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Michele Bocci per “la Repubblica”
Ci sono anche in Italia alcuni casi sospetti di epatite acuta pediatrica. Si tratta di almeno quattro bambini, di meno di 10 anni, ricoverati nei centri che seguono le malattie del fegato. Da quando è partito dalla Gran Bretagna l'allarme internazionale su una forma particolarmente aggressiva di questa patologia che si sospetta virale, e in un caso su dieci porterebbe addirittura al trapianto, gli ospedali dove si seguono le epatiti hanno messo in rete i loro dati. E anche il ministero alla Salute ha chiesto di essere informato su eventuali casi e ha consultato le banche dati internazionali sulla diffusione delle malattie infettive.
«La settimana scorsa c'è stato un primo alert riguardo a una decina di casi - spiega Giuseppe Indolfi, epatologo del Meyer di Firenze che è consulente dell'Oms proprio per le epatiti virali e al momento è anche responsabile dell'area fegato della Società europea di gastroenterologia - L'attenzione dei clinici è stata attratta dal fatto che in un caso c'è voluto il trapianto, cosa che dimostra la violenza della patologia. Poi i numeri sono aumentati, con 70 casi in Inghilterra ed altri in Spagna, Danimarca, Paesi Bassi». In tutto sono stati necessari sei trapianti. Dagli Usa intanto hanno segnalato nove casi.
Si può parlare solo di sospetto, anche riguardo ai pazienti italiani, per le caratteristiche particolari di questa forma di epatite.
Viene infatti inserita nel gruppo delle cosiddette "non A-non E", cioè non ricomprese nelle forme più diffuse e meglio conosciute (appunto A, B, C, D ed E). Il problema è che non si è in grado di dire quale sia l'agente patogeno che le provoca, manca quindi un marcatore che permetta di riconoscerla con certezza. Si va quindi per esclusione.
«A livello europeo abbiamo deciso di partire da subito con un'indagine su larga scala insieme agli infettivologi - dice ancora Indolfi - Avremo i risultati in una settimana. Dobbiamo confrontare il numero di casi degli ultimi quattro mesi con quelli degli anni precedenti, per capire, visto che non conosciamo le cause di questa malattia ma sappiamo solo che è diversa da quelle conosciute, se l'incidenza è maggiore. Questo già sarebbe un punto di partenza interessante ». Se così fosse e se davvero i casi gravi fossero così tanti «sarebbe un bel problema».
Da sempre ci sono delle malattie del fegato provocate da virus che non vengono spiegate con le cause già note. Quello che va compreso adesso, oltre all'eventuale aumento dell'incidenza, è anche se esiste un collegamento tra i vari casi. «Se guardiamo ai primi pazienti - dice sempre Indolfi - sappiamo che alcuni avevano il Covid. Ma in questo momento la circolazione del coronavirus è altissima, quindi è facile trovare pazienti con patologie diverse che lo hanno. La metà dei casi, inoltre, avevano l'adenovirus, che è molto diffuso e che difficilmente provoca forme di malattia violente come questo tipo di epatite. Così sembra difficile che sia quella la causa».
Per quanto riguarda i casi sospetti in Italia, uno è un bambino infettato dal coronavirus e un altro colpito dall'adenovirus. Il numero dei sospetti potrebbe comunque aumentare nelle prossime ore, via via che arriveranno nuove comunicazioni dai reparti. In due casi lo stato di salute dei pazienti sarebbe abbastanza grave, tanto da rendere necessario il trapianto.
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