Marianna Tognini per "it.businessinsider.com"
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L’11 giugno 2014, quattro donne e un uomo sono stati incriminati per aver drogato quattro persone e addebitato migliaia di dollari sulle loro carte di credito nei club di New York. Cinque anni dopo una di quelle donne – Roselyn ‘Rosie’ Keo, considerata la capobanda della truffa insieme a Samantha Foxx (all’anagrafe Barbash) – ha posato per fotografi al Toronto International Film Festival.
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Keo, condannata a cinque anni di libertà vigilata nel 2016, era a Toronto per assistere alla premiere di Hustlers, film basato sulle sue vicende personali firmato dalla scrittrice e regista Lorene Scafaria, che arriverà nei cinema nostrani il prossimo 7 novembre con l’infelice titolo Le ragazze di Wall Street – Business Is Business.
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La pellicola si basa sull’articolo della giornalista Jessica Pressler pubblicato nel dicembre 2015 sul New York Magazine, The Hustlers At Score, che racconta una versione riveduta, corretta e aggiornata di un classico dei classici, la storia di Robin Hood. Con una sola differenza: il gruppo di spogliarelliste capitanato da Keo e Barbash derubava «ricchi, disgustosi e patetici uomini» non con l’intento di dare i loro soldi ai poveri, bensì a loro stesse.
roselyn ‘rosie’ keo
Che sì, all’inizio non sguazzavano certo nell’oro, quindi la metafora con l’eroe della letteratura britannica regge ancora. Nell’adattamento cinematografico, Scafaria ha cambiato i nomi delle protagoniste: Roselyn Keo è diventata Destiny, interpretata da Constance Wu; il personaggio di Jennifer Lopez, Ramona, è ispirato a Barbash (e c’è già chi sostiene che le varrà una candidatura agli Oscar); le partner in crime Karina Pascucci e Marsi Rosen sono state trasformate in Annabelle (Lili Reinhart) e Mercedes (Keke Palmer).
i personaggi reali al quale si ispira il film 'hustlers'
Roselyn Keo, classe 1985, non ha avuto una vita facile: figlia di rifugiati cambogiani fuggiti negli Stati Uniti e cresciuta nella contea di Rockland, da bambina viene parcheggiata a casa dei nonni mentre i genitori prendono il largo verso Atlantic City in cerca di fortuna. Non sarebbero mai più ritornati. Lei non è affatto modesta – «Sono abbastanza intelligente, lo so», confida a Pressler – aggiungendo che da piccola era solita comprare caramelle alla rinfusa e rivenderle a scuola a un prezzo superiore, esattamente come faceva John Paulson.
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Colleziona fidanzati che sono mezzi avanzi di galera, lascia presto la scuola e a diciassette anni inizia a lavorare al New City Diner di Nanuet per integrare il magro reddito dei suoi nonni. Dalla mattina alla sera versa caffè e prende le ordinazioni dei clienti, molti dei quali erano impiegati del Lace, un gentlemen club nelle vicinanze. Un giorno uno di questi le lascia una mancia spropositata rispetto al conto, facendole intendere che, col corpo che si ritrova, avrebbe potuto guadagnare un bel po’ di soldi in più se si fosse allungata fino al Lace.
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Lei non se lo fa ripetere due volte: l’universo degli strip club in quegli anni stava attraversando un momento d’oro, e, scrive Pressler, «in modo improbabile, i valori del femminismo di terza ondata si erano allineati a quelli di Howard Stern, inaugurando un’era in cui togliersi i vestiti di fronte a un pubblico non era degradante, ma sessualmente liberatorio e finanziariamente autorizzante».
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Il giorno dopo Keo si presenta al Lace, mente sull’età e ottiene un posto che le garantisce mance che variano tra i 500 e i 1.000 dollari a notte: dato che però non è stupida, sa che i soldi veri sono a Manhattan, e di lì a breve prende a frequentare il Flash Dancers di Times Square e l’Hustler Club di Larry Flynt.
roselyn ‘rosie’ keo
Qui conosce Barbash, madre single del Bronx plasmata dall’industria in cui era cresciuta e in cui sguazzava dall’età di diciannove anni: Pressler descrive il suo mix letale fatto di «un corpo sinuoso alla Jessica Rabbit, labbra gonfie alla Angelina Jolie, capelli neri come Cleopatra e un istinto calcolatore degno di Gordon Gekko».
