Francesca Sforza per “la Stampa”
COVID GERMANIA
Ritardi nei ristori, scuole chiuse, aziende che portano i libri in tribunale, polemiche sulle vaccinazioni che vanno a rilento, un lockdown stretto che si prepara a diventare strettissimo: è la Germania di Angela Merkel. O meglio, è la Germania ai tempi del Coronavirus, dove 62 filiali di una catena di grandi magazzini molto popolare come il Kaufhof hanno chiuso e la responsabilità è stata data al management: «La pandemia non ha aiutato, ma il fallimento è dovuto a cause precedenti (sotto accusa una fusione sbagliata) - osserva l'analista economica Sabine Fritz -, la realtà è che molte imprese si erano ingrandite senza le giuste basi di mercato, ed ecco che alla prima crisi le fragilità vengono fuori».
LA PRIMA VACCINATA AL CORONAVIRUS IN GERMANIA
La stessa cosa vale per il marchio tedesco di moda e tessili Adler, che qualche giorno fa ha mandato a casa 3.500 dipendenti. «Non trovavo un vestito decente da Adler dal 1971 - scrive Johannes sulla pagina Fb che denunciava la chiusura - il coronavirus non c'entra». E invece c'entra, perché alcuni settori che erano floridissimi oggi sono senza speranza: 40 miliardi di euro persi nel 2020 solo per gli hotel e le strutture di ospitalità.
«A me ancora non sono arrivati risarcimenti - denuncia la proprietaria di un Gasthof di Fulda al telegiornale - e poi chiedo allo Stato di darmi qualche prospettiva, perché quando anche mi arriveranno dei soldi, se le chiusure continuano e il turismo non riparte, io e la mia famiglia come vivremo?».
CATENA DI MODA ADLER
L'ultima serie di proteste riguarda le vaccinazioni: «Ce la faremo?» ironizza la copertina di «Focus» mettendo il punto interrogativo alla celebre frase della Cancelliera pronunciata nel 2015 sulla crisi dei migranti, «Wir schaffen das» -. E nel sottotitolo si legge: «La Germania ha sviluppato il migliore vaccino, ma non riusciamo a vaccinarci rapidamente». I media parlano già di «Impfdrama», il dramma del vaccino: non c'è chiarezza sulle precedenze, sui luoghi da privilegiare, sul personale da usare, sui luoghi da riconvertire.
Kaufhof
Dal basso verso l'alto, lo scontento sta raggiungendo i piani alti della politica, in una fase in cui Angela Merkel è a fine mandato, nella Cdu si è aperta la partita del candidato alla Cancelleria e la campagna elettorale in vista di settembre è pronta a scatenarsi. Il ministro dell'economia Peter Altmaier (Cdu) già a ottobre scorso, aveva detto di voler aumentare fino al 75% i ristori entro novembre, ma la riscossione di fondi europei oltre un milione di euro si è rivelata più complessa del previsto, con conseguenti ritardi nei pagamenti già promessi e un'impennata di lamentele da parte di imprenditori e associazioni di categoria.
Il ministro è stato attaccato dai socialdemocratici, e ci è voluto il moderato intervento del responsabile economico Spd Bernd Westphal per sedare lo scontro politico: «Siamo onesti, non esiste una magia per pagare gli aiuti necessari alle imprese, evitiamo di usare la pandemia per fare campagna elettorale».
Peter Altmaier ministro Economia
Le ragioni per cui la stampa e l'opinione pubblica non si accaniscono contro il governo per le conseguenze - spesso tremende - del coronavirus sono le stesse che fanno bere il caffè sotto la neve ai clienti dello Starbuck' s di Friedrichstrasse, nel cuore della capitale. Non si può sostare davanti al bancone neanche un minuto, e se qualcuno chiede di consumare velocemente pur di non congelarsi gli viene risposto che «purtroppo c'è una pandemia, quindi è pregato di uscire subito, non si fanno eccezioni».
E sono anche le stesse che fanno tenere chiuse le scuole nella maggior parte dei Länder. Anton e Hanna, gemelli berlinesi di 9 anni, non vanno a scuola dal 3 dicembre e la didattica digitale consiste in un'ora di videoconferenza al giorno. Per il resto ci sono i genitori e al massimo una passeggiata al parco.
Peter Altmaier
Niente visite, perché si può ricevere una sola persona alla volta, niente bar o McDonald's, perché possono solo preparare cibo da asporto, ma non consentono soste, a nessuna ora del giorno. Se chiamate un taxi la mattina presto, può capitare che la centrale risponda: «Spiacente, non ho macchine». Tanto vale aspettare che passi qualcuno per strada.
«Si vede che i colleghi non hanno bisogno di lavorare - dice Amid, nato a Istanbul e emigrato in Germania aprendo la porta del suo taxi, uno dei pochi in circolazione in una Berlino deserta -. Sì, qui qualcuno si lamenta per i ritardi con cui arrivano i soldi, ma intanto i soldi arrivano».
C'è chi sta peggio: «In Turchia lo Stato sì e no ti dà una mascherina e poi non resta che pregare Allah...». Qui è diverso: «Ho già ricevuto tre mesi di pagamenti, e poi ho 300 euro al mese per ogni figlio, ne ho tre. I miei vicini arabi ne hanno sei. E Merkel mica vive in un palazzo d'oro come Erdogan, lo sa dove vive? In un appartamento di quattro camere. Chi si lamenta non sa quanto è fortunato a vivere qui».