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    ROMBO DI ABATANTUONO! “L’ITALIA RESTA IL PAESE DESCRITTO NEL FILM "I MOSTRI" CON TOGNAZZI CHE INSEGNA AL FIGLIO I TRUCCHI PER FREGARE IL VIGILE. PURE OGGI DIRE A UNO CHE È UNA BRAVA PERSONA È UN PO' COME DARGLI DEL COGLIONE – C'È QUALCHE CRITICO CHE DI RECENTE HA RIVALUTATO GIOVANNONA COSCIALUNGA E I PIERINI: È UN PO' SNOB DEFINIRE QUEI FILM DEI "CULT". CHE POI, A DIRE IL VERO, A ME LA PAROLA "CULT" MI HA SEMPRE FATTO ANCHE UN PO' CAGARE. ALLA FINE, UN FILM O È BELLO O È BRUTTO” – VIDEO


     
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    Giulia Cazzaniga per “la Verità”

     

    diego abatantuono diego abatantuono

    Nelle foto della cena dell'altra sera con alcuni degli amici di sempre alla polpetteria di via Vigevano a Milano - Meatball family, gestita dal figlio con alcuni soci - c'erano pure Cochi e Renato, Smaila, Boldi, Ale e Franz, Scintilla, Johnatan, Fausto Leali e molti altri. Hanno fatto il giro del Web. «Ci ritroviamo tutti gli anni per gli auguri», ci racconta pochi giorni dopo aver ritirato l'Ambrogino d'oro di Milano. Improvvisamente Natale è il titolo del suo ultimo film, su Amazon Prime, e Diego Abatantuono è pure in libreria: ha scritto con Giorgio Teruzzi, per Einaudi, Si potrebbe andare tutti al mio funerale.

     

    Ma è vero che lei ha perso il conto di quanti film ha fatto?

    «Faccio fatica a contarli. Alcuni sono passati sia in tv sia al cinema. Per fare un esempio, Il segreto del Sahara, girato in pellicola, era sia per la tv sia per il cinema. Insomma, quando me lo chiedo io rispondo 100 e faccio prima».

     

    Certo è che il primo fu nel '76.

    ugo tognazzi i mostri ugo tognazzi i mostri

    «Andai ad accompagnare i Gatti di vicolo Miracoli (Jerry Calà, Umberto Smaila, Franco Oppini e Nini Salerno, ndr) a un provino e il regista, Romolo Guerrieri, mi chiese se volessi fare la parte del balordo in Liberi armati e pericolosi. Dissi di sì, mi domandò se avessi la patente. Non la avevo, mentii. Poi sul set avrei dovuto fare una sgommata con la macchina e confessai: mi servivano i soldi. Lui capì, e finì bene. Da lì feci parecchie partecipazioni. Fu quello con Monica Vitti, però, il primo film da protagonista».

     

    Il tango della gelosia.

    «Fu un grande successo anche al botteghino».

     

    La Vitti la conobbe sul set, o già vi eravate incontrati?

    «Lei aveva sentito parlare di me e venne a vedere un mio spettacolo. Portò anche Steno, il padre dei Vanzina. In quegli anni facevo il cabaret a Milano e in tutta Italia, ma non a Roma. Allora con 2 milioni di lire, che avevo risparmiato con le serate, affittai un teatrino in piazza Navona e invitai tutti quelli che conoscevo. La prima sera feci il tutto esaurito: Monica, Steno, i Vanzina, Benigni, Troisi, Cochi e Renato e molti altri. Era pieno. Le sere successive non venne nessuno, comunque l'idea funzionò e da quel giorno partì tutto».

     

    DIEGO ABATANTUONO - SI POTREBBE ANDARE TUTTI AL MIO FUNERALE DIEGO ABATANTUONO - SI POTREBBE ANDARE TUTTI AL MIO FUNERALE

    Arrivò la fama.

    «In due anni feci 12 film. Avrei dovuto capirlo che erano troppi. Non fui aiutato nelle scelte, ero inesperto. Al contrario del mio agente. Davo molta importanza ai rapporti di amicizia. Comunque per me erano soldi».

     

    Un set dopo l'altro

    «Ero frastornato, non capivo più niente. Ho rischiato di bruciarmi, a un certo punto poi il mercato si satura. Le proposte calavano. Così, decisi di stare fermo un po'. Il personaggio del "terrunciello" inizialmente lo usavo solo per chiudere lo spettacolo, ma talmente era richiesto e talmente funzionava che pian piano ha vinto lui. Poi sono arrivati Pupi Avati, Comencini, Negrin, Salvatores, le belle pellicole».

     

    Si ride meno o si ride ancora, in questa Italia?

    «Si ride abbastanza, si ride se le cose fan ridere. La commedia all'italiana di Monicelli, Scola, Comencini, Risi e dei grandi attori come Sordi, Gassman, Tognazzi, Gian Maria Volontè o Mastroianni beh, quella generazione era così di alto livello che poi è stato difficile andare avanti.

     

    Erano pellicole esilaranti e struggenti al tempo stesso. La guerra e la fame erano ancora ben impresse nella mente e nei ricordi di tutti. Comunque il cinema è andato avanti. Certo, la qualità forse è calata. Bisognerebbe guardare e riguardare i vecchi film che hanno reso grande il cinema italiano».

    DIEGO ABATANTUONO - CAMERIERI DIEGO ABATANTUONO - CAMERIERI

     

    Ci vuole una cultura, un'educazione al divertimento?

    «Ma sì, il pubblico dimentica velocemente. Prenda la parolaccia: va usata dove serve. Non si dice "culo" solo per far ridere un bambino. C'è qualche critico che di recente ha rivalutato Giovannona Coscialunga e i Pierini: è un po' snob definire quei film dei "cult". Che poi, a dire il vero, a me la parola "cult" mi ha sempre fatto anche un po' cagare. Alla fine, un film o è bello o è brutto».

