paolo mieli. -corriere-della-sera-
DAGOREPORT, 13 gen 2010 - ESTRATTO
Paolo Mieli ne avrebbe di cose da raccontare. Ad esempio, da chi e in quali stanze di via Solferino sarebbe stato scritto il memoriale - ufficialmente "uscito" dal carcere di S.Vittore, del manager Fiat Enzo Papi.
Confessioni che il Corrierone pubblicò in cultura con una prefazione del filosofo ex marxista, Lucio Colletti. Memoriale, va spiegato, venuto alla luce negli stessi drammatici giorni in cui i giudici di Milano tenevano recluso Francesco Paolo Mattioli.
paolo mattioli
Il numero tre della Fiat scomparso l'altro giorno, tenuto in gabbia al solo scopo di potergli estorcere il nome (meglio offrigli la testa) di Cesarone Romiti.
Dicevamo, neppure la scomparsa prematura di Francesco Paolo Mattioli, per vent'anni braccio destro di Cesare Romiti alla Fiat, l'altro giorno ha solleticato la casta dei mandarini dei media a una riflessione meno volgare e sempliciotta della stagione di Mani Pulite. Con i suoi tanti morti e feriti.
FRANZO GRANDE STEVENS MICHELE BRIAMONTE EZIO MAURO ALLO STADIO FOTO LAPRESSE
Eppure Paolo Mattioli (38 giorni di carcere nella stessa cella di S.Vittore già occupata da don Salvatore Ligresti) è stato uno dei pesci più grossi finiti nella rete della procura di Milano.
cosa accadde quel 22 febbraio del '93
Quando i carabinieri fecero irruzione ai piani alti di Corso Marconi (l'ottavo per l'esattezza) perquisendo gli uffici dell'Avvocato, di Romiti e di Mattioli. Il commento che nel giorno della profanazione del tempio Fiat diede alle stampe il suo giornale. Allora guidato dal tosto Ezio Mauro.
Ezio Mauro
Un giornalista, Mauro, impegnato a sostenere i pm di Mani pulite fino a quando Di Pietro non è andato a bussare con i piedi l'uscio dei suoi padroni di casa: l'intoccabile famiglia Agnelli.
mani pulite
Il gruppo che fino a quel momento, a dare ascolto all'Avvocato e a Romiti in processione dal card. Martini, aveva sempre negato di aver elargito tangenti a qualunque titolo. Anzi, a un certo punto, sostennero addirittura di essere stati concussi.
tribunale di milano mani pulite
Ed è lo o stesso Mauro-Tarzan che oggi, sbarcato alla Repubblica di paron De Benedetti, ha riabbandonato la liana garantista per tornare a spalleggiare (e incoraggiare) i giudici inquirenti in ogni loro iniziativa contro Berlusconi, il Pdl e, ovviamente, gli ex socialisti (da oltre dieci anni considerati come carne da macello).
Così, il giorno dopo l'incursione della Benemerita in corso Marconi, l'Enzino di Dronero scoprì che il pool di Mani pulite stava esagerando. Ma senza scendere personalmente in campo. Il commento (o pezza d'appoggio) come per il caso Papi di cui si è detto al Corriere (prefazione al memoriale di Colletti) fu affidato a un altro filosofo, sia pure del pensiero debole, Gianni Vattimo.
gianni vattimo 1
Vale la pena rileggere la sua prosa stupefacente: "Specialmente a Torino, arresti come quelli di Mattioli e Mosconi fanno un'impressione profonda, abissalmente diversa da quella che pure si è provata per gli avvisi di garanzia a politici di primissimo piano come Craxi...". Capito, cosa può produrre il pensiero filosofale debole (o Lebole)?
Romiti Agnelli
Nell'elenco degli intellettuali organici, allineati alle direttive del potere da Pigi Battista nel suo saggio i "Conformisti", ovviamente non figurano né il filosofo Vattimo, né il politologo Panebianco né l'ex collaboratore del socialista Claudio Martelli, Ernesto Galli della Loggia. Tutti autoassolti i compagnucci della parrocchietta di Paolino Mieli.
Giulio Anselmi
PS - La foto di Mattioli, apparsa sul Corriere, che usciva dalla galera con la faccia spettinata, disfatto e mesto, costò il posto da direttore all'allora vice-direttore Giulio Anselmi (Romiti furioso).
Romiti Agnelli
IL TANDEM DEI ROMANI ROMITI-MATTIOLI DAVA FASTIDIO SOPRATTUTTO A UMBERTO AGNELLI E MATTIOLI SI TROVÒ IN MEZZO NEL ’92 ALLO SCONTRO FURIBONDO CHE PORTÒ UMBERTO A SCRIVERE NEL GENNAIO DI QUELL’ANNO UNA LETTERA AL FRATELLO GIANNI IN CUI SFIDUCIAVA CESARONE ROMITI. VINSE IL CUCCIA-POWER E UMBERTO FINÌ KO
DAVIGO - COLOMBO - DI PIETRO
DAGOREPORT - 13 gen 2010
Salvo Montezemolo in prima fila, erano pochi gli esponenti della vecchia guardia Fiat che ieri mattina alle 10 nella chiesa di Santa Maria del Carmine hanno partecipato ai funerali di Francesco Paolo Mattioli, l'uomo che per due decenni ha lavorato alla corte di Giovanni Agnelli e ha guidato la finanza della Casa torinese.
