NATALIA ASPESI
L’articolo esce giovedì 7 gennaio e occupa l’intera pagina 21. Titolo: “Quella madre che affidò a Muccioli il figlio perduto”. Parla della comunità di San Patrignano, tornata d’attualità in questi giorni in seguito a un’inchiesta di Netflix. Aspesi ricorda un’intervista che pubblicò su Repubblica il 10 dicembre 1980, intitolata “Ritratto di famiglia con drogato”: una madre dell’alta società raccontava la sua disperazione, i suoi dolori e le sue speranze per il figlio tossicodipendente, affidato alle cure di Vincenzo Muccioli, fondatore e animatore di San Patrignano.
Nel pezzo del 7 gennaio, solo nell’ultimo capoverso Aspesi rivela l’identità dell’intervistata: Romilda Bollati di Saint-Pierre, proprietaria della casa editrice Bollati-Boringhieri, responsabile della Carpano alla morte del primo marito, poi moglie del notabile dc Toni Bisaglia, amata diciottenne da Cesare Pavese, amica di Italo Calvino, Carlo Levi, Natalia Ginzburg. Morta a 80 anni, nel 2014.
PANSA PIERA PIATTI
Il giorno dopo, 8 gennaio, nella pagina dei commenti, sette righe in corsivo senza neanche un titolo: “Nell’articolo pubblicato ieri con il titolo “Quella madre che affidò a Muccioli il figlio perduto” veniva citata per errore Romilda Bollati. Ce ne scusiamo con la famiglia e con i lettori”. Citata per errore?
E’ proprio così. L’intervista del dicembre 1980 non era a Romilda Bollati, ma a Piera Piatti, cognata di Romilda, in quanto moglie del fratello Giulio Bollati, come è scritto chiaramente in una pagina di Repubblica del 29 ottobre 1981, proprio su Piera Piatti, firmata da Giampaolo Pansa.
Meglio in ogni caso sempre essere chiari fino in fondo, per rispetto dei lettori.
L'INTERVISTA DELLA ASPESI
Natalia Aspesi per “la Repubblica”
Natalia Aspesi in un’immagine degli anni Settanta
«Nessuno tranne chi ci è passato, può capire cosa si instaura tra i genitori e il figlio che si droga. Orrore, amore, paura, odio: lo odi perché tuo figlio sei tu, non puoi abbandonarlo e senti che lui ti porta a picco con sé. Lo odi perché lui ti odia ferocemente ogni volta che tu ti frapponi tra lui e la droga.
Lo odi perché non ti dà tregua, perché il tuo forsennato amore, il tuo bisogno di aiutarlo pesano come una condanna senza scampo». Chiedo scusa se cito una mia intervista fatta a Torino, pubblicata su Repubblica il 10 dicembre del 1980, titolo "Ritratto di famiglia con drogato". Vecchia di 40 anni.
ROMILDA BOLLATI
L' avevo dimenticata e perduta, me ne sono ricordata con "SanPa, luci e ombre di San Patrignano", il documentario di Netflix, da me affrontato con la diffidenza di chi quegli anni li ha vissuti, e in cui invece mi ci sono ritrovata con sempre maggior partecipazione: un racconto appassionato e distaccato, con le immagini ormai storiche dei ragazzi di allora, i maschi ricciolini, le femmine corrucciate, i tossici disordinati, silenziosi, piegati, gli sguardi cupi e bugiardi di chi sognava solo la fuga e il buco, eppure lì su quella collina alle spalle di Rimini, a cercare calore nelle braccia di quell' omone che pareva un' invenzione di Fellini, con quei baffetti, con quei capelli, con quelle guance rosse.
SANPA - LUCI E TENEBRE DI SAN PATRIGNANO
sanpa luci e tenebre di san patrignano
La lunghissima intervista, sei pagine di testo, avvenne due anni dopo la fondazione della comunità di San Patrignano e tre anni prima del primo processo a Vincenzo Muccioli, e smontava ogni mio pregiudizio su quel luogo considerato un lager dei più brutali. Negli anni '70 quando in Italia succedeva di tutto, noi cronisti buonisti quindi scemi, fra tanto fragore rivoluzionario, stragi fasciste, brigate rosse assassine, morte della famiglia, stavamo dalla parte dei giovani asceti silenziosi e apparentemente pacifici, che come si diceva allora si facevano: poverini, vessati dalla società, dai genitori, talmente di sinistra (o di destra, ma meno) da rifiutare il vivere borghese compreso lo studio, il lavoro, la doccia, non parliamo il pettine; sognando di fare come i Beatles e dedicarsi alla contemplazione nullafacente in qualche ashram se non in India, almeno nel Monferrato.
