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    IL BILANCIO DEL SALONE - ALLA FIERA DEL MOBILE 343MILA PRESENZE, IN PELLEGRINAGGIO DAVANTI AL MIRACOLO DI UN’ITALIA CHE FUNZIONA - UN’INFINITÀ DI EVENTI, STAND, PRESENTAZIONI, SEMINARI, ESPOSIZIONI, TRA RHO E LA CITTÀ PRESA D’ASSALTO - FRUTTA L’INVESTIMENTO AI DESIGNER? NON È CHIARO, DI SICURO È UN GRAN DIVERTIMENTO


     
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    1. IL MONDO PROMUOVE IL SALONE - OLTRE 340 MILA PRESENZE «DALL' ESTERO SOLTANTO ELOGI ORA SERVONO PIÙ GARANZIE PER IL MERCATO INTERNO»

    Paolo Madeddu per il Corriere della Sera

     

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    Alla fine, ecco i numeri: il Salone 2017 ha registrato 343.602 presenze (da 165 Paesi). Un incremento del 10% rispetto all' edizione del 2015, con le medesime biennali dedicate a luce e ufficio: i 372 mila del 2016 si riferiscono a un anno che ospitava invece bagno e cucina. Così il direttivo, già soddisfatto per la qualità dei soggetti intervenuti, può compiacersi anche delle cifre, a partire dal presidente del Salone Claudio Luti, al ritorno dopo due anni.

     

    Per lui il bilancio è «emozionante. Per la soddisfazione degli espositori e dei visitatori, per gli eventi di cui è stata costellata Milano. Davvero non ho trovato una parola negativa da parte degli stranieri». Neanche per lo sciopero dei mezzi di mercoledì? «Quello rappresenta un problema di mentalità, bisogna migliorare la disponibilità a fare sistema. Che comunque già sta crescendo, grazie alla collaborazione di tutti, comprese le istituzioni».

     

    Le quali sono venute quasi in pellegrinaggio ad ammirare il miracolo di un' Italia che funziona all' estero. «A riprova che stiamo lavorando bene - continua Luti -. Spingendoci a studiare come fare ancora meglio. Il Governo ha iniziato a fornirci strumenti come il nuovo Design Day che ci porta in 120 ambasciate per un giorno, è sicuramente un' ottima cosa. Ma le idee a pioggia vanno coordinate e trasformate in un' azione continuativa e strutturata».

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    Se si parla di politica, Emanuele Orsini, presidente di FederlegnoArredo interviene con decisione. «Come si è visto, in questi giorni sono venuti tutti, dal presidente della Repubblica al premier, e quasi tutti gli esponenti delle correnti politiche. Parliamo con tutti, e ci piace pensare che ci ascoltino. Noi non chiediamo vantaggi, ma solo di non avere svantaggi. Se insistiamo sul prolungamento del bonus mobili che scade a fine anno è perché si tratta di una manovra che non costa al Paese: le esportazioni sono importanti ma un settore che non è forte nel suo Paese non si impone all' estero.

     

    Questo provvedimento con una durata più lunga consentirebbe di investire e creare indotto, proteggendo un pezzo di Italia più piccolo che va salvaguardato. Quest' anno lo hanno usato 190 mila persone, 20 mila più dell' anno scorso. Il che contribuirà a far assumere, da qui al 2020, 31 mila nuove persone nelle aziende, il 10% di chi lavora nel comparto. E visto che nel mondo tutti vogliono sapere come si fa a venire a lavorare qui da noi, permettere di investire aumenterebbe le chance di formare i nostri giovani invece di doverli chiamare dall' estero».

     

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    Perché di fatto, aggiunge Claudio Feltrin, presidente Assarredo, «con la globalizzazione bisogna essere pronti a giocare d' anticipo. Porta grandi opportunità ma anche grandi dipendenze da fattori lontani: certi mercati che possono chiudersi all' improvviso, così come l' insicurezza del consumatore che è più prudente nel fare la spesa. È un' economia che risente della politica internazionale oltre che di quella interna, anche se sui dazi ventilati da Trump, ci sono accordi firmati in passato che dicono che per quanti dazi gli Stati Uniti vogliano mettere, comunque non possono superare i 110 milioni di euro. Se li applicassero al nostro settore, ci penalizzerebbero per il 10%».

     

    Si unisce alla soddisfazione diffusa anche Stefano Bordone, presidente Assoluce. «L' ho verificato a Euroluce, gli operatori non passavano dicendo: "Ci penso" ma si sedevano e scrivevano l' ordine. Il nostro settore contiene la caduta del mercato interno grazie al 75% di esportazioni. Perché noi per accontentare il cliente sappiamo accettare sfide che in altri Paesi non accetterebbero».

     

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    Quanto al comparto dell' altra esposizione biennale, Workplace 3.0, il presidente di Assufficio Marco Predari dice: «Abbiamo un +2,6% rispetto al 2015, con l' export al 50%. Abbiamo rivisto delegazioni che non venivano da un po', e una forte presenza di mercati importanti come Usa, Regno unito, Oriente. Penso anche che sia stata una buona idea la mostra A joyful sense at work ; ha creato maggiore interesse sugli arredi da ufficio. Come da parte dell' Inail, per ragionare insieme sul benessere al lavoro». Nel frattempo, già si ragiona sulla prossima edizione, dal 17 al 22 aprile 2018.

