Gregorio Botta per “Robinson - la Repubblica”
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Lo strano posto della religione nell'arte contemporanea è il titolo di un saggio di James Elkins, edito in Italia da Johan& Levi, che fotografa i rapporti ormai quasi inesistenti tra la Chiesa, anzi le Chiese, e gli artisti di questo secolo e di quello scorso.
Basta dare un'occhiata alla gran maggioranza degli edifici di culto costruiti nel Novecento per percepirne il freddo mutismo estetico, se non peggio: un kitsch formale lontanissimo dai linguaggi del presente.
È vero che qualche eccezione si è tentata. Un esempio per tutti: la Cappella realizzata da Ettore Spalletti insieme con la moglie architetto Patrizia Leonelli a Città Sant' Angelo, pochi chilometri da Pescara. Un pezzo di cielo racchiuso in un edificio sobrio, un volume di intenso azzurro in cui è facile immergersi e trovare una dimensione spirituale. Ma purtroppo sono casi più che rari.
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Rarissimo, anzi unico, è il caso di Bill Viola: se c'è un artista che può installare le sue opere in una chiesa senza creare una stridente contraddizione visiva con l'architettura che lo circonda è lui.
Chiunque abbia visto 15 anni fa Ocean without a shore a Venezia, con i tre schermi verticali montati come pale d'altare nella bellissima chiesetta di San Gallo ha vissuto un'esperienza difficile da dimenticare. Nascono per una chiesa, ( la cattedrale di St. Paul a Londra) anche i quattro video ad alta definizione dei Martyrs, tre uomini e una donna la cui vita viene travolta dall'acqua, dalla terra, dal fuoco, dall'aria.
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Non raffigurano nessun santo, non incarnano nessuna storia particolare: sono semplici testimoni della condizione umana, sospesa tra la sofferenza e il coraggio di vivere, il mistero e l'accettazione del dolore. I Martiri sono oggi la tappa finale della mostra Icons of Light ( fino al 26 giugno, a cura di Kira Perov, direttrice del Bill Viola studio e moglie dell'artista) con cui si riaprono a Roma le belle sale del seicentesco Palazzo Bonaparte: quindici proiezioni che reclamano tutto il tempo necessario per essere viste.
È il segreto dell'arte di Viola: restituire nelle sue messe in scena al ralenti l'intensità di ogni momento che i suoi protagonisti vivono, creando un'atmosfera intensa che invita alla contemplazione e alla meditazione. Per cui chi visita la mostra non abbia fretta e si regali le due ore che servono per guardare ogni attimo che ci viene offerto.
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Per immergersi, ad esempio, in tutta la gamma di emozioni di Unspoken ( Silver& Gold): un'opera di 35 minuti in cui i volti di due attori, proiettati in primo piano su tavole, una ricoperta di foglie d'oro, l'altra di argento, cambiano lentamente espressione, sopraffatti dall'angoscia, dalla compassione, dalla speranza. O per specchiarsi in Observance, una lunga fila di esseri umani che si avvicendano per osservare una scena a noi sconosciuta: un incidente? Un ferimento? Una malattia? Una morte?
Non lo sappiamo e non importa. Perché il protagonista è il fiume di sentimenti che si accavallano, una umanissima miscela di curiosità, stupore, empatia, condivisione e alla fine pietà nei confronti di chi è caduto davanti a noi.
Molti dei video in mostra sono famosi e già visti in Italia: d'altronde le condizioni di salute dell'artista hanno rallentato, se non fermato, la sua produzione.
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Per questo è preziosa l'opera, meno nota, che apre l'esposizione: The reflecting pool, un videotape del ' 77. Altri tempi, altre tecniche di registrazione, altra definizione delle immagini: ma l'ispirazione è la stessa. Una piscina naturale in un bosco riflette avvenimenti che non compaiono in scena, come se l'acqua avesse una sua eterna memoria del tempo che scorre, ne fosse la custode e la sacerdotessa.
Già allora, agli esordi, l'acqua era uno dei soggetti preferiti di Viola: elemento primordiale, fonte di vita e di catastrofi, soglia dell'inconscio e segno di rinascita, simbolo del fluire del tempo. L'artista l'ha cantata in ognuno di questi sensi, e forse di più: in Water Portraits series l'acqua è il limpido liquido amniotico che avvolge i dormienti, sommersi in attesa di essere svegliati alla vita.
Nel potentissimo Ascension, video installazione su grande schermo, è il blu di un mare profondo e insondabile che attira e accoglie il corpo di un ragazzo: evidentemente non c'è ascesa senza una discesa nell'abisso. In Three Women è una porta di pioggia che tre donne attraversano. Nel passaggio sotto le acque cambiano natura: erano sfumate e in bianco e nero, acquistano colore e nitidezza.
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Come se stessero venendo al mondo: ma è una breve sosta, presto sono di nuovo richiamate al di là e devono ripercorrere la strada che le trascina indietro, in un buio indistinto. È lo stesso tema narrativo dell'Ocean without a shore che era stato esposto a Venezia. Il titolo proviene dal pensatore sufi Ibn Al'Arabi: « Il sé è un oceano senza riva. Guardarlo non ha inizio né fine, in questo mondo e nel prossimo » .
È uno dai tanti mistici, di ogni culto, orientali e occidentali, che Bill Viola, nato in America nel 1951, vissuto in Italia e in Giappone, ha studiato e ama citare. A dimostrazione che sì, l'arte ha forse interrotto ogni rapporto con le singole religioni, ma non con la spiritualità, il sacro, il mistero che avvolge l'avventura umana.
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