Romiti Cuccia
Era assente Sergio Marpionne, il manager che dal Salone dell'Automobile di Detroit continua a ribadire la volontà di chiudere Termini Imerese con toni così aspri che nemmeno Romiti ha usato quando era al vertice della Fiat. La distanza tra il "nuovo corso" del Lingotto e l'epoca in cui il tandem Romiti-Mattioli ha guidato l'azienda non è soltanto fisica, ma profondamente simbolica, quasi a segnare il solco tra due mondi lontani di cui il 70enne finanziere appena scomparso rappresentava una delle ultime appendici.
paolo mattioli Romiti Franzo Stevens
Va detto subito che a molti esponenti della vecchia guardia Fiat, nella quale oltre a Romiti bisogna aggiungere i nomi di Cantarella, Garuzzo, Annibaldi e Paolo Fresco, non deve essere piaciuto il modo con cui i giornali hanno liquidato il profilo del "ragazzo Mattioli".
All'Avvocato piaceva definire "ragazzo" questo romano elegante e dall'inglese fluente che solo dopo l'uscita da San Vittore dove fu rinchiuso per 38 giorni sfogava la sua rabbia concedendosi qualche raro turpiloquio. In particolare, alla vecchia guardia Fiat non deve essere piaciuta l'insistenza con cui il "Sole 24 Ore" di ieri ha ricordato la penosa vicenda di Tangentopoli con aneddoti che hanno messo in ombra la storia e il valore di questo manager.
cesare romiti agnelli
Eppure di Francesco Paolo Mattioli si potevano ricordare non solo il curriculum che inizia a 22 anni con l'attività di Procuratore alla Borsa di Roma e arriva in Fiat nel maggio '75 dopo cinque anni di lavoro al fianco di Romiti in Alitalia, ma le vicende che l'hanno visto al centro dei più importanti avvenimenti che hanno segnato la storia della Fiat negli anni ‘90.
romiti
Fu Romiti, romano d'origine, a formare nel 1985 la "squadra dei romani" in contrapposizione ai top manager torinesi che già nel '78, quando Cesarone approdò in Fiat per volontà di Cuccia, storsero la bocca di fronte all'invasione dei "capitolini".
Qualcuno dovrebbe cercare tra le vecchie annate del settimanale economico "Espansione", la mappa disegnata dal giornalista Roberto Ceredi, in cui le due "squadre" erano definite nei dettagli con estrema precisione e grande realismo. Appena il giornale uscì nelle edicole, Alberto Nicolello, l'uomo che dirigeva l'ufficio stampa e poi fu destinato a seguire l'editoria del Gruppo torinese, piombò a Segrate per ordine di Romiti mostrando una finta sorpresa.
UMBERTO AGNELLI CESARE ROMITI
In realtà il tandem dei romani Romiti-Mattioli dava fastidio soprattutto a Umberto Agnelli e agli uomini dell'Ifil, la cassaforte della Sacra Famiglia guidata da Gianluigi Gabetti. E Mattioli si trovò in mezzo nel '92 allo scontro furibondo che portò Umberto a scrivere nel gennaio di quell'anno una lettera al fratello Gianni in cui sfiduciava Cesarone Romiti.
Il fratello dell'Avvocato puntava alla successione, ma l'impresa era difficile in un momento in cui la Fiat aveva debiti per 3.849 miliardi e 1.800 miliardi di perdite. Fu Enrico Cuccia, lo sponsor di Romiti e di Mattioli a chiedere all'Avvocato di tenere a bada il fratello e così avvenne anche se Giovanni Agnelli negli anni non si stancò mai di ripetere che Umberto sarebbe stato il suo successore.
umberto gianni agnelli
Resta il fatto che nel novembre del '92 la guerra tra "romitiani" e "umbertini" finisce e si apre la strada al salvataggio della Fiat sotto la regia di Cuccia e delle banche. Francesco Mattioli diventa a pieno titolo il principe della finanza e siede al vertice dell'azienda accanto a Garuzzo, Cantarella, Quadrino, Callieri, e all'ambasciatore Renato Ruggiero al quale vengono affidati i rapporti internazionali.
Il vincitore della battaglia torinese è il supermanager dal medagliere pesante, Cesarone Romiti, che tiene a bada il "clan dei torinesi" e si ripropone come nel 1980 con la "marcia dei 40mila" salvatore della Fiat. Accanto a lui c'è Mattioli, ma nei primi mesi del '93 si abbatte su Torino il ciclone di Tangentopoli.
