Ezio Mauro per “la Repubblica”
Enrico Cuccia Cesare Romiti
Qual era il segreto del potere di Cesare Romiti? Esercitato per vent' anni alla Fiat, coltivato prima nel settore pubblico all'Alitalia e all'Italstat, prorogato infine con la guida della Rcs come editore, è stato soprattutto comando, più che leadership.
Questa è stata la scelta vincente, dettata dall'istinto, che ha sempre spinto Romiti ad assicurarsi il ruolo di capo azienda - con la totale responsabilità delle scelte però riconoscendo nello stesso tempo due autorità di riferimento che lo hanno guidato come due stelle fisse nel cielo mutevole del capitalismo d'impresa italiano: Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia.
umberto e gianni agnelli con cesare romiti
In questo difficile esercizio d'equilibrio tra l'autonomia e la soggezione si muove tutta la chimica misteriosa della sovranità romitiana, un manager delegato che ha operato per un periodo lunghissimo come plenipotenziario della più grande impresa privata italiana.
Le dimensioni della Fiat, la sua attitudine al comando, l'investitura permanente dell'Avvocato e del patron di Mediobanca che lo hanno sempre accompagnato nella sua avventura lo hanno via via proiettato in un ruolo pubblico da protagonista, dopo che per anni aveva preferito gestire il potere dal suo ufficio all'ottavo piano di corso Marconi: dove il sabato mattina (almeno una volta al mese) era previsto un colloquio a tu per tu con Agnelli, nel silenzio dei corridoi vuoti e delle stanze senza segretarie: nemmeno Margherita, la sua fedelissima.
ezio mauro
Così sono nate la sfida al terrorismo che lambiva le fabbriche, coi 61 licenziamenti, il braccio di ferro con il sindacato con il lungo sciopero di Mirafiori, la marcia del 40 mila che porta in piazza per la prima volta i quadri Fiat e segna un cambio di stagione all'interno del mondo del lavoro.
cesare romiti gianni agnelli 1
Luciano Lama, in quei giorni, battezzerà in Romiti «un estremista dell'impresa», Giampaolo Pansa lo presenterà in un libro-intervista come «un cartesiano rozzo», Schimberni che lo conosceva da ragazzo lo definirà «uno sfrontato pieno di grinta».
CESARE ROMITI CARLO DE BENEDETTI
In realtà era ancora una volta l'istinto che lo guidava più che la teoria, da uomo di mano, mentre la strategia veniva messa a fuoco dai suoi collaboratori di primo piano come Cesare Annibaldi e Carlo Callieri. La capacità di scegliere, l'azzardo nel decidere, l'esposizione in prima persona lo trasformano pubblicamente in un "falco" industriale.
Cesare Romiti con Gianni Agnelli e Sandro Pertini alla presentazione della nuova Fiat Uno
Ma la vera metamorfosi è già avvenuta, trasformandolo da uomo dei conti a capitano d'impresa, attraverso una serie di battaglie interne ovattate dalla mistica prudente dell'azienda, dissimulate nel perimetro squadrato di Torino con le strade che sembrano un gioco di specchi, che mentre riflette nasconde.
UMBERTO AGNELLI CESARE ROMITI
Prima c'è la rottura del triumvirato con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, che uscirà dalla Fiat dopo soli tre mesi, con una lunghissima coda di frizioni pubbliche. Dopo trent' anni, proprio Romiti cercherà una riconciliazione personale siglata da un pranzo romano e da un brindisi: «Litigavamo costantemente, e non sapevamo neanche più perché».
Gianni Agnelli con De Benedetti
Più di lunga durata e mai sanata l'inimicizia con Umberto, che era anche la contesa tra due ambienti, due anime Fiat, due filiere di uomini, combattuta a colpi di epurazioni, innesti, vendette e persino dossier, con l'Avvocato arbitro riluttante.
