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    “RIFIUTO IL MINIMALISMO E ANCHE LO SNOBISMO” - DAVIDE LIVERMORE, REGISTA DI “ORESTEA” E “CONTES D’HOFFMANN”: “GLI ATTACCHI? SE QUATTRO BLOGGER SCRIVONO IDIOZIE E POI PERÒ ORESTEA FA SOLD OUT, CHE ALL’INTELLIGHENZIA PIACCIA O NON PIACCIA NON MI INTERESSA PIÙ" - "ANDARE A TEATRO NON È UN ESAME DI LAUREA. SE BISOGNA PREPARARSI MAGARI VUOL DIRE CHE LO SPETTACOLO FA SCHIFO. NON SIAMO INTRATTENIMENTO, SIAMO ARTE. SERVONO SOLDI. MA PERCHÉ DOBBIAMO COSTARE POCO?"


     
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    Estratto dell'articolo di Stefania Vitulli per “il Giornale”

     

    ORESTEA LIVERMORE ORESTEA LIVERMORE

    Quello che Davide Livermore chiama «l’atto umano di ritrovarci a teatro» è per il regista (ma anche scenografo, costumista, coreografo, scrittore, attore e cantante) torinese un’opportunità di condivisione che non può concedersi limiti intellettuali né tantomeno limitazioni di budget.

     

    Direttore artistico del Teatro Nazionale di Genova dal 2020, Livermore ha cambiato, proprio nel momento pandemico, il modo di offrire teatro al pubblico con soldi pubblici e al contempo – essere «al contempo» in molti luoghi e in molti ruoli è una delle peculiarità di questo artista classe 1966 – è stato in grado di ritagliarsi spazi di regia come la sua quarta prima al Teatro alla Scala nel 2021.

     

    In questi giorni, la sua firma corre sui cartelloni di una operazione colossale come l’intera Orestea di Eschilo (da oggi al 6 aprile al Teatro Carignano di Torino, in singola recita o in maratona), lanciata a Siracusa, e i Contes d’Hoffmann di Offenbach alla Scala (fino al 31 marzo). 

     

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    davide livermore davide livermore

     

    Maratona Orestea: dopo Genova, l’1 e il 2 aprile gli spettatori si godranno Agamennone, Coefore, Eumenidi: cinque ore di Eschilo. Secondo gli algoritmi, la nostra attenzione media è 8 secondi, meno di un pesce rosso: come la mettiamo?

    «Questo è quello che vogliono farci credere. Io porto in tournée con il teatro di Genova spettacoli da tre ore con intervallo di venti minuti, sempre sold out. Gli spettatori vanno dai 12 ai 90 anni e non fiatano. I ragazzi non hanno bisogno di essere preparati chissà quanto: andare a teatro non è un esame di laurea. Se bisogna prepararsi magari vuol dire che lo spettacolo fa schifo. Non abbasso il livello con un premasticato, ma creo uno spettacolo luminoso: non tutti avranno una comprensione di filologia, ricerca storica, ricostruzione drammatica, ma avranno accesso alla bellezza. Le persone sono intelligenti: questa intelligenza merita linee di credito».

     

    Suggerimenti operativi per raggiungere questo obiettivo?

    LES CONTES D'HOFFMANN LIVERMORE LES CONTES D'HOFFMANN LIVERMORE

    «Primo: la qualità è pop. Anzi, l’altissima qualità è pop. Anche il più disinteressato alla moda, se prende in mano il cappotto di un discount e un cappotto di Dolce & Gabbana capisce immediatamente dov’è la qualità. Come umani siamo tanto attratti dalla bassezza e dalla mediocrità quanto dalle cose alte, luminose, divine della nostra anima.Dobbiamo scegliere noi, come teatranti e gestori, come parliamo alla gente, a che livello ci portiamo: è autoreferenziale o è di livello assoluto? E io, li conosco i livelli assoluti?».

     

    Vale anche per la critica? I suoi Contes d’Hoffmann sono stati elogiati ma anche attaccati.

    davide livermore sergio mattarella davide livermore sergio mattarella

    «Se quattro blogger scrivono idiozie senza nemmeno essere iscritti all’albo dei giornalisti e poi però Orestea fa sold out - e questa Orestea a Siracusa, e Agammenone in particolare, ha battuto ogni record di prevendita biglietti a singola recita nella storia dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico – Maria Stuarda fa sold out e milioni di persone, come è capitato con le mie quattro inaugurazioni alla Scala, che non hanno mai visto l’opera la vedono e sono felici di farlo e capirla, che all’intellighenzia piaccia o non piaccia non mi interessa più».

     

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    E fare che cosa invece?

    «Fuori il petto e parlare al mondo, non lamentarsi con gli amici del salotto. “Andiamo a teatro” non può essere una scelta tra il ristorante giapponese e il pilates. Non giochiamo in quel campionato lì: non siamo intrattenimento, siamo arte e questo va fatto capire prima di tutto agli artisti: non siamo in competizione né con il sushi né con Netflix. Abbiamo chiuso la prospettiva artistica, fatto sentire il teatro obsoleto, abbandonato le grandi produzioni, ridotto due generazioni di artisti a dire: “Ma sì, dai, facciamo uno spettacolino e costiamo poco”. Ma perché dobbiamo costare poco? È attraverso le idee che si trovano i soldi».

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