SALA MORALES
Giannino della Frattina per “il Giornale”
«Hasta la victoria Beppe», lo prende in giro la rete. Il bocconiano col pugno chiuso a salutare il presidente della Bolivia Evo Morales arrivato all'Expo e che ieri ha raccolto anche l'endorsement di Marco Tronchetti Provera.
Non propriamente un proletario. Roba da mandare sul lettino dello psicanalista una sinistra ormai in crisi esistenziale. Perché va bene il renzismo, passi la sterzata a destra del (si dice) nascituro Partito della nazione che proprio a Milano potrebbe fare le sue prove generali, ma anche alla confusione dei ruoli c'è un limite.
E quelli che l'altra volta avevano votato Giuliano Pisapia, sperando nel ri-sorgere del sol dell'avvenire nella città simbolo del berlusconismo, oggi non ci capiscono più nulla. Mentre sono in parecchi a cominciare a pensare che anche alla disciplina di partito ci dovrà pur essere un limite.
SALA TRONCHETTI
Perché il commissario Expo e candidato sindaco di Milano Giuseppe Sala, per tutti Beppe, ci sta mettendo un bell'impegno in questo testacoda dei paradigmi nel quale in fondo il suo passaggio dalla vocazione di manager a quella da politico potrebbe in fondo non essere nemmeno il più traumatico. Perché è il suo stesso curriculum a essere difficilmente decifrabile.
«È il mio partito di riferimento», ha raccontato ieri parlando del Pd mentre lanciava la sua nuova avventura su Repubblica. Non dovevano certo saperlo Letizia Moratti e Silvio Berlusconi quando la giunta di centrodestra lo fece entrare come direttore generale del Comune di Milano dopo le sue esperienze ai vertici di Pirelli e Telecom.
E non dovevano averlo ancora capito nemmeno quando insieme a Maurizio Lupi e Gianni Letta (Gianni, non Enrico) fecero di tutto perché fosse proprio lui a prendere in mano le redini dell'Expo. Un Lupi che proprio oggi deve sentirsi sbattere la porta in faccia con un tranchant «niente Ncd». E si sa da quelle parti quanto gli ex democristiani siano sensibili alle porte che si chiudono.
SALA MORATTI
Diavolo d'un Sala. «Sono di sinistra», grida oggi nel titolo. Non solo. Si vanta anche di aver votato Pisapia e non la Moratti, non certo un esempio di gratitudine per chi gli aveva telefonato dopo la sua uscita da Telecom mentre era in barca a vela in mezzo all'Oceano per affidargli un ruolo di grande prestigio. Ma non basta. «Non sono Pisapia», ha anche assicurato qualche giorno fa per marcare immediatamente la discontinuità con un sindaco la cui popolarità è piuttosto in calo.
E ancora. «Non sono l'uomo di Renzi. Milano si fidi», prende le distanze in prima pagina da chi lo ha difeso e sponsorizzato per settimane di fronte alla furia di un Pd che aveva già in corsa due suoi uomini di peso come Emanuele Fiano e Pierfrancesco Majorino.E «non sono l'uomo di Renzi, Milano si fidi» cosa significa? Che degli uomini di Renzi non ci si deve fidare? Sarà contento il putto fiorentino. Per non dire dello sgarbo fatto da Sala al Corriere della Sera che dopo averlo appoggiato per mesi, ha dovuto leggere sul giornale rivale la sua candidatura a mezzo stampa.
BALZANI SALA
Ecco. Va bene la politica, il marketing e la caccia al voto trasversale, la fuga dalla politica, la gratitudine che non è di questo mondo e i manager alla ribalta, ma poi se ci si candida per il centrosinistra, i voti li si dovrà pur andare a prendere a sinistra. Perché va bene il tramonto delle ideologie e la società liquida, ma la vita (e anche la politica) sono fatte di scelte e tra i buoni borghesi ambrosiani di via Monti e i no global dei centri sociali, dovrà pur rimanere una qualche differenza. E non è detto che a far lo Zelig, il camaleonte sotto la Madonnina (seppur bocconiano e benedetto da Mario Monti) ci si guadagni.
BALZANI SALA PISAPIA RENZI SALA