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    SALVARE LA VALIGIA E CONDANNARE A MORTE QUALCUNO - ALCUNI PASSEGGERI HANNO OSTACOLATO LA FUGA DALL'AEREO IN FIAMME ALL'AEROPORTO DI MOSCA, DOVE SONO MORTE 41 PERSONE PERCHÉ QUALCUNO VOLEVA RECUPERARE ZAINI E TROLLEY. LE NORME SONO CHIARE: IN CASO DI EMERGENZA BISOGNA MOLLARE TUTTO, INVECE DIMITRY AL POSTO 10 HA PENSATO BENE DI… (VIDEO)

     

     


     
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    VIDEO: DMITRY KHLEBUSHKIN SI ALLONTANA DALL'AEREO IN FIAMME COI SUOI BAGAGLI

     

     

    Leonard Berberi per il “Corriere della sera

     

    Per il mondo social sono colpevoli. E vanno condannati con la galera o la morte.

    incidente aereo mosca incidente aereo mosca

    Per il mondo reale una punizione non c' è. Se non il rimorso di avere, senza volerlo, ucciso qualcuno. E tutto questo pur di salvare la valigia. Da ore gli esperti di sicurezza aerea s' interrogano sull' incidente di domenica di un velivolo della compagnia russa Aeroflot nel quale 41 persone sono morte nell' incendio dopo l' atterraggio d' emergenza nell' aeroporto di Mosca-Sheremetyevo.

     

    dimitry khlebushkin. dimitry khlebushkin.

    L' inchiesta deve ancora accertare le cause. I filmati mostrano quello che succede dopo. L' aereo brucia e alcuni passeggeri si allontanano con il bagaglio a mano attraverso i due scivoli davanti (sui quattro totali). Tra questi c' è Dimitry Khlebushkin, seduto al posto 10 C. Secondo i giornali russi l' uomo, alto e robusto, avrebbe ostruito il passaggio recuperando lo zaino. Tra quelli che si trovavano dietro sarebbero sopravvissuti in tre.

    dimitry khlebushkin dimitry khlebushkin

     

    Il trolley (proprio) o le vite (degli altri)? Le norme sono chiare: in caso d' incendio, atterraggio d' emergenza o ammaraggio via tutti, senza portarsi alcun peso, entro 90 secondi dall' allarme. «Invece continuiamo a vedere persone che se ne vanno con gli effetti personali», dice al telefono Christine Negroni, esperta di incidenti aerei e autrice del libro «The Crash Detectives».

     

    dimitry khlebushkin dimitry khlebushkin

    Secondo lei, e altri analisti, la data chiave è il 6 luglio 2013: il volo Asiana Airlines 214 atterra rovinosamente sulla pista di San Francisco. Il jet prende fuoco, muoiono tre viaggiatori, diversi altri scappano con il bagaglio.

     

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    «A quanto pare gli individui preferiscono rischiare l' esistenza propria o degli altri pur di salvare il trolley», sintetizza al Corriere della Sera Grant Brophy, investigatore dei disastri aerei da una trentina d' anni. «I passeggeri o non seguono le istruzioni o decidono di ignorarle: e questo è ancora più rischioso in presenza di fuoco e fumo».

     

    Uno studio del 2000 su 46 procedure d' evacuazione curato dal National transportation safety board (l' ente che indaga sugli incidenti nei trasporti Usa) calcola che quasi il 50% dei passeggeri ha lasciato l' aereo portandosi un bagaglio. Per due assistenti di volo su tre i borsoni sono stati «un intralcio davvero serio».

     

    L' ultimo avviso dell' ente australiano della sicurezza aerea sottolinea che il pericolo è pure aumentato: «Alcune iniziative aziendali, le pressioni commerciali e la percezione dei passeggeri stanno spingendo le persone a imbarcarsi con più bagaglio a mano», c' è scritto. «A questo bisogna aggiungere che i costruttori dei velivoli stanno installando cappelliere più capienti». Risultato: a bordo ci sono più effetti personali d' un tempo.

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    L' Europa non è esclusa da questo fenomeno. «Bisognerebbe per questo limitare il numero, le dimensioni e il tipo degli oggetti da portarsi a bordo», propone Ed Galea, docente dell' Università inglese di Greenwich.

    Viaggiatori spregiudicati?

     

    Nell' incidente Asiana più di un sopravvissuto ha raccontato di essersene andato con la valigia dopo aver visto altri fare la stessa cosa. «È stato un riflesso condizionato», spiega Negroni. Che denuncia la «normalizzazione della devianza»: sempre meno persone che seguono gli annunci di sicurezza. «Più di vent' anni fa ho suggerito ad Airbus di pensare alla chiusura centralizzata delle cappelliere», ricorda via mail il professor Galea.

     

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    «Ma il rischio è che le persone perdano ancora più tempo, nell' emergenza, a tentare di aprirle». C' è poi una realtà nuova che Negroni chiama l'«effetto dispositivo»: in un mondo social «il protagonista di un incidente vuole testimoniare con lo smartphone quello che succede». Alla ricerca dello scatto e dell' inquadratura perfetti. E a volte mortali.

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