Pietro Guadagno per il Corriere dello Sport
MORATTI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ZAZZARONI
«Quando la Roma ha ingaggiato Mourinho, ho pensato ai tifosi giallorossi: a quanto sarebbero stati felici di svegliarsi ogni mattina, avendo come allenatore il portoghese». Quando a Massimo Moratti capita di parlare dello Special One, continua a sgorgare un enorme affetto.
Troppo forte quel legame che è nato ormai 14 anni fa e che si è cementato fino a diventare indissolubile, dopo che l’Inter ha conquistato la Champions League, ovvero l’ultimo pezzo del Triplete. E allora chi meglio dell’ex presidente nerazzurro per spiegare chi è davvero Mourinho? Infatti, è stato l’ospite speciale della presentazione del libro “Diventare Mourinho”, scritto dal direttore del Corriere dello Sport-Stadio, Ivan Zazzaroni.
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TORNARE GIOVANE. Moratti ha raccontato il Mourinho interista, sollecitato dalle domande dell’autore («Mi ha promesso che leggerà il libro. Anche se ormai ce ne sono una quarantina scritti su di lui») e di Fabio Caressa, telecronista di Sky. Mentre a fare da contraltare per dare un’idea di cosa sia lo Special One per la Roma, ecco Paolo Liguori, direttore editoriale della web tv “Il Riformista” e grande tifoso giallorosso. Nel pubblico, invece, è comparso pure Piero Ausilio, dirigente nerazzurro allora e tutt’ora. «Non ho provato alcuna gelosia per il ritorno in Italia di Mourinho, al contrario mi ha fatto piacere che andasse alla Roma – ha rivelato Moratti -.
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Ho subito pensato che fosse la piazza giusta per lui per esprimersi. Inoltre, credo che gli abbia dato l’opportunità di tornare più giovane, nel senso che si ritrova con i problemi che doveva affrontare a inizio carriera. Quindi, una squadra da costruire, ma senza la possibilità di dire: “Mi piace Ibrahimovic”. Non so dire se si stia divertendo, ma ho idea che l’esperienza gli piaccia. Magari rischia un po’ meno, rispetto a quando allenava Inter o Real Madrid, ma questo non gli impedisce di metterci tutto sé stesso».
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L’ammirazione nei confronti dello Special One è intatta, anche per il canale di comunicazione non si è mai interrotto. «Capita di sentirci spesso. Secondo me lui non è soltanto un allenatore, è qualcosa di più. Perché riesce ad andare oltre, a entrare in sintonia non solo con i giocatori, ma anche con la società ed i tifosi. In aggiunta è un professionista straordinario e un grande lavoratore. Non smette mai. Il paragone con Hererra è assolutamente corretto. Anzi, a me l’ha ricordato quando ancora allenava il Porto e gli è stato chiesto della formazione per la semifinale di ritorno di Champions con il Deportivo la Coruña, dopo il pareggio casalingo all’andata. Beh, lui ha risposto che stava già pensando a quella della finale…
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All’Inter è riuscito a rendere più semplice qualcosa che sembrava irraggiungibile (la Champions, ndr). Con la sua sicurezza, ha contagiato i giocatori che si sono sentiti sostenuti e aiutati in ogni momento. Nessuno è venuto a lamentarsi di lui con me. E nemmeno lui era solito venire da me per chiedere nuovi calciatori. L’ha fatto solo con Quaresma, all’inizio. Poi, tutte le altre sono state scelte discusse e condivise».
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ESSERE PICCOLI O ESSERE GRANDI Alla Roma, evidentemente, lo scenario è diverso per lo Special One. «Anche per noi è diverso, però – ha precisato Liguori -. Adesso conta fino ad un certo punto vincere o perdere, perché c’è comunque la consapevolezza di avere Mourinho in panchina. Il portoghese non allena soltanto una squadra, ma un popolo di tifosi. E quelli giallorossi sono diventati un’altra cosa: ora sono più appassionati, riempiono lo stadio e devono più strafare perché sanno che ci pensa lui: sanno che è sempre il primo a difendere la Roma.
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Si può dire che abbia aperto una strada, indicando un percorso ai suoi giocatori. È emblematico, ad esempio, quando ha detto dentro lo spogliatoio: “Se noi siamo piccoli ci trattando da piccoli. Se riusciamo ad essere grandi, invece, ci trattando da grandi”. E all’ambiente attorno alla Roma questo piace».
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