Barbash ha trent’anni, troppi per gli standard delle spogliarelliste, ma mantiene comunque la sua netta supremazia coltivando giovani talenti. Secondo la teoria evoluzionistica, in una stanza piena di donne speranzose di attirare l’attenzione di alcuni uomini l’unica vincitrice sarebbe la competizione, ma nel mondo degli strip club vale l’esatto opposto: la maggior parte degli uomini è infatti incapace di tenere il cervello acceso e il portafogli chiuso intorno a tre, quattro ballerine, cosa che risulterebbe ben più facile se fosse solo una a far moine.
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Barbash prende Keo sotto la sua ala protettiva, la presenta ai propri clienti abituali – «principalmente ragazzi di Wall Street che vogliono divertirsi, ubriacarsi e festeggiare con le ragazze» – e le cose vanno a gonfie vele. Nel 2007 gli strip club erano uno dei pochi posti fuori da Wall Street dove grandi somme di denaro potevano essere trattate con la medesima disinvoltura: i clienti arrivano a spendere anche 100mila dollari a sera, che per le ragazze del gruppo si traducono in 10mila dollari a testa.
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Per lo più sono sposati, viscidi e fetenti: spesso trattano le spogliarelliste come se fossero spazzatura, e istigarli a spendere cifre spropositate rende il tutto paradossalmente ancor più appagante. Keo intanto, scaltra com’è, si iscrive al Berkeley College nel New Jersey, prende lezioni di psicologia e studia le dinamiche del club; in poco tempo capisce che le sue prospettive a lungo termine non sono esaltanti, ché vuole ridursi come Samantha Barbash, bloccata nel giro a trent’anni: lei è ambiziosa, e sa di essere speciale.
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Peccato che, a un certo punto della storia, rimane incinta dell’ultimo fidanzato-avanzo-di-galera e sparisce dal giro per un paio d’anni, millantando un trasferimento in Arizona. La relazione va a scatafascio, Rosie si ritrova sola, con una bambina da mantenere e decide di tornare all’Hustler Club: il crollo dei mercati nel 2008, però, aveva lasciato disoccupata metà Wall Street, e l’atmosfera era tale che l’altra metà stava il più lontano possibile dagli strip club. Pure le ballerine erano mutate, con il racket ora in mano a russe e colombiane bellissime che per 300 dollari offrivano sesso orale agli avventori e con le quali era impossibile competere.
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Le strade di Keo e Barbash a questo punto si incontrano per la seconda volta: Samantha dice a Rosie di aver messo in piedi un sistema che chiamava genericamente ‘marketing’, una scappatoia per essere comunque pagata senza dover per forza fare sesso. Barbash conosceva a menadito il settore, e sapeva che era strutturato in maniera svantaggiosa per le ballerine: nonostante le ragazze fossero l’attrazione principale dei club, erano loro a doverli pagare per avere il privilegio di lavorarvi, ed erano inoltre costrette a dare la mancia al barista, ai padroni di casa, al deejay e alla maitresse.
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Dopo la recessione, tuttavia, la musica era cambiata: i club avevano bisogno di clienti, e Samantha Foxx era in grado di attirarli. Di notte passava in rassegna l’elenco dei numeri di telefono degli habitué che aveva accumulato negli anni – «Come farebbe un telemarketer» – e mandava loro un messaggio sexy o una fotografia per capire se erano in vena per una serata.
A dire il vero, Samantha non inviava sempre la sua foto: conscia che il tempo era passato pure per lei e di aver forse esagerato con la chirurgia plastica, a volte mandava scatti delle ragazze del suo equipaggio, Karina Pascucci e Marsi Rosen in primis. Se il pollo acconsentiva, avrebbe incontrato Marsi o Karina per svariati drink, poi sarebbero arrivate le altre a dar manforte: ubriaco di alcol e di attenzioni femminili, il poveretto sarebbe infine stato condotto in uno dei club in cui Barbash aveva negoziato una percentuale redditizia per ogni strisciata di carta di credito, che le ragazze avrebbero continuato a caricare fino al limite.
