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Franco Berrino per www.corriere.it
Ma il caffè fa male al cuore? A giudicare dalla tachicardia di cui soffriamo quando beviamo troppi caffè si direbbe di sì, ma in realtà no, anzi ni. La tachicardia da caffè è dovuta al fatto che la caffeina aumenta la produzione degli ormoni surrenalici, quelli dello stress.
Lo stress serve a difendere l’uomo dai pericoli del mondo esterno: quando c’è un pericolo, il cuore batte più in fretta per far arrivare nutrimento ai muscoli nel caso in cui ci sia da scappare o da lottare e il cervello è stimolato a essere sveglio e attento. Con il caffè questi effetti si manifestano anche se non c’è alcun pericolo.
Una grande ricerca epidemiologica appena pubblicata assicura, però, che bere caffè non causa aritmie cardiache pericolose, cosa che invece era fortemente sospettata. Si sospettava in particolare che aumentasse il rischio di fibrillazione atriale. Ogni tazza di caffè in più al giorno, invece, pare ridurre il rischio di aritmie, compresa la fibrillazione atriale, del 3 per cento (con intervallo di confidenza al 95 per cento fra 2 e 4 per cento; E. Kim et al. 2021 JAMA Int Med. 18: 1185).
Una meta-analisi recente, inoltre, mostra che chi beve caffè si ammala meno di ictus cerebrale, in particolare di ictus trombotico, una complicazione frequente della fibrillazione atriale (L. Chan et al. 2021 BMC Neurol. 21:380).
Una meta-analisi di dieci studi prospettici riscontra inoltre una riduzione del rischio di ipertensione, un’altra causa importante di ictus cerebrale: 2 per cento in meno per ogni tazza in più (C. Xie et al. 2018 J Hum Hypertens. 32:83).
Il progetto EPIC, che segue 500.000 persone in dieci Paesi europei, aveva già mostrato chiaramente che chi beve caffè muore meno: si riducono soprattutto le morti per malattie dell’apparato digerente e per le malattie cardiovascolari (3 per cento in meno per ogni tazza di caffè in più, ma non sembra che consumarne più di tre tazze protegga ulteriormente (MJ Gunter et al. 2012 Ann Intern Med. 167:236).
Una meta-analisi di quaranta studi con complessivamente oltre 400.000 decessi suggerisce che la quantità ideale sia di 3 tazze al giorno, che ridurrebbero la mortalità totale del 15 per cento (Y. Kim et al. 2019 Eur J Epidemiol. 34:731). Nonostante il caffè faccia alzare acutamente la glicemia, apparentemente non danneggia i diabetici: una meta-analisi di dieci studi prospettici su complessivamente oltre 80.000 diabetici ha mostrato che chi ne beve di più, circa quattro tazze al giorno, rispetto a chi non ne beve, riduce la mortalità del 21 per cento, e la mortalità cardiovascolare del 40 per cento (Shahinfar H, et al.2021 Nutr Metab Cardiovasc Dis. 31:25).
Anche chi ha avuto un infarto può bere caffè: complessivamente, anzi, gli studi suggeriscono che migliori la prognosi (E M Ribeiro et al. 2020 Nutr Metab Cardiovasc Dis 30:2146).
In Italia però le cose vanno diversamente: la componente italiana del progetto EPIC mostra che all’aumentare del consumo di caffè aumenta il rischio di infarto o comunque di danni alle coronarie che richiedono interventi di rivascolarizzazione (stent, bypass): il rischio aumenta del 18 per cento per una o due tazzine al giorno, del 37 per cento per 2-4 tazzine, del 52 per cento per cinque tazzine o più (S. Grioni 2015 Am J Clin Nutr. 102:14).
Perché queste differenze? Si ipotizza che sia per il diverso modo di fare il caffè: filtrato su carta da filtro in Nord Europa, espresso o moka in Italia, bevande molto diluite in Europa e molto concentrate in Italia. In generale il caffè fa aumentare il colesterolo e i trigliceridi, ma chi beve caffè filtrato ha più bassi livelli di colesterolo LDL nel sangue rispetto a chi beve espresso, anche se non tutti gli studi sono coerenti.
La carta da filtro trattiene una sostanza del caffè — il cafestol — che ha effetti tossici, in particolare alterando i grassi nel sangue. Meglio quindi filtrare, ma come fare a conciliare il filtro con la tradizione italiana? Poiché i giovani d’oggi non sanno più cos’è la «napoletana» e i vecchi se ne sono dimenticati, consiglio a tutti di rivedere il monologo di Eduardo De Filippo sulla preparazione del caffè, quando metteva un «coppitello di carta sul becco» per non disperdere il fumo denso del primo caffè che percolava: «La nuova generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo punto di vista sono la poesia della vita, perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito». Ebbene, oltre al coppitello si tratta di ritagliare un tondino di carta da filtro e applicarlo sulla parte interna della capsula bucherellata della napoletana, in modo che il caffè percoli attraverso il filtro.
Non c’è prova scientifica che riduca l’infarto, ma certamente aumenta la poesia della vita, perché il caffè, come insegna Eduardo, è da gustare lentamente, non da ingollare rapidamente. Godiamocelo, questo caffè, non prendiamolo solo per essere più produttivi.
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