Michele Masneri per “il Foglio” - Estratti
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Adesso qualcuno pensa di rinominarlo “Roncadoro”, ma Roncadelle, il comune di neanche diecimila anime attaccato a Brescia, in piena zona industriale della città lombarda, che ha dato alla patria l’oro, anzi i tre ori, con la judoka Alice Bellandi, il canoista Giovanni De Gennaro e Anna Danesi, capitana della nazionale femminile di pallavolo, un tempo veniva chiamato “Roncadallas” come il vecchio sceneggiato di Canale 5: e non perché qui ci fosse il petrolio, bensì perché il paesaggio è effettivamente un po’ texano, tra svincoli, autostrade, tangenziali e tanti centri commerciali.
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Roncadallas città stato, se fosse nazione avrebbe più ori di Cuba e Serbia: ci si arriva dalla Tangenziale superando il celebre inceneritore, la torre cangiante azzurra che risplende tipo faro di Alessandria, brucia i rifiuti a tutta callara riscaldando la città: secondo i fan elimina scorie e secondo i detrattori inonda la pianura padana di polveri sottili.
“Eravamo il paese dei centri commerciali”, ammette il sindaco di Roncadelle Roberto Groppelli, giovane avvocato che guida una lista civica di centrosinistra, nel suo ufficio dove sulla scrivania sono appoggiate le maglie delle tre glorie locali, autografate, e lui passeggia rifugiandosi tra i getti dell’aria condizionata, orgoglioso dei successi (orgoglioso alla bresciana, cioè sommessamente, con molto molto understatement). “Ieri è venuta Famiglia Cristiana, pensavo di aver finito con le interviste”, dice il sindaco che a Ferragosto è nel suo ufficio, e anche questo è molto bresciano.
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Questo karma sportivo forse covava da tempo nelle vene di Roncadallas. Che però fino a pochi anni fa era famosa appunto per altri record, cioè il comune con più centri commerciali d’Italia, forse d’Europa, e anche del mondo.
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Ma intanto i tre campioni olimpici dove saranno? A fare bisboccia dopo i trionfi? Al Twiga? In Costa Smeralda? Giovanni De Gennaro, il canoista, è rimasto a Roncadelle. “Io non mi muovo, per carità, dopo due mesi a Parigi le mie vacanze sono qui, a casa”, dice al Foglio. Ferragosto a Roncadallas. De Gennaro non sembra un cognome molto autoctono però. “Siamo qui da diverse generazioni, ma l’origine credo sia pugliese”, dice il trentaduenne. Di sicuro la stirpe è sportiva.
Anche il fratello Riccardo è canoista, e la cognata, Stefanie Horn, tedesca folgorata sulla via di Brescia, è arrivata quinta alla finale di canoa slalom femminile. De Gennaro ha iniziato tardi con la canoa, prima c’erano il karate e il basket, ma poi ha cominciato ad allenarsi “nei vari laghi qui in zona, tra Iseo e Montirone”. Tra le sue imprese, nel 2018 ha percorso tutto il fiume Mella in canoa, dall’Alta Val Trompia giù giù fino a Brescia. “Era per sensibilizzare sull’importanza di questo fiume, nella Giornata mondiale dell’ambiente”, racconta.
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Ma è più inquinato il Mella o la Senna? “E’ una bella lotta. Anche se la Senna l’ho vista poco, solo per l’inaugurazione, a Parigi. Perché noi gareggiavamo sulla Marna, un affluente. Che era abbastanza pulito”. Com’è stato crescere a Roncadelle? “Anche noi la chiamiamo, ancora, Roncadallas. La mattina si prendeva il pullman alle 7 per andare al liceo in città, lo scientifico Copernico”. Vi discriminavano come roncadellesi in città? “No, facevamo gruppo”. Al centro commerciale andavate? “Ai miei tempi c’era l’Auchan”. E oggi ci va? “Non amo molto quel genere di cose”, dice il campione.
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“Ecco, vede, qui risistemeremo la sede del comune togliendo le ultime barriere architettoniche”, dice il sindaco di Roncadallas accompagnandoci alla macchina nella canicola, passando accanto alla biblioteca pubblica, che è aperta anche in pieno agosto. “Abbiamo il nido, grest estivi e invernali, doposcuola, asili d’infanzia, aree verdi, campo da rugby, una serie di servizi per le famiglie. Siamo il contrario di un paese dormitorio, in tanti si stanno spostando qui. E sono contenti di viverci. O almeno, a me dicono di esserlo”.
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DE GENNARO
Il vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi nella canoa slalom Giovanni De Gennaro ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport.
Giovanni, come sono trascorse le prime due settimane da signore di Olimpia?
«È stato tutto talmente travolgente che non me ne sono ancora reso conto. La festa in paese, l’incontro con gli amici che non vedevo da più di un mese, le chiamate e gli inviti. E poi ho fatto il casalingo, dovevo sistemare alcune cose che avevo lasciato indietro per preparare l’Olimpiade. Ho provato pure ad allenarmi, perché la stagione non è ancora finita».
Si è già riguardato la finale di Parigi?
«No, e il motivo è addirittura banale: sono così perfezionista che troverei difetti anche in una discesa che mi ha regalato l’oro olimpico».
C’è un momento preciso in cui prende forma il trionfo olimpico di Giovanni De Gennaro?
«L’anno scorso dopo i Mondiali: ero in gran forma e presi il Covid un mese prima, puntavo a una medaglia e invece arrivai sesto. Lì mi resi conto che non basta essere maniacali a ridosso della gara, ma bisogna curare ogni dettaglio anche nella quotidianità. A volte ciò che ti sembra insignificante può segnare la differenza tra il grande risultato e la delusione».
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Una sua passione è la chitarra
«Se posso me la porto anche in trasferta, soprattutto in quelle dove ho l’auto. Suono sia quella elettrica sia quella acustica, ho preso lezioni, mi piacciono tutti i generi musicali. Ho pure un mio gruppo con degli amici, anche se ci vediamo pochissimo. L’anno scorso abbiamo fatto una serata, quest’anno non ci siamo ancora riusciti. Non abbiamo neppure un nome, lo cambiamo tutte le volte».
Perché la canoa?
«Per seguire mio fratello Riccardo, che la praticava. Da ragazzino giocavo a basket e facevo karate, andare in barca mi procurava paura, temevo l’acqua. Ma quando ho cominciato a capirla, mi sono innamorato. Il basket è sempre una passione, a Parigi ce l’ho fatta a seguire una partita di Team Usa e sono stato davvero felice, ma in fondo è correre e tirare. Quando sei su una canoa, diventi parte della natura. A me in acqua sembra di volare».
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Ha delle scaramanzie particolari prima di una gara?
«Credo nella forza della mente, nella capacità di creare una perfetta fusione tra il corpo, la barca e l’acqua, ci sto lavorando da anni con un mental coach. Quindi la risposta è no, ma il giorno prima della gara controllo maniacalmente la barca e la pagaia, non devono avere neppure un graffio».
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