Infine la partita per il dopo, giocata direttamente faccia a faccia con Agnelli a cui Romiti al momento dell'uscita dalla Fiat aveva chiesto la guida di Rcs, che ottenne soltanto al termine di un lungo braccio di ferro.
cesare romiti john elkann
Ma il vero punto di contrasto tra la famiglia e il suo manager è nel 1993, quando Cuccia fa saltare il piano di successione previsto dall'Avvocato, che intende ritirarsi insieme con Romiti per lasciare la presidenza a Umberto. «Noi siamo una coppia - assicurava in quei mesi Romiti - , insieme abbiamo lavorato, insieme ce ne andiamo».
Ma Mediobanca ha altri piani: sfruttando le difficoltà dell'azienda, lancia un mega aumento di capitale che su richiesta delle banche creditrici proroga gli incarichi dell'Avvocato e di Romiti per tre anni. Ufficialmente è un'operazione finanziaria che congela il vertice Fiat: in realtà è una manovra di potere che lo terremota.
LUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLI
Un vero e proprio golpe bianco che spezza la linea di successione tra l'Avvocato e suo fratello, incrinando il diritto naturale di esercizio del potere da parte della famiglia, con un'amputazione dinastica che consegna a Mediobanca il futuro dell'azienda.
E l'uomo di Mediobanca è Romiti che senza cambiare poltrona da manager scelto dalla famiglia diventa amministratore delegato per rappresentanza diretta del nuovo potere, di cui è in realtà il fiduciario. Praticamente gli Agnelli regnavano, ma non governavano più.
marco tronchetti provera cesare romiti
Avevano perso la Fiat, con l'Avvocato che subì il diktat di Milano come un'umiliazione a Torino, convinto di essere lo strumento necessitato di un'ingiustizia che sbarrava la strada all'ascesa di Umberto. Contò a voce alta, a casa, facendo chiudere le porte della sala, gli uomini del vertice su cui poteva davvero contare e non arrivò a finire le dita di una mano.
Allora paragonò Cuccia a Totò Riina. Con Romiti che intanto non perdeva tempo e telefonava ai dirigenti della galassia aziendale: «Avete capito bene cos' è successo? Da oggi nessuno potrà più dire che la Fiat è del signor Giovanni Agnelli».
cesare romiti in piedi ai funerali di gianni agnelli
E tuttavia la coppia non arrivò alla rottura. Romiti si accontentò dei dividendi mondani del nuovo potere che esercitava, recuperando i salotti romani dopo anni di torinesità mimetica, in cui si trovava a suo agio. E l'Avvocato aveva un solo scopo, quello di riconquistare l'azienda alla famiglia, usando l'unica dote che nessuno gli riconosceva: la pazienza.
cesare romiti romano prodi
Aspettò, catturato e attratto come sempre dall'esercizio della forza che Romiti sprigionava e che lui non cercava in se stesso: ma che aveva conosciuto da vicino in Valletta, e che giudicava indispensabile per guidare un gigante come la Fiat.
Questa fascinazione per la forza altrui lo portò a scusare o sottovalutare metodi di gestione disinvolti e sbagliati, che infine costarono a Romiti la condanna per finanziamento illecito ai partiti, trascinando la Fiat nella bufera di Tangentopoli. La ragnatela romitiana si stava sciogliendo.
Quando l'Avvocato lasciò la presidenza ai 75 anni, al momento di andarsene chiese che quel limite fosse fissato per statuto, dopo di lui. E infatti anche Romiti, arrivato il momento, lasciò la presidenza a Paolo Fresco, scelto dalla famiglia.
enrico cuccia cesare romiti
Quel giorno Agnelli, giunto a Roma, presentò il nuovo chairman, poi tornò a parlare dell'uscita di Romiti con due ospiti: «Dite la verità - concluse - non credevate che sarebbe successo». «È vero, Avvocato - fu la risposta -: ma anche lei stamattina prima di partire ha aperto la porta dell'ufficio di Romiti e ha guardato dentro, per sincerarsi che fosse vuoto...
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