Alberto Quarati per "La Stampa"
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Da oggi i porti italiani sono proibiti a tutte le navi con bandiera russa, comprese quelle che l'hanno cambiata dopo il 24 febbraio, giorno dell'invasione in Ucraina. Così la circolare del Comando generale delle Capitanerie di porto, che recepisce la direttiva dell'Unione europea dell'8 aprile, con cui sono state introdotte ulteriori sanzioni nei confronti della Russia: è la stessa che prevede il progressivo blocco del carbone. Lo stop avrà alcune eccezioni: trasporto di aiuti umanitari, cibo ed energia.
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Per Dogana e Guardia di Finanza, la bandiera è sempre stata meno importante rispetto all'arrivo e alla destinazione della nave, e soprattutto della merce caricata e scaricata. Gli armatori hanno facoltà di cambiare bandiera con una certa facilità sfruttando regimi fiscali agevolati. Nel caso in cui le verifiche sul passaggio di bandiera da Russia ad altro Paese dopo il 24 febbraio «non possano essere valutate con certezza", si dovranno rintracciare le informazioni nel Continuous Synopsis Record, un registro detenuto dall'autorità marittima con tutta la vita della nave. Il divieto di approdo comprende anche la rada e riguarda navi passeggeri e da carico oltre 500 tonnellate di stazza lorda "impiegate in attività commerciali e in navigazione internazionale».
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Non si applica alle imbarcazioni da diporto, ad eccezione di quelle che svolgono attività commerciali, come il noleggio: il divieto non dovrebbe valere quindi per gli yacht privati di proprietari russi non soggetti a sanzioni, ma va anche detto che queste barche hanno da sempre bandiere di convenienza non russe, ovviamente per motivi fiscali. Allo stato attuale, comunque, navi russe nei porti italiani non ce ne sono già più.
Complessivamente, ha spiegato Rodolfo Giampieri, presidente di Assoporti, riportando numeri del centro studi Srm collegato a Intesa Sanpaolo, dalle banchine "l'interscambio via mare tra Italia e Russia è 7,3 miliardi, su un totale Italia-resto del mondo di circa 220". Nei porti italiani sono state movimentate 481,5 milioni di tonnellate di merce: quelle relative all'interscambio con la Russia sono in totale 38 milioni.
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L'Italia via mare esporta poco verso questo Paese: «Le voci principali del nostro export viaggiano verso Mosca in camion o treno (macchinari, prodotti alimentari, prodotti chimici) o nelle pance degli aerei (l'abbigliamento)» spiega Giampaolo Botta, direttore generale della Spediporto, l'associazione degli spedizionieri marittimi genovesi. Le voci merceologiche in arrivo dalla Russia sono molto più affini alla stiva di una nave: prodotti metallurgici, carbone, greggio e derivati. Porto di partenza principale è Novorossiysk per i prodotti petroliferi, e lo era anche Odessa per il carbone, che non era solo la banchina dell'Ucraina, ma anche della Russia sul Mar Nero.
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Più trascurabile la merce via container: dall'inizio del conflitto, complice anche l'addio di numerose compagnie ai porti russi, il movimento è stato di circa 20 mila teu al giorno (twenty feet equivalent unit, l'unità di misura del container): in pratica, la capacità di trasporto di una sola portacontainer di ultima generazione, e neanche la più grande. Questo significa che nei porti italiani, di navi interamente cariche di container da e per la Russia non ne sono mai arrivate o partite.
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