Estratto dell’articolo di Leonardo Martinelli per “la Repubblica”
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Quante volte negli ultimi mesi Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno lanciato appelli affinché il Fmi sbloccasse il prestito di 1,9 miliardi di dollari alla Tunisia, necessario per evitare il default. Ma siamo proprio sicuri che lo sbarramento arrivi da Washington? Le cose, in realtà, non stanno esattamente così.
Da mesi a bloccare il prestito […] è Kais Saied, il presidente tunisino: rifiuta il programma di riforme che il suo Paese deve impegnarsi a realizzare per ottenere il prestito […]. Malgrado l’agitarsi dei dirigenti italiani, niente si è mosso dalla primavera scorsa.
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Saied non cede. E punta sul fatto che le riserve in moneta straniera, frutto della stagione turistica (quest’estate migliore del previsto) e degli apporti della diaspora tunisina all’estero, senza considerare la recente riduzione delle tariffe energetiche internazionali, permettono alla Tunisia di resistere al default più a lungo di quanto si immaginasse: non sarebbe più una questione di mesi ma piuttosto un’opzione plausibile nel 2024.
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Insomma, il Paese può “vivacchiare” ancora un po’ e tirare la corda, senza preoccuparsi di cominciare a risolvere i suoi problemi strutturali con misure a forte rischio sociale. Ma rischia di vedere aggravare in questi mesi le penurie di prodotti di base che già mancano nei negozi, come zucchero, farina e olio vegetale. Nelle ultime ore si vedono perfino lunghe file davanti ad alcuni panifici: la carenza del pane, all’origine di tante rivolte, è storicamente pericolosa in Tunisia. Saied tira la corda, ma è un azzardo.
Per un prestito del Fondo monetario internazionale, in media il negoziato avviene in tre mesi. L’organizzazione sta discutendo con la Tunisia da due anni e tre mesi. […] il Governo della premier Najla Bouden era comunque riuscito a mettere insieme un piano di riforme, sul quale Tunisi e il Fondo avevano raggiunto un accordo preliminare nell’ottobre 2022.
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Il via libera definitivo era previsto entro la fine dell’anno scorso. Ma non è mai arrivato, a causa dell’intrusione nel dossier di Saied […] In Tunisia esiste una Cassa di compensazione che finanzia i prezzi di pr odotti come la benzina e altri generi di prima necessità. Queste sovvenzioni rappresentano il 20% del bilancio dello Stato e hanno costituito l’intero deficit pubblico (l’8% del Prodotto interno lordo) nel 2022.
Da sole quelle dei carburanti rappresentano il 5%, come dire più delle spese pubbliche per sanità e istruzione. Ma in realtà a beneficiarne è soprattutto il 10% più ricco della popolazione, che può rifornire le sue vetture di alta cilindrata con una benzina a prezzi stracciati.
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Il programma di riforme presentato al Fmi prevede di ridurre progressivamente le sovvenzioni, compensando il taglio con aiuti diretti alle famiglie più bisognose. Saied, però, dice di no. E fa anche ostruzione a un’altra riforma importante, la ristrutturazione delle 104 aziende pubbliche, carrozzoni più o meno in stato di fallimento. Una legge sulla governance di queste imprese è stata approvata dal governo, ma il Presidente non ci ha messo la sua firma e l’ha fatta arenare. […]
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Intanto il tempo passa. «Le riserve di cambio – continua Saidane – potevano garantire, nell’ottobre del 2022, altri 126 giorni di importazioni. Oggi siamo a circa 100 giorni. La soglia in cui scatta l’allarme è quella dei novanta giorni ».
Il deterioramento di questo parametro è reale, ma più lento del previsto Secondo l’economista «quest’anno Saied farà di tutto per pagare gli interessi del debito estero e dovrebbe riuscirci: il default, in realtà, sarà un rischio reale solo nel 2024. Intanto, però, le società pubbliche che importano prodotti di base dall’estero, potrebbero avere più problemi per pagare le forniture. E le penurie dovrebbero aumentare». Quella intavolata tra Saied e il Fondo monetario internazionale sta diventando una pericolosa partita a poker.
GIORGIA MELONI E URSULA VON DER LEYEN