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Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera – ed. Milano”
E. S.: «Sono stato io a ucciderlo. L' ho fatto perché temevo che potesse fare di nuovo del male a mia figlia. Non sapevo che fosse a Rozzano, quando l' ho visto ho temuto per mia figlia. E dal momento che avevo una pistola ho deciso di sparargli».
Pm: Lei generalmente gira con pistole addosso?
E. S.: «Avevo intenzione di uccidermi, volevo ammazzarmi nel parco alla presenza del mio amico A., in questo modo lui avrebbe potuto chiamare i soccorsi».
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Il killer di Rozzano confessa così davanti ai magistrati di aver ucciso l' ex suocero A. C., 63enne originario di Secondigliano (Napoli). Il suo verbale è un misto di menzogne e verità, di ricostruzioni inverosimili e lucide ammissioni. Ammette però di averlo «giustiziato» per la vicenda degli abusi sulla figlia, e nipote della vittima, per la quale il 63enne era indagato.
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Il 35enne nel suo racconto davanti al pm Monia Di Marco e ai carabinieri della tenenza di Rozzano guidati dal luogotenente Massimiliano Filiberti, cerca di ridimensionare il ruolo del complice 27enne che era con lui in scooter. E soprattutto di «evitare» l' aggravante della premeditazione che potrebbe valere l' ergastolo e che ieri il gip Elisabetta Meyer ha confermato nelle 9 pagine di ordinanza di convalida del fermo.
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E. S., a parere del giudice, deve restare in cella perché c' è il pericolo che possa uccidere di nuovo. L' arma usata per sparare all' ex suocero, infatti, non è ancora stata trovata. Una delle tante lacune della confessione, visto che E. S. ha genericamente raccontato di aver «buttato la pistola lungo la statale Pavese in direzione di Binasco». Allo stesso modo - assistito dall' avvocato Antonio Lucio Abbondanza - ha detto di aver trovato per caso l' arma «al parco 2 di Rozzano, dietro la piscina»: «Un paio di mesi fa ho visto dalla finestra dei ragazzi su uno scooter che lanciavano uno zaino nel parco.
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A quel punto andavo a vedere cosa c' era e dentro trovavo una pistola di cui mi sono poi appropriato». Una circostanza inverosimile, secondo gli inquirenti, se non altro perché E. S. è un nome abbastanza noto a Rozzano, con diversi precedenti e membro di una famiglia piuttosto nota nel mondo della malavita.
Insieme al killer, sullo scooter Sh bianco di sua proprietà, c' era anche A. M., l' amico 27enne. Anche lui davanti ai magistrati ha confessato di aver partecipato al delitto, ma ha ribadito di non conoscere nulla del piano omicida né di sapere che l' amico avesse una pistola. «Voglio precisare che io non guidavo il motorino.
Siamo arrivati al parcheggio dietro al Gigante. Siamo scesi dallo scooter, io mi sono tolto il casco e ho incontrato un mio conoscente (un parente della vittima, ndr ). E. S., invece, incontrava un' altra persona con la quale si incamminava dietro a un furgone bianco.
A un certo punto sentivo colpi di pistola. Preoccupato, notando che lui aveva lasciato le chiavi attaccate allo scooter, mi mettevo alla guida e andavo verso il furgone per vedere.
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Non sono riuscito neanche ad arrivare, perché lui mi è sbucato davanti e si è messo alla guida. Così siamo andati via».
Il complice dice di non aver visto il cadavere del 63enne a terra ma di aver «rimproverato» più volte l' amico: «Ero molto spaventato. Non sapevo che avesse con sé un' arma. Dopo il fatto l' ho più volte rimproverato chiedendogli "Cosa ca... hai fatto?"». Le strade dei due amici dopo dieci minuti si dividono.
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Racconta ancora il 27enne: «Mi sono incamminato da solo verso il parco dove c' è un distributore d' acqua. Mi sono incappucciato temendo che qualcuno potesse riconoscermi. Ho incontrato un ragazzo e gli ho chiesto il favore di portarmi un kebab. Tra le 2.30 e le 3 di notte sono tornato a casa: mia nonna mi ha detto che erano venuti a cercarmi i carabinieri. Intimorito sono uscito e tornato nel parco dove mi sono addormentato su una panchina».
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Il ragazzo rientra a casa di nuovo intorno alle 11 del mattino e dopo aver pranzato decide di consegnarsi in caserma: «Volevo andare a trovare mia mamma in ospedale, avevo paura che i carabinieri mi arrestassero senza aver commesso nulla. Ho pensato a mia figlia e poi mi sono consegnato». Nel suo verbale racconta però anche cosa è accaduto prima del delitto: i due si incontrano nel primo pomeriggio, E. S. chiede un casco e passa a prendere l' amico in scooter.
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Poi iniziano a girare per Rozzano: «Abbiamo assunto cocaina a casa sua: avevamo due dosi, le abbiamo divise in 4 e le abbiamo sniffate a distanza di due ore una dall' altra. L' ultima alle 17». Meno di un' ora prima del delitto. Su questo punto il gip ha chiarito che i due killer hanno agito con lucidità, quindi senza che la droga avesse effetto sulle loro capacità. Il 35enne conferma l' uso della droga e dice che alle 16 hanno anche giocato una schedina al centro scommesse di viale Lombardia: «Poi abbiamo continuato a fare giri in moto. Abbiamo anche mangiato un panino in un bar di via Gramsci».
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Poi E. S. ricostruisce il film del delitto: «Transitando casualmente nel parco ho visto il mio ex suocero. Mi sono fermato lasciando A. sulla moto. Io l' ho chiamato da parte, ci siamo spostati dietro al furgone. A quel punto ho tirato fuori la pistola ed è partito un colpo. Dopo che ho schiacciato il primo colpo sono usciti altri spari, non so se automaticamente....». Per gli inquirenti però il killer avrebbe «controllato» che la vittima fosse realmente deceduta. Scrive il gip: «E. S. si trattiene nei pressi del corpo per sincerarsi della riuscita del proprio lavoro».
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