CESARE ROMITI CARLO DE BENEDETTI
Tutto ebbe inizio nel maggio dell'anno precedente quando a San Vittore finì Enzo Papi, l'uomo che guidava Cogefar Impresit, l'azienda di costruzioni del Gruppo, e che fu accusato di aver distribuito mazzette per il passante ferroviario di Milano.
Nel febbraio del '93 Mattioli, che di Cogefar era presidente, viene arrestato insieme al manager Antonio Mosconi e un ordine di custodia cautelare viene emesso anche per il direttore generale della Fiat, Giorgio Garuzzo, inquisito per una tangente di 1 miliardo e 400 milioni che l'Iveco avrebbe pagato nel 1986 alla Dc e al Psi per un'altra commessa pubblica.
gianni angelli cesare romiti
La storia di quei giorni è una storia drammatica che scuote la Sacra Famiglia degli Agnelli dove si comincia a pensare che il pool di Mani Pulite voglia abbattere l'impero torinese e il suo imperatore. Chi ha voglia di ricostruire quelle giornate non ha che da leggere le 2.094 pagine della "Storia della Fiat" curata dallo storico Valerio Castronovo, un libro che a Cesarone Romiti ha dato molto fastidio per il rigore e l'obiettività. In quel testo si legge che l'arresto di Mattioli nel febbraio ‘93 fu un colpo durissimo.
cesare romiti con gianni agnelli nel 1989
In aprile Gianni Agnelli durante un convegno della Confindustria Venezia ammise che la Fiat aveva sbagliato ("si sono verificati alcuni episodi di commistione con il sistema politico non corretti. Però il cuore della Fiat resta sano"). Poi Romiti si fiondò davanti a Borrelli e gli consegnò un memoriale che era un vero atto di contrizione, del tutto simile a quello pronunciato pochi mesi prima in un incontro con l'arcivescovo di Milano, cardinal Martini.
enrico cuccia cesare romiti
Fu l'inizio della collaborazione con Mani Pulite, un atto dovuto perché il cerchio si stava stringendo intorno a lui e rischiava di arrivare al tesoretto di fondi neri che l'Impresit aveva costituito per pagare le tangenti. La cronaca di quei giorni dice che nei 38 giorni a San Vittore, Mattioli non aprì bocca e non fornì alcuna conferma agli zelanti collaboratori di Saverio Borrelli.
E c'è ancora qualcuno a Torino che ricorda le malignità dell'epoca, quando nei corridoi di Corso Marconi e del Lingotto si diceva che il silenzio di Mattioli era stato pagato profumatamente con 1 miliardo per ogni giorno di detenzione.
gianni agnelli cesare romiti ciriaco de mita
Ecco, il Mattioli manager e finanziere è l'uomo che ha vissuto queste vicende trascinate fino al giugno '94 quando Romiti fu sottoposto dalla Procura torinese a un interrogatorio-fiume di 8 ore in cui disse che non poteva sapere tutto su un Gruppo come la Fiat con 1.000 società e 300mila dipendenti.
La storia è andata così, ed è una storia che è arrivata a sfiorare i Savoia dell'automobile e si può tranquillamente aggiungere al capitolo dei misteri italiani. Ma a chi ha conosciuto Mattioli da vicino non piace ricordare gli aneddoti di San Vittore (come ha fatto ieri il giornale di Confindustria) quanto piuttosto il ruolo che il nipote del grande banchiere Mattioli, ha avuto nell'establishment bancario, creditizio e finanziario.
DI PIETRO - COLOMBO - FRANCESCO SAVERIO BORRELLI
Nella holding di Corso Marconi era l'interfaccia e l'interlocutore di Gabetti, e nell'azienda il secondo pilastro della politica romitiana che ha portato a dilatare le attività finanziarie fino al punto di sminuire le strategie industriali. E accanto a questi ricordi bisogna aggiungere quello del Mattioli che seguiva ai tempi di Gemina le attività editoriali della Rizzoli di cui la Fiat era primo azionista.
Era lui che ogni mercoledì si spostava da Torino ed entrava in via Turati a Milano per fare il punto della situazione con il direttore generale Felice Vitali. Lo faceva con quella discrezione che nei necrologi gli è stata da tutti riconosciuta, ma dopo i 38 giorni di Tangentopoli non c'è dubbio che la sua personalità fu sconvolta. Anche se Romiti lo reintegrò subito e completamente gli strascichi psicologici non lo hanno mai abbandonato e chi l'ha visto negli anni successivi ha trovato un uomo ripiegato sugli affetti.
giuliano amato gianni agnelli cesare romiti
La "nuova" Fiat, quella che sta spostando il baricentro a Detroit e che crede di nuovo nell'automobile, ieri non c'era nella chiesa romana, ma a ricordare il romano principe della finanza ci ha pensato l'86enne Cesarone Romiti con parole sobrie e struggenti.
cesare romiti