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Certo, il trucchetto non sempre funzionava. Per contrastare stanchezza, ritrosia o timidezza, Samantha aveva introdotto l’innovazione che la stava arricchendo: una bevanda speciale di sua invenzione, arricchita con MDMA e ketamina. La prima rendeva euforici, la seconda cancellava i ricordi: «solo una spolverata nel cocktail, come un pizzico di sale», puntualizza Keo a Pressler.
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Le quattro prendono di mira uomini ricchi, capaci di spendere 20mila dollari a serata; quando – nei giorni o settimane successive – uno di loro chiamava lamentandosi degli addebiti sul suo conto, il compito di Samantha consisteva nel tranquillizzarlo: «Eri così felice, non ricordi?
Stavi dando la mancia a tutti». Barbash è spietata, Keo è super organizzata e semplifica le operazioni, redigendo un programma e tenendo note su ogni cliente, con i dettagli personali e quanto viene addebitato su ciascuna carta.
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È lei a esortare le altre a coltivare un livello più elevato di clientela, a controllare le scarpe indossate, la marca dell’orologio al polso, la presenza della fede al dito; è sempre lei a decidere di esternalizzare la prostituzione, mettendo annunci su Backpage e Craigslist e istruendo le nuove arrivate. Vestiti, trucco, capelli e condivisione di un’unica regola, niente alcol e niente droghe: «ho insegnato loro a bere e sniffare per finta, almeno fino all’ultima firma sulla ricevuta».
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Grazie al fiuto per gli affari di Keo e alle doti da PR di Barbash, il business cresce: le due si comprano macchine lussuose, gli armadi traboccano di Gucci, Chanel, Versace e acquistare un paio di scarpe da mille dollari equivale a bere un bicchier d’acqua. Il successo non passa inosservato, arrivano i tentativi di imitazione e loro spostano la festa negli hotel, fornendo spogliarelliste o prostitute agli stessi uomini, drogandoli alla solita maniera, rubando la carta di credito giusto il tempo di arrivare al RoadHouse – lo strip club gestito dal complice Carmine Vitolo – e addebitarvi la cifra desiderata.
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Gestire una squadra di spogliarelliste, prostitute e ladri si rivela parecchio complicato, e la sorellanza tra Keo e Barbash comincia a incrinarsi: le prostitute non sono affidabili, Karina Pascucci e Marsi Rosen hanno la brutta abitudine di scomparire per settimane e le tensioni divampano. Il problema principale, stando a quanto rivelato da Keo a Pressler, è che la sua socia non ha senso del business, e riporta l’esempio di Rick.
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Rick era carino, ricco, non un pervertito di quart’ordine; appena Barbash scopre che il limite della sua carta di credito è di 50mila dollari lo spenna in un colpo, mandandolo in seguito su tutte le furie: «questa è la seccatura con le ragazze. Io vedo la foresta, loro vedono solo un albero da 50mila dollari».
Come risultato di tali pratiche, bruciano la loro base di clienti abituali e arrivano ad avere a che fare principalmente con estranei, il cui comportamento può essere imprevedibile.
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«Siamo diventate avide a causa della quantità di stress che dovevamo sopportare, e i soldi che guadagnavamo non erano mai abbastanza». Vanno avanti comunque, divenendo – oltre che avide – spericolate e crudeli: ripuliscono un povero diavolo da poco separatosi dalla moglie, con un mutuo e un figlio autistico sulle spalle, fregandogli 17mila dollari tra carta personale e aziendale.
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Lui si rende conto dell’accaduto e le implora di riaccreditare la cifra: Keo sente un briciolo di rimorso, Barbash è irremovibile. Il povero diavolo viene licenziato ed è intenzionato a non fermarsi: chiama il dipartimento di polizia di New York e riproduce la registrazione di una conversazione avuta con un’altra ex spogliarellista che aveva lavorato con le due donne, la quale ammette di averlo drogato e derubato.
