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1. SETTE AVARIE IN TRE MINUTI”
Carlo Bonini per “la Repubblica”
Della sorte del volo EgyptAir MS804 ora abbiamo un Perché. Resta il buio sul Cosa, spartiacque decisivo tra una strage con le stimmate del Terrore islamista, per altro singolarmente ancora priva di rivendicazione (ieri l’Is ha invitato i suoi seguaci ad «attaccare l’America », ma senza riferimenti al volo EgyptAir) e una tragedia dell’aria dove l’avaria della macchina e la disperazione dell’uomo hanno contribuito a scrivere l’esito.
Ora sappiamo infatti dalla stringa di messaggi inviati dal cockpit e dai sistemi computerizzati di bordo dell’Airbus 320 diretto da Parigi al Cairo, perché l’aereo si è inabissato. Con quale “catastrofico” evento — fumo in cabina e non esplosione a bordo — hanno lottato prima di precipitare da 11 mila metri Mohamed Shoukair, 36 anni, e Mohamed Mamdouh Assem, 24, comandante e copilota, mentre il controllo del traffico aereo greco tentava inutilmente di stabilire un contatto radio e i 56 passeggeri e i 6 membri dell’equipaggio, consapevoli di quanto stava accadendo, si preparavano a morire.
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Al contrario, appunto, non sappiamo ancora da cosa quel catastrofico evento sia stato innescato. Se da un incendio appiccato dall’imperizia o dalla mano consapevole di un passeggero oppure da un’avaria di uno dei motori o del sistema di alimentazione elettrica dell’aereo. A rispondere a questa seconda, cruciale domanda, saranno le due “scatole nere”, il “flight data recorder” e il “Voice cockpit recorder”.
Date ieri per «individuate» dalla tv americana Cbs nello stesso tratto di mare dove vanno alla deriva e vengono raccolti in queste ore parti del relitto e corpi dei passeggeri, sarebbero al contrario, se si deve stare alle smentite egiziane, in un angolo di abisso ancora ignoto. Quelle due “scatole” scriveranno l’ultimo capitolo di questa storia. Per il momento, si deve tornare alla notte tra mercoledì e giovedì. Ai tre minuti di “vuoto” tra le 2.26 e le 2.29 colmati ora dai dati del sistema “Aircraft Communication Addressing and Reporting System” (Acars) così come rivelati ieri dal sito specializzato americano Aviation Herald e confermati nella loro autenticità dal “Bureau d’Enquetes et d’Analyses” (Bea), l’ente di inchiesta aeronautico francese.
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TRE MINUTI SETTE AVARIE
Alle 2.26, il copilota Mohamed Mamdouh Assem osserva in rapida sequenza le prime due avarie. Sul lato del cockpit in cui siede, il destro, i computer di bordo segnalano prima un problema al sensore antighiaccio del “windshield” (la parte di finestrino frontale e fissa della cabina) e quindi alla “sliding window” (la parte di finestrino scorrevole).
Entrambe segnalano un surriscaldamento o comunque un corto circuito all’alimentazione del sistema che consente ai finestrini di mantenere una temperatura che ne garantisca l’elasticità alle temperature glaciali in quota. Pochi secondi e di quel “failure”, di quel guasto, si comprende la ragione. I sensori di una delle toilette (non è chiaro se quella in testa o in coda all’aereo) registrano “fumo”.
In cabina, si accende il segnale rosso “Land asap”, atterrare “as soon as possible”, il più presto possibile, e, mentre si rendono disponibili le maschere a ossigeno, comincia il sibilo sonoro che i piloti, in gergo, chiamano “Cavalry charge”, la carica di cavalleria, e che pregano di non dover mai ascoltare. Alle 2.27, il prologo di una fine segnata. Si accende il secondo, decisivo, allarme “fumo” nel “comparto avionico” dell’Airbus, dove, evidentemente qualcosa ha cominciato a bruciare.
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È la stiva meccanica subito sotto la cabina di pilotaggio, dove è il cuore dell’aereo, con i suoi 36 computer e i circuiti che ne controllano ogni manovra. Perderlo non consente in alcun modo di tenere in aria un bestione da 30 metri e 73 tonnellate. E che il “comparto avionico stia bruciando” diventa una certezza alle 2.28 e quindi alle 2.29 quando cedono prima uno dei due sistemi computerizzati che assicurano l’interfaccia tra i piloti e il sistema automatico di guida dell’aereo e quindi uno dei tre software per la regolazione degli aerofreni (le parti mobili di ala che consentono in volo di regolare la velocità di discesa).
LA PICCHIATA CIECA NEL BUIO
Sappiamo già quel che accade dopo poco. Una virata di 90 gradi a sinistra e una di 360 a destra mentre l’aereo perde 8 mila metri in due minuti. Sappiamo a questo punto che la cabina di pilotaggio, ragionevolmente, è invasa dal fumo. Che al buio della notte in cui vola l’Airbus ora si somma il buio del cockpit dove nulla si vede. Se i due piloti sono ancora coscienti è possibile ipotizzare che tentino un’ultima, disperata manovra di discesa, sollecitando i loro sidestick (dei joystick che nell’Airbus sostituiscono le cloche) e questo spiegherebbe l’angolo di accostata fuori da ogni parametro. Non serve.
