Marco Giusti per Dagospia
SE LA STRADA POTESSE PARLARE
Tempo di Oscar. Romantico, elegante, ma anche duro e serissimo ci arriva questo Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk), scritto e diretto da Barry Jenkins, il regista premio Oscar di Moonlight, giustamente in cerca di nuove nomination. Meritatissime, perché il film oltre che essere una sontuosa ricostruzione della Harlem dei primi anni ’70 narrata nell’omonimo libro di James Baldwin da cui è tratto il film, si rivela anche fortemente popolare con una grande storia d’amore tormentata tra due giovanissimi.
SE LA STRADA POTESSE PARLARE
Lei, la diciannovenne Tish, interpretata dalla inedita e fenomenale Kiki Layne, lui, il ventiduenne Alonzo detto Fonny, interpretato da Stephan James. Andrebbe tutto bene, i due si amano e si devono sposare, cercano casa e lei aspetta pure un bambino, quando Fonny finisce in carcere accusato di uno stupro che non ha commesso ai danni di una sudamericana. Ma un poliziotto bianco lo ha incastrato e la donna che lo accusa è tornata a Porto Rico.
SE LA STRADA POTESSE PARLARE
Per giunta il suo avvocato, bianco, non sembra così interessato… Baldwin e Jenkins descrivono un mondo dove la giustizia è un affare solo e esclusivamente dei bianchi. Un mondo razzista che certo l’America di Trump non sta migliorando. Ma il film, soprattutto, vive di una grandiosa messa in scena, se vogliamo anche più elaborata rispetto a Moonlight, che aveva, magari, un soggetto più originale e una struttura più interessante. Una messa in scena che si rifà alle grandi fotografie del tempo di Harlem e di New York, dove i personaggi principali, i due amanti, e le loro famiglie si muovono alla perfezione per completare un pieno omaggio alla scrittura di James Baldwin. In sala dal 24 gennaio.
SE LA STRADA POTESSE PARLARE