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Natalia Aspesi (ritratto di Marta Signori)
Però morivano, o si fracassavano il cervello, e già da poco prima del processo di Rimini, si cominciava a diffondere una strana orribile malattia che ti copriva di piaghe e ti uccideva (poi la chiamarono Aids, e il contagio avveniva tramite il sesso ma soprattutto lo scambio delle siringhe dell' eroina e altra porcheria).
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Alla fine di quell' incontro durato ore, così sincero, così spietato, così sfrenato, senza un attimo di sosta, di ripensamento, persino di commozione, ero talmente provata che mi venne un mal di testa lancinante, insopportabile, mai sentito neppure davanti agli orrori di piazza della Loggia a Brescia o della stazione di Bologna.
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Quella madre dalla forza indistruttibile era una delle più belle, importanti e agiate signore di Torino, con tutte le conoscenze giuste, laureata in psicopatologia, colta, di sinistra, impegnata contro le violenze manicomiali dell' epoca. Da nove anni combatteva una guerra feroce contro la volontà altrettanto feroce di suo figlio di vivere con la droga.
Natalia Aspesi
Già si deprecavano luoghi come San Patrignano, dove si usavano metodi coercitivi, illegali, per tenere lontani i tossici dalla droga ma la signora lo difendeva perché «per tentare di salvare il tossicomane non c' è altra strada che obbligarlo.
Certo sono stati commessi degli errori e non c' è un controllo ufficiale, ma rappresenta in Italia l' unico tentativo di affrontare la tossicodipendenza in modo diverso da quello istituzionalizzato o delle comunità aperte a un viavai di sbrindelloni e improvvisatori».
sanpa luci e tenebre di san patrignano
Anche Vincenzo Muccioli, e il documentario lo racconta, era un improvvisatore circondato da sbrindelloni, ma nella sua ignoranza e presunzione e megalomania aveva capito ciò che gli esperti avevano rinunciato a capire rifugiandosi nella loro scienza troppo estranea a quello sradicamento giovanile e quindi impotente, inutile: in tempi di massimo disordine, allora e probabilmente solo allora, dicevano altri pensosi, bisognava ritrovare il Padre, il genitore e l' organizzazione sociale rifiutati ma anche perduti: il Padre, o la Madre, amano e puniscono, dettano le regole e impongono un ordine, schiaffeggiano, chiudono in casa, ma anche amano.
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E "SanPa" mostra questa folla stralunata e giovane bisognosa di abbracci, di corpi in cui rifugiarsi, che si stringe attorno al guru improvvisato, disordinato, avventato, e quelle catene talmente enormi da avere persino una funzione simbolica. Anche le cliniche private costosissime in Svizzera, dove la madre trascinava il figlio, non erano diverse da un luogo punitivo: per i drogati stanzette a due letti senza bagno, reparto chiuso, porte chiuse a chiave, finestre senza maniglie.
«Mi sentii gelare, e il medico durissimo mi disse, se vuole essere curato suo figlio dovrà stare qui fino a quando noi lo riterremo opportuno, se no se lo riporti via». Del resto in Svezia «dove la libertà dell' individuo è sacra, dopo una permissività nefasta, lo Stato costringe al ricovero coatto per tre anni in comunità molto isolate nel nord del paese ».
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L' ultima puntata del documentario è forse un po' sfilacciata nell' ansia di pareggiare il bene e il male di una comunità che rispecchia l' angoscia e la violenza e la follia del suo tempo. C' è anche la voglia di confermare l' omosessualità di Muccioli e la morte per Aids, che nulla tolgono o aggiungono alla sua figura.
Io ho un ricordo che poi non divenne un articolo perché sentivo pena per quell' uomo che mi aveva ricevuto fuori di sé dalla disperazione, nella stanzetta dove era morto di Aids il suo protetto più caro (c' è una sua veloce immagine nel film), un bel ragazzo dall' aria angelica: da giorni Muccioli conservava il letto sfatto della sua ultima notte, apriva i cassetti e baciava la sua biancheria. Forse ci si può spegnere anche di dolore.
vincenzo muccioli san patrignano
San Patrignano adesso è una istituzione, come le tante altre comunità che silenziosamente si occupano dei tossicodipendenti la cui morte raramente fa notizia. Si parla di droga quando fa parte del bel vivere, come i vassoi di cocaina nelle case dei ricconi tipo lo stupratore sadico Alberto Genovese, dagli inviti molto attesi. Nel 2019 in Italia i morti per droga sono stati 339, il giro di affari ha raggiunto i 16 miliardi, soprattutto per cocaina, eroina e un mercato di 39 nuove sostanze psicotrope sintetiche sconosciute.
BOLLALTI f a da e a a f e ROMILDA E GIULIO BOLLATI
romilda bollati e antonio bisaglia