Giulia Cazzaniga per “la Verità”- Estratti
SABRINA SALERNO
Venti milioni di dischi venduti quando si vendevano per davvero. Un carattere che «non è farina da far ostie», una vita senza fermarsi mai, una scommessa dopo l’altra. Quella di questi giorni è un programma televisivo spagnolo di ballo che andrà in onda da questa sera su Rtve: un talent show nel quale i vip fanno da sponsor ai giovani ballerini.
Sabrina Salerno risponde da Madrid tra una coreografia e l’altra, ma ha la valigia pronta per partire per alcune delle centinaia di date del suo tour in Francia, per il quale ha già venduto «4 milioni di biglietti».
Dicono di lei: il diavolo e l’acqua santa della musica pop italiana anni Ottanta. Si ritrova?
«Direi di no. Mi viene da chiedere perché l’acqua santa (ride, ndr), ma la realtà è che non sto nemmeno dalla parte del diavolo».
Origini genovesi, a 15 anni con un concorso di bellezza un primo trampolino per il successo, che arriva a 17.
«Non facile da gestire. Il successo improvviso dà alla testa a tutti, forse si salva solo chi ha fatto lunghi anni di gavetta ed è ben strutturato. Io strutturata non ero, ed è cambiato tutto da un giorno all’altro».
sabrina salerno
Fu travolta?
«Più che altro, sono state le persone intorno a me, a impazzire. Mi ha salvato il mio essere analitica su tutto: uomini e donne, cose, situazioni. Tengo la testa sempre sul collo, sono fatta così».
Si è sentita sola?
«La solitudine è un aspetto personale che mi ha perseguitata per parecchi anni, salvo poi diventare una sorta di migliore amica. Ora adoro stare da sola».
Per resa o per scelta?
«La seconda di sicuro. Qui in Spagna la sto apprezzando tutt’oggi. È una possibilità di ascoltare chi sei, e dove vuoi andare. Fa crescere. E se non ti manca niente anche in solitudine, vuol dire che hai fatto bingo».
E se è sola cosa fa?
«Sono fanatica di podcast e serie tv. Mi piace leggere, e vorrei farlo di più e me lo sono imposta. Ma in questi giorni esco di casa alle otto di mattina e torno a sera distrutta».
Libri sul comodino?
«Aspetti che guardo, ecco qui. Mi hanno regalato Una vita come tante di Hanya Yanagihara, ma non sono ancora convinta che mi piaccia. E poi il libro di una mia amica, Mary Sarnataro, La manutenzione della stronza: come liberare la brutta persona che c’è in te e vivere felici».
SABRINA SALERNO
Lo è o lo è stata, stronza?
«Non sono competitiva, ma mi sono trovata nell’ambiente televisivo che certo non era fatto di pecorelle».
A Premiatissima debuttò accanto a Johnny Dorelli. Poi venne Grand Hotel. Stare davanti alla telecamere la costrinse a farsi lupo?
«Non è solo la tv, ma il mondo intero, a essere fatto per i lupi. L’unica competizione in cui persevero è quella con me stessa, per migliorarmi e alzare sempre l’asticella, superare i miei limiti».
Ne ha?
«Come tutti. Il mio carattere non è farina da far ostie».
Bel modo di dire.
«Vero? È un detto intelligente. Tipico del Veneto: l’ho imparato nel Trevigiano dove abito da quando mi sono sposata».
Significa che non è una persona buona?
sabrina salerno
«Non sono una santa, ecco, la sintesi è questa. Non sono la persona buona per eccellenza. Posso essere stronza e cattiva, se occorre».
Tra la tv e la musica, l’incontro con Claudio Cecchetto.
«L’incontro per eccellenza sul fronte professionale: mi cambiò la vita. Non posso che essergli grata. Conserviamo un buon rapporto».
Fu lui a consigliarle di cantare in inglese?