L’ORIGINE DEL FUMO
Il “fumo” e la circostanza che il sistema Acars abbia continuato a trasmettere escludono a questo punto l’ipotesi dell’esplosione a bordo. Le scatole nere potranno invece chiarire l’origine del fumo e scartare anche l’ipotesi (al momento remota) che si tratti di “condensa” dovuta a una decompressione improvvisa. Potranno stabilire se a condannare l’EgyptAir MS804 siano state le scintille di una sigaretta fumata nella toilette, se un atto di sabotaggio con materiale infiammabile o, al contrario, l’incendio di uno dei motori, come accrediterebbero indiscrezioni di fonte egiziana, per vapori di carburante (un solo precedente, il volo Twa 800 del luglio 1996) o ancora un catastrofico cortocircuito del “cuore” dell’aereo (anche qui, un solo precedente, il volo Swissair 111 del settembre 1998).
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2. "INDAGINI SULL'EQUIPAGGIO"
Paolo G. Brera per “la Repubblica”
Tre giorni dallo schianto, e ancora non c’è una lista ufficiale dei passeggeri. «La consegnermo stasera», dice un portavoce della compagnia EgyptAir mostrandola per pochi istanti nel pomeriggio. A sera fatta la versione cambia: «Il ministero dell’Aviazione civile ha bloccato la diffusione». Ancora segreti. Ma la lista che circola su internet è autentica, anche se sono i posti assegnati prima del check-in e può differire da quella ufficiale che la compagnia nega.
Fonti ufficiose negano che la lista dei passeggeri contenga sospetti per terrorismo, ma i segreti ufficiali aprono la strada a speculazioni che si rincorrono in rete e sui social, e si concentrano su due nomi: Abdulmohsen Al Mutairi ha lo stesso cognome di due jihadisti rilasciati a Guantanamo, Nasser e Khalid Al Mutairi; il secondo, Aboulaban Salaheldin, ha lo stesso nome e cognome che compare in una lista di arrestati in Siria come mebri del gruppo terrorista Hizb ut-Tahrir, legato all’Is. Un’omonimia e un cognome neppure raro, ma chiedere una smentita alla compagnia è parlare al vento: il presidente e il vicepresidente non replicano.
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Per i parenti delle vittime, intanto, sono i giorni del dolore pubblico. Il venerdì santo islamico è trascorso con le preghiere nella moschea Al Sadeq, coi familiari dei due piloti e del resto dell’equipaggio. Tutti tranne Yara. Il suo giorno era ieri, il sabato nella Chiesa di Maria Vergine a Nasser City, Cairo Est: i fiori bianchi sotto il suo ritratto, la mamma devastata dal dolore.
Il fratello Rami immobile, mentre papà accoglie la processione dolente dei colleghi e degli amici. Aveva 25 anni, Yara. Bella come i fiori che riempiono la chiesa, era la più giovane e l’unica cristiana tra i membri dell’equipaggio del volo MS804. «Una persona meravigliosa », dicono le amiche velate che portano le condoglianze alla famiglia.
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«Nessun membro di quell’equipaggio può aver fatto precipitare l’aereo», giurano. Eppure sono i loro sette nomi i primi su cui puntano la lente d’ingrandimento gli inquirenti francesi che collaborano con gli egiziani. Lo conferma da Parigi una fonte molto qualificata, specificando che intendono vederci chiaro anche sul post inquietante pubblicato su Facebook da una delle hostess, Samar Ezz Eldin, con un’assistente di volo che esce dall’acqua davanti a un aereo inabissatosi in mare. Un segno premonitore o qualcosa di più?
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Nel pomeriggio, a metà tra le due veglie delle 12 e delle 19, un gruppo di hostess con gli occhi gonfi è nella hall del Novotel, tra i parenti delle vittime. «Non sai quanto le piacesse viaggiare e quanto amasse il suo lavoro, guarda qui», dice una di loro mostrando il Facebook di Samar. Da “amica”, ha accesso a tutti i contenuti: l’ultimo è del 18 maggio, ore 01,19, un giorno esatto prima di inabissarsi. Samar è atterrata nella Ville Lumière, posta una mappa google e ci mette un cuoricino rosso: “Parigi!”.
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«Hanno scritto che non sapeva nuotare, e che ha pubblicato quel post scrivendo che sarebbe morta in mare? Tutte stupidaggini: ho fatto con lei i tre mesi di corso quando siamo state assunte, due anni fa, e ci facevano tuffare in acqua vestite. Quell’immagine è solo una delle tante scaramantiche che tutte pubblichiamo, come questa: cabin crew dosent’t die, they are flying to high». L’equipaggio non muore mai, vola troppo in alto.
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