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Se la polizia di New York avesse avuto un dollaro per ogni chiamata in cui un uomo denuncia di essere stato drogato e derubato in uno strip club, forse i poliziotti della città oggi sarebbero pancia all’aria in un paradiso tropicale, ma la questione adesso è diversa. Adesso ci sono una registrazione e un’informatrice che appena viene intercettata canta come un usignolo e smaschera l’organizzazione criminale.
Gli investigatori faticano a trovare vittime disposte a parlare: «è assurdo», ha dichiarato un agente a Pressler, «gli uomini non vogliono ammettere di essere stati vittime di donne». Più o meno nello stesso periodo, nella primavera del 2014, il New York Post pubblica la storia di un cardiologo del New Jersey che si è rifiutato di pagare un conto da 135mila dollari addebitato sulla sua carta di credito da Scores, un club di New York nel giro di Keo e Barbash: Zyad Kivarkis Younan ha affermato che «non avrei mai potuto spendere tutti quei soldi senza essere stato drogato».
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Dopo otto mesi di indagini dalla prima denuncia, uno sforzo congiunto del Dipartimento di Polizia di New York City, della Procura speciale per i narcotici e della Drug Enforcement Administration (DEA) porta agli arresti di Barbash, Keo, Rosen, Pascucci e Carmine Vitolo, manager di RoadHouse.
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Lo schema del gruppo «ha comportato non solo il furto di 200mila dollari, ma ha compromesso la salute, la sicurezza e la protezione delle vittime con la somministrazione di sostanze nocive di nascosto», ha dichiarato il procuratore speciale per Bridget G. Brennan durante la conferenza stampa. Nelle accuse vengono identificate soltanto quattro vittime, con tutti i crimini che si svolgono tra il 3 settembre 2013 e il 19 dicembre 2013.
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Barbash, Keo, Pascucci e Rosen sono accusate di associazione a delinquere, furto aggravato, aggressione e contraffazione, eppure rimangono impassibili: per come la vedono, le parti lese sono proprio loro – quattro donne volenterose provenienti da contesti difficili – incastrate da un «medico di spicco», per dirla con le parole di Barbash, che si era lamentato perché si erano approfittate di lui.
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Se avevano fatto qualcosa di sbagliato (e nessuna di loro lo pensava), questo non era niente in confronto a ciò per cui gli uomini riuscivano a farla franca regolarmente. Tutte si dichiarano colpevoli dei loro crimini; soltanto Keo accetta un patteggiamento: «sono l’unica ragazza normale, con un cervello in testa, un bambino e un futuro», ha spiegato a Pressler. Lei e Barbash sono condannate a cinque anni di libertà vigilata, mentre Rosen e Pascucci devono scontare quattro mesi di fine settimana in carcere e cinque anni di libertà vigilata.
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La trasposizione cinematografica delle vicissitudini di Keo, Barbash e socie risulta purtroppo un’operazione riuscita parzialmente: sebbene Lorene Scafaria abbia dato una nuova dignità a Jennifer Lopez, finalmente strappata alle commedie romantiche, il film ricopre il racconto con uno strato di melassa inutile e a tratti fastidioso. Per una volta, non c’è una morale o un insegnamento da trarre in questa storia priva di sentimentalismi ma traboccante di ambizione e rivalsa sociale: «ora ho bisogno di capire la differenza tra ciò che voglio e ciò di cui ho bisogno», ha confessato Keo a Pressler, «perché la mancanza di desiderio mi sta uccidendo».
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L’ex spogliarellista sta accarezzando l’idea di diventare un’oratrice motivazionale come Jordan Belfort, il broker reso famoso da The Wolf of Wall Street, e intanto pare stia scrivendo un libro per mettere tutti i puntini sulle i – dal titolo The Sophisticated Hustler – con l’intenzione di colmare alcuni buchi del film. Barbash la segue a ruota, e un estratto del suo memoir è stato da poco pubblicato su Page Six. Chi pensava che questa fosse la conclusione dovrà ricredersi: conoscendo le due signore siamo solo a un nuovo inizio.
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