     

    Scrive nel libro che imparare a far ridere è come voler diventare più alti

    «Certo, secondo me è impossibile. O ce l'hai, o non ce l'hai. Beh, però uno dei fratelli di mio padre ci provò, sa?».

     

    A far ridere?

    «No no, a diventare più alto. Si era attaccato dei pesi ai piedi, poi si appendeva a una sbarra. Forse si era allungato un po', ma nel busto. Le gambe erano rimaste corte. Ecco, anche per l'umorismo è così».

    diego abatantuono diego abatantuono

     

     

    Mi ha colpito quanto dice di lei Pupi Avati: avesse Abatantuono imparato a recitare inglese, avrebbe perso in autenticità e istintività. La descrive come un raffinato psicologo che sa della vita, conoscitore dell'animo umano.

    «Per far ridere devi sapere con chi hai a che fare, capire le persone, il Paese in cui vivi. Io ho studiato poco. La mia scuola sono state le serate con Jannacci, Beppe Viola, Dario Fo, Gaber o Felice Andreasi. Ricordo la grande cultura di Lino Toffolo. Stavo attento, ascoltavo e capivo. Non tutti hanno voglia di stare attenti, e quindi fanno fatica a capire. Sono stato fortunato, nel posto giusto al momento giusto».

     

    Improvvisamente Natale è un film che non è passato dalla sala, si può vedere solo in streaming. Senza retorica: ci perdiamo qualcosa, a non andare più al cinema?

    «Certo, il cinema visto al cinema è un'altra cosa. Secondo me negli anni le programmazioni hanno favorito i colossal stranieri, spesso penalizzando pellicole italiane di qualità. Una volta era diverso. Mi ricordo che alla prima di Eccezzziunale veramente c'erano 3.000 persone davanti al cinema Adriano a Roma, che volevano entrare».

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    Era il 1982.

    «Le televisioni erano a tubo catodico, piccole, per farle funzionare si prendevano a pugni. Oggi sono grandi, come gli schermi dei cinema di una volta. È vero che con la pandemia la gente si è disabituata ad andare al cinema. Ma per tornarci, per riprendere la vecchia bella abitudine, ne deve valere la pena. Vedere un film comico in una sala di 600 posti con 4 persone, non è facile. Quando è piena, condividi le emozioni. Il cinema è bello vederlo in tanti».

     

    Racconta che Gassman ipotizzò lei potesse essere il suo erede.

    «L'ho saputo da qualcuno, che lo ha letto da qualche parte. Mi fa piacere, ne ho ricevuti anche altri di complimenti, ma non mi piace raccontarli. C'è chi d'abitudine racconta aneddoti e complimenti ricevuti appena un grande personaggio non può più negare o smentire, in quanto deceduto. Chi le lodi di Padre Pio, chi quelle di Totò ma lasciamo perdere».

     

    DIEGO ABATANTUONO DIEGO ABATANTUONO

    Si potrebbe andare tutti al mio funerale è il racconto di una festa, ci sono proprio tutti.

    «I morti, ma pure i vivi. Va interpretato, è costruito in modo da non capire se sono morto davvero o se sono vivo in un sogno. Sono a letto, sono malato, mia mamma mi mette il Vicks Vaporub sul torace. Sento che fuori c'è una festa, e io alle feste ci andrei pure malato. Vengo attratto, e lì comincia la storia. Per capire, però, bisogna leggere il libro».

     

    Credo non le venga molto da ridere invece quando dicono di voler abbattere San Siro. La fede rossonera per lei è una questione molto seria.

    «Certo che mi dispiacerebbe, a San Siro siamo affezionati. Mi sono un po' interessato e mi pare di aver capito che ci sarebbe la possibilità di ristrutturare un anello per volta senza far danni ambientali, potendo così salvare e non abbattere le scuderie, la zona intorno, un posto meraviglioso. Questa cosa dello stadio, in piccolo, è un po' come quella del ponte sullo stretto di Messina: c'è chi vuole guadagnarci, e non tiene conto di tutti i fattori in gioco».

     

    Contrario al ponte?

    «Sono stato in Sicilia, ma soprattutto me ne hanno parlato amici siciliani. Mi dicono che mancano le strade e le ferrovie, che c'è da metter mano a ospedali, scuole, acquedotti. Da 67 anni sento parlare delle disavventure della Reggio Calabria. Bisogna fare una cosa per volta».

     

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    È raro sentirla parlare di politica.

    «Non ne parlo volentieri. La politica è fatta di persone. Ce ne sono di oneste e disoneste. La destra è al governo perché è stata votata dal popolo, e ci sarebbe la sinistra se fosse stata capace di muoversi bene. La democrazia è questa».

     

    Di temi come ad esempio l'immigrazione che pensa?

    «L'Africa è stata colonizzata e sfruttata per centinaia di anni, chi lo ha fatto dovrebbe occuparsene, invece la abbiamo abbandonata».

     

    Cos' altro la preoccupa?

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    «Ancora non abbiamo capito che se non ce ne prendiamo cura, i fiumi tracimano e portano via le case. Senza alberi le montagne cedono. Con il Covid c'è chi se ne è approfittato. Reddito di cittadinanza e Superbonus sono state belle idee, ma dobbiamo ricordarci che il nostro è il Paese descritto da Scola, nel film I mostri: Tognazzi insegna al figlio i trucchi per fregare il vigile, per non pagare le paste al bar, per saltare le file, insomma per fare il furbo. Non è bello, se ne pagano le conseguenze. Pure oggi dire a uno che è una brava persona è un po' come dargli del coglione. E ho detto tutto».

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