«Era una scelta dettata dai tempi: negli anni Ottanta si usava cantare così la dance e io volevo avvicinarmi al mondo dei teenagers. Le lingue mi sono sempre piaciute: le ho studiate al liceo anche se poi non l’ho mai finito. Ma mi aiutò: ricordo le prime interviste per magazine internazionali di altissimo livello a soli 19 anni».
Il suo è un accento particolare, un misto che non sai dire da dove viene.
«Sarà che parlo anche francese, spagnolo e un po’ di russo: resta tutt’oggi strano passare dall’una all’altra più volte al giorno».
Sexy girl fu il primo singolo, un anno dopo arrivò il successo di Boys. Il video in piscina fu censurato in Inghilterra.
«Una delle censure più veloci della storia. Fu strano. Era il 1987».
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Voluto, quel «vedo-non vedo» del costume?
«Se fosse stato voluto, sarei un genio del marketing e della comunicazione. Mi sarebbe piaciuto, averlo pianificato, perché avrei dimostrato di avere un’intelligenza superiore».
Le capitò anche in Spagna, con una spallina che non stava al suo posto.
«Era il 1987 e nel dopo Franco c’era tanta voglia di trasgredire. Ma fu un episodio davvero spiacevole, perché la rivoluzione in tv la fecero sulla mia pelle senza chiedere il permesso. Grazie al cavolo, mi viene da dire».
Come è andata?
«Registrai una canzone e domandai se si fosse visto qualcosa. Chiesi che nel caso venisse tagliato. Mi assicurarono non si era visto nulla. Andarono in onda alcuni frame senza avvisarmi. E a produrre il programma era una donna, eh, mica un uomo. Mi sono sentita utilizzata».
Le è successo qualche altra volta in carriera, di sentirsi così? O magari di pentirsi di qualcosa?
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«Non mi sono mai pentita di niente nella vita perché anche dagli errori, anzi soprattutto dagli errori si può sempre capire e comprendere qualcosa in più su di sé. E nessuno ha mai osato infastidirmi. Bastava uno sguardo per farli scappare. A chi malauguratamente ha tentato di trattarmi in maniera da me non gradita è andata poi male».
Fu tanto il clamore di Siamo donne che Jo Squillo racconta che dopo il Sanremo del 1991 dovevate girare con 10 guardie del corpo.
«Non ricordo quante fossero, sinceramente. Certo non potevamo andare da nessuna parte, noi due insieme. Fece scalpore, quella canzone. E pensare che quando me la proposero mi sembrava una cosa così scontata, che oltre alle gambe c’è di più».
In che senso?
«Nel senso che non mi sono mai sentita inferiore agli uomini, ho vissuto così. E per questo la parola femminista non mi è mai piaciuta».
Trentatré anni dopo, resta attuale.
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«Strada facendo ho capito che c’è ancora da combattere, per abbattere i soffitti di cristallo. I fatti di cronaca mi scuotono dal profondo. Mi chiedo come sia possibile che si manchi di rispetto a una donna. So però anche che non tutti gli uomini sono così».
Mai visto in faccia il maschilismo?
«Ribadisco: chi ci ha provato, non ci è riuscito. Non mi sono mai sentita vittima, certo non di un uomo. Mi sono sempre ribellata, anche in maniera violenta. Scriva solo verbalmente, che è meglio o finisco nei guai».
A un concerto le femministe la contestarono.
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«Anni Ottanta, ero a Bilbao. Ci fu un macello con la polizia. Ce l’avevano con l’utilizzo del corpo che facevo io, a loro dire antifemminista».
Altri tempi, se quest’anno per la Spagna andranno all’Eurovision Song Contest i Nebulossa con Zorra, che è la femmina della volpe, o la puttana.
«Oggi la donna è libera di utilizzare il corpo per farci quel che vuole. Allora era il contrario esattamente il contrario. Dopotutto mi piace di più adesso».
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