1 - LE RISSE, I DASPO E LE ARTI MARZIALI IL «CAPO» RISPETTATO DEL GRUPPO NEONAZI
A.Ga. e C.Giu. per il “Corriere della Sera”
Daniele Belardinelli
Daniele Belardinelli detto Dede era un «soldato». Lo chiamavano quando c'era da picchiare, come mercoledì, fondendo due delle sue quattro vite: quella di un atleta delle arti marziali con anche tornei in Russia, e quella di un «capo» rispettato, già fra le guide della frangia «Blood Honour» del Varese calcio, una sessantina di persone vicine ai neo-nazisti che però, secondo fonti delle forze dell' ordine, avevano iniziato a prendere le distanze dal 39enne.
Non per un raffreddamento nel «credo» di Belardinelli, che nel resto dell'esistenza era un compagno e un padre di due figli, e un piastrellista trans-frontaliero in Svizzera, dalla quale la sua Morazzone, in provincia di Varese, dista venti minuti di macchina; piuttosto, quegli amici dell' estrema destra avevano allentato il rapporto infastiditi dal frequente uso di droghe.
Forse la moglie Cristina, d'un anno minore, nell' appartamento in un'antica corte di via Cuffia, fra i campi e i fienili ai lembi del paese di quattromila abitanti, altro non avrebbe potuto dire ai giornalisti se non che Dede era «una brava persona», uno che «non ha mai fatto del male a nessuno».
daniele belardinelli
Ma il profilo personale di Belardinelli, ricostruito con gli archivi di polizia, è un elenco di reati, dalle minacce al millantato credito, dalle lesioni personali alla guida da ubriaco, dal danneggiamento alla resistenza a pubblico ufficiale, per tacere del percorso nella degenerazione del tifo: un Daspo nel 2007 per l' attacco agli agenti in una gara di C2 del Varese e un secondo Daspo nel 2012 per gli scontri nell' amichevole Como-Inter.
Nel tardo pomeriggio dell' altro ieri, Belardinelli aveva detto in famiglia che sarebbe andato al Meazza, in curva, e del resto i «Blood Honour» sono gemellati con gli ultrà dell' Inter.
Non aveva fatto menzione di rischi, né aveva manifestato paure per l'imminente scontro: era già entrato in risse e uscito senza ferite.
DANIELE BELARDINELLI
Adesso a Morazzone, dove se sapevano fingono d'ignorare chi davvero fosse Dede , s'appellano al fatto che sgobbasse, indicano più volte il furgone bianco parcheggiato nel cortile, ripetono che era uno che non rubava ma campava svegliandosi all' alba, perché lavorare duro, nelle comunità di provincia, a volte cancella tutto il resto. Però Belardinelli era lì, mercoledì sera, pronto all' agguato. Era lì con una missione, e forse con un personale ruolo decisivo, se è vero, come si dice negli ambienti della curva interista, che era uno di quelli che aprivano il varco.
I compagni di arti marziali ricordano con orgoglio che Dede non ha mai avuto una squalifica negli incontri, «mai nulla, nemmeno un richiamo», a conferma di un uomo «capace di controllarsi e disciplinato», un uomo che non si dava mai per vinto. Incassato quel raffreddamento dei «Blood Honour», secondo la Digos Belardinelli aveva rafforzato le amicizie nei «Dodici Raggi», il movimento in espansione in provincia di Varese e al centro di un' inchiesta del 2017 con l'accusa di volere far rinascere il partito fascista.
Dalla sua, Dede portava l'esperienza di uno che, proprio con l'adesione ai venerati «Blood Honour», non aveva bisogno di presentazioni: in passato, davanti a uno dei leader dei neonazisti, Filadelfio Vasi, i luogotenenti dovevano inginocchiarsi; come monito ai calciatori considerati «dei senza palle», una notte erano state piantate undici croci sull'erba dello stadio del Varese; e nel mezzo di questi episodi, un' infinita storia di omicidi, killer a loro volta freddati, di fughe in Spagna e latitanti al sole, bermuda e magliette con il volto di Benito Mussolini.
DANIELE BELARDINELLI
2 - SCONTRI INTER-NAPOLI, IL PADRE DEL TIFOSO UCCISO: "UN CASINISTA, MA NON UN VIOLENTO"
È passato ormai un giorno da quei minuti concitati che hanno portato alla scomparsa di Daniele Belardinelli, il tifoso 39enne rimasto coinvolto negli scontri che hanno preceduto la partita tra Inter e Napoli. Al Tg1 e Mediaset ha parlato il padre Vincenzo. "Attendiamo i risultati dell'autopsia per capire cosa sia effettivamente successo. Si dice che lui scappava e la vettura gli è andata dietro e lo ha investito" - racconta scosso il genitore di "Dede", così lo chiamavano nella curva Nord del Varese da sempre gemellata con quella dell'Inter. "Magari è stato un incidente. Io non dico che ce l'avevano con lui. Certo è che uno va a vedere una partita in santa pace, ma non sa se torna".
incidenti san siro
CASINISTA, MA NON VIOLENTO — Vincenzo Belardinelli a chi gli chiede se appena prima di morire il figlio fosse in mezzo agli ultrà varesini armati di spranghe, pronto a tendere un agguato alle vetture dei tifosi partenopei, risponde: "Forse era in mezzo alla mischia, ma non penso che fosse con la spranga". Riconosce che il figlio era un tifoso un po' turbolento. "Che aveva avuto il Daspo lo sapete tutti" - continua - "Era un casinista, un tifoso, ma non violento. Da padre posso dire che era un bravo ragazzo. Secondo me si è sempre comportato bene". E conclude con commozione: "Ho un bel ricordo di mio figlio".
scontro san siro