAZIONE DI SFOGARE COL CIBO LA TENSIONE E LO STRESS –  SI LAVORA SUI CIBI PREFERITI PER CAPIRE COSA SPINGE LE PERSONE A TRANGUGIARE QUINTALI DI CIOCCOLATO E PATATINE FRITTE, SENZA PERÒ VIETARNE IL CONSUMO…                                       


     
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    Paola Emilia Cicerone per "la Repubblica – Salute"

     

    CiBO CiBO

    Prestare attenzione a come mangiamo per migliorare il nostro rapporto con il cibo: è il suggerimento che arriva dal mindful eating - letteralmente mangiare consapevole - una delle pratiche di mindfulness sviluppate partendo dalla tradizione buddista dal ricercatore americano Jon Kabat Zinn, che le ha integrate in un protocollo per la riduzione dello stress la cui efficacia è stata validata da molte ricerche.

     

    E che aiuta anche a combattere gli eccessi alimentari, imparando a mettere a tacere la tentazione di sfogare col cibo le nostre tensioni, osservandola Mindfulness di e lasciandola andare.

     

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    Un metodo efficace, secondo la psicologa Katy Tapper della City University di Londra, che ha valutato una trentina di studi sul tema, confermando che praticare mindful eating riduce il craving, l'impulso irresistibile di abbuffarsi di cibi in genere non particolarmente sani - ma anche di fumare o eccedere con l' alcol - o quanto meno permette di non tradurlo in azioni concrete, arrivando a ridurne la forza fino ad annullarlo del tutto.

     

    «Questa pratica aiuta chi fa fatica a convivere con alcune emozioni e finisce col bypassarle attraverso il cibo - spiega Bianca Pescatori, psicoterapeuta e istruttore mindfulness - può servire a chi soffre di disturbi del comportamento alimentare come bulimia o abbuffate compulsive ( binge eating), ma anche a chi vuol trovare un rapporto più equilibrato con il cibo» .

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    Per recuperare la consapevolezza di quello che facciamo nutrendoci, e capire perché in determinati momenti patatine fritte o cioccolato diventano tentazioni irresistibili.

     

    Queste pratiche di consapevolezza sul cibo in genere vengono offerte attraverso il protocollo Mn- Eat ( mindfulness- based eating awareness training) della psicologa americana Jean Kristeller: nove incontri di gruppo di due ore e mezzo, in cui pratiche di meditazione che derivano dalla tradizione buddista si alternano a esercizi per capire come funziona la mente in relazione al cibo.

     

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    «Si lavora anche sugli alimenti preferiti dei partecipanti, per aiutarli a osservare le loro reazioni, a capire quali emozioni li portano a mangiare un cibo o un altro», spiega Pescatori. Smontando le reazioni automatiche che ci portano verso la scatola della cioccolata quando siamo stanchi o nervosi per imparare, come afferma Thich Nhat Hanh, uno dei maestri di meditazione più conosciuti a livello mondiale, a « masticare il cibo e non le tue preoccupazioni».

     

    « Non si tratta di seguire un regime, ma di recuperare il gusto del cibo apprezzandolo in tutti i suoi aspetti, con un percorso sensoriale ma anche emotivo», spiega Marina Gambarelli, psicologa e psicoterapeuta. Non dobbiamo cancellare dalla mente i cibi proibiti, ma imparare a gustarli scoprendo attraverso l' esperienza diretta i motivi per cui li mangiamo.

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    «Chi vive male il rapporto col cibo e col proprio corpo in genere ha un problema di disregolazione emotiva - spiega Gambarelli - non riconosce le emozioni, le confonde con la fame e di conseguenza mangia in maniera smodata, non tollerando le emozioni negative » . In casi come questi i divieti - " non pensare al cioccolato!" - non funzionano, anzi scatenano un circolo vizioso che porta a una ricerca urgente e non rimandabile di cibo e quindi alla sovra- alimentazione.

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    Fare mindful eating significa invece portare l' attenzione consapevole sul cibo, « recuperandone gli aspetti positivi di nutrimento, piacere e condivisione - spiega Gambarelli - ma al tempo stesso imparando a gestire l' onda emotiva e i pensieri disfunzionali legati all' assunzione del cibo, e ad ascoltare meglio i segnali del proprio corpo per capire la differenza tra un' attivazione dovuta allo stress, alla fame o alla sazietà » .

     

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    Con esercizi che aiutano a portare la piena attenzione all' atto del mangiare, ai sapori, odori, pensieri ed emozioni che affiorano quando mettiamo qualcosa in bocca. Un lavoro che nasce nelle sedute di gruppo. « È possibile organizzare incontri individuali ma lavorare in gruppo è utile - spiega Pescatori - perché aiuta a superare l' imbarazzo e a capire come nascono i problemi » . Senza dimenticare che fare mindful eating significa acquisire un nuovo atteggiamento nei confronti del cibo: anche una volta terminato il ciclo d' incontri il percorso continua, individualmente o in gruppi di meditazione.

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