     

     

    2. MILANO, SALONE E FUORISALONE 2017: IL DESIGN COME FENOMENO SOCIALE

    Alberto Bassi per www.ilfattoquotidiano.it

     

    Alla chiusura della Design Week di Milano – con Salone e Fuori Salone che hanno invaso ormai l’intera città e catalizzato l’attenzione di pubblico e media – può essere il momento, oltre la necessaria cronaca quotidiana spicciola, di provare a capire alcune dinamiche e orientamenti più generali.

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    Innanzitutto le chiavi di lettura del fenomeno sono divenute differenti: la Design Week ha assunto una rilevanza sociale ed economica che va oltre il contenuto specifico culturale e progettuale.

     

    Mostre, iniziative ed eventi (quest’anno anche molti talks, conversazioni spesso a base di nomi famosi, non necessariamente periti oltre l’autopromozione del proprio) sono diffuse in ogni dove – compresa, rispetto allo spontaneismo originario, una sorta di istituzionalizzazione attraverso la divisione delle zone urbane in district benedetti dal Comune – con un utile ricaduta di informazioni e conoscenze, ma anche di economie indirette per locatari, locali e esercizi vari.

     

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    D’altra parte, da tutto il mondo si arriva a Milano per (intra)vedere il design e “consumare” la città: un fenomeno nel complesso positivo (dissensi, disagi e disservizi compresi, a cominciare dallo sciopero dei mezzi pubblici a metà settimana che tanta buona fama (?!) ha fornito al sindacato e alle giuste lotte per il lavoro).

     

    Diversa la questione della rilevanza specifica per il design: la proposizione di problematiche inerenti il fare progettuale e imprenditoriale, la conoscenza di nuovi talenti, la comunicazione (se non il business, Salone a parte) delle aziende. Notiamo che si vede un po’ di tutto e non sempre di qualità accettabile, ma forse anche e proprio questo aiuta a capire le differenze, superando la vulgata diffusa che “tutto è design” (quindi niente).

     

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    È in parte saltato, fra l’altro, il meccanismo che aveva portato alcune zone a diventare luoghi di riferimento orientati a gruppi di interesse che oggi paiono tutte un po’ in crisi: dalla kermesse spettacolar-commerciale della Statale a quella giovanile e sperimentale di Ventura Lambrate fino alla un po’ confusa e omnicomprensiva zona dei Navigli. Quindi dappertutto, tanto e troppo di qualsiasi cosa, dall’arredo all’automobile, dal dilagante food (ma basta chiamarlo food design, please!) alla qualunque, più per esserci e sentirsi nominati (che è diverso che comunicati) che per avere qualcosa da dire.

     

    Un giorno bisognerà però arrivare a valutare con razionalità in che misura l’investimento frutta alle aziende e designer, non alimentando solo la comunicazione spicciola dentro un circuito che tende ad essere talvolta chiuso e autoreferenziale. Un’altra tappa obbligatoria è da sempre la Triennale, quest’anno con controllate presenze degli ospiti (dai “soliti” buoni giapponesi alla tradizione e attualità artigianale sarda o coreana) e una esposizione istituzionale sul design for children, piacevole e divertente (come è diventato il design?) con, per la storica istituzione milanese, qualche limite di impostazione storico-critica e curatoriale.

     

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    Perché per fare una buona mostra non è sempre sufficiente disporre uno fianco all’altro una certa quantità di interessanti oggetti (con ridotte distinzioni per contenuto e didascalie poco “usabili”); ad esempio è possibile scegliere di introdurre – senza per questo divenire subito noiosi – organizzazione e chiavi di lettura che aiutino a capire, a distinguere, approfondire, farsi delle idee e così via. Stimolanti fra le non numerose mostre della settimana, quella proposta da Cassina per i suoi 90 anni, sulle nuove forme e idee per l’abitare, allestita alla scenografica Fondazione Feltrinelli oppure quella sui 20 anni del Salone satellite, che è stato a lungo fucina dei nuovi talenti internazionali.

     

    Dentro l’offerta infinita – più che le predominanti legittime strade della proposizione commerciale di prodotto o dell’evento festaiolo per mostrarsi – sembrano interessanti allora, come al solito, le università di design, importante termometro di sensibilità e competenze per i tempi che ci aspettano (fra le altre, Central Saint Martin di Londra, Elisava di Barcellona, i piccoli ma valenti corsi magistrali di Università di San Marino-Iuav).

     

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    Oppure di questi tempi paiono stimolanti le molteplici difformi ricerche e sperimentazioni sul rapporto fra progetto e produzione artigianale, su custom design e production. Difficile poter sostenere che questo sia il futuro, ma i molti esempi fra loro diversi da vedere in pochi giorni aiutano a uscire dalla confusione attorno a nuovo e vecchio artigianato, analogico e/o digitale, e ad alimentare invece il confronto sulle possibilità del design di fare “su misura”, come lettura e interpretazione delle sempre rinnovate e reali esigenze e necessità delle persone. Human design innovation, anche di questo si occupa il progetto.

     

     

     

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