Donato Martucci per www.corriere.it
Salvatore bagni
Il sorriso sempre stampato sul volto, quasi a esorcizzare il dolore che ha subìto a causa della morte di suo figlio Raffaele, che nel 1992 aveva 3 anni. Salvatore Bagni, 66 anni, il guerriero del Napoli del primo scudetto, ha dovuto affrontare le difficoltà della vita che con lui non è stata tenera: «Dietro il sorriso ci sono anni di angoscia e dolore, quando perdi un figlio sei a un bivio. Ho dovuto darmi forza per sopravvivere». Un’eterna battaglia sui campi di calcio, ma di grande spessore umano fuori dal rettangolo di gioco.
salvatore bagni e il figlio raffaele morto nel 1992
Di umili origini e sempre disponibile a tendere una mano. Come ha fatto con Diego Maradona, nei momenti bui e con gli amici di sempre, quelli della parrocchia di Correggio. E come fa a Napoli, la sua seconda casa, dove è amato come pochi giocatori. Le sue emozioni, proprio di quel primo scudetto a Napoli, le ha raccontate insieme al grande attaccante azzurro Bruno Giordano in un libro dal titolo «Che vi siete persi» che sarà presentato al Lido Varca D’Oro.
Come è nata l’idea di questo volume?
«Mi ha chiamato la casa Editrice per i 35 anni dalla vincita del primo scudetto mi ha detto se ero interessato a scrivere un libro. Io ho pensato di farlo con Bruno che è un mio grande amico ed è stato anche divertente».
Cosa può trovare il lettore di diverso che non è stato già raccontato?
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«Tante cose, tanti aneddoti sia miei che di Giordano. Anche cose di spogliatoio. Tutto quello che è successo: dall’arrivo al Napoli alla partenza. Credo sia un’opera godibile. E sicuramente condita da buonumore che è un aspetto che mi accompagna sempre. Questo è il mio secondo libro: lo dovrei raccontare alla mie professoresse delle medie. Per loro sarebbe una cosa assurda: a scuola non andavo male, di più. Ma a Correggio si andava a lavorare a 14 anni. Io sono stato fortunato ho studiato fino a quando ho potuto, poi a 18 anni ero ancora al settore giovanile del Carpi».
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Come è iniziata la sua carriera da calciatore?
«Devo ringraziare Giorgio Borghieri. Lui mi ha invogliato a giocare. Ho fatto provino con il Carpi in serie D e ho segnato anche un gol alla prima giornata di campionato. A un certo punto ho pensato anche di smettere con il calcio, poi il resto lo conoscete: Perugia, Inter e Napoli, con cui ho costruito i grandi successi, insieme ai miei compagni e il più grande di tutti Diego Armando Maradona».
Il calcio le ha donato tanto, cosa le ha tolto?
«Mi ha cambiato la vita, non solo economica, ma anche nella conoscenza delle persone e anche di mia moglie Letizia. Abbiamo costruito una famiglia che è un esempio per tanti. Abbiamo due figli un maschio di 35 anni Gianluca e una donna, Elisabetta di 41 anni».
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Una tragedia le ha segnato la vita, la morte di suo figlio Raffaele in un incidente stradale.
«Tutta la famiglia era in macchina, andavamo a 40 allora, pianissimo. L’incidente e l’airbag che si è aperto. E una vita spezzata. Solo con la forza di tutti i familiari siamo riusciti a superare questa tragedia. Mi prendo molti meriti anche io. E ovviamente anche mia moglie è stata molto forte, anche se io l’ho convinta a vivere la vita, a dare un cambio di passo. Questo dolore l’abbiamo vissuto in modi diversi. Eravamo ad un bivio e allora ti dici, cosa faccio? Siamo stati più compatti di prima, vicini ai nostri figli che sono stati seguiti da psicologici ma per fortuna non hanno risentito di niente. E poi anche l’episodio macabro: la bara del piccolo trafugata dal cimitero».
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Una vicenda che ha straziato il suo cuore, ma ancora una volta ha saputo rialzarsi.
«La foto della bara lasciata sul parabrezza dell’auto in un giorno di nebbia, sembrò tutto così assurdo. Un mese con i carabinieri in casa, aspettando invano una telefonata. Raffaele c’è ogni giorno, lo sentiamo accanto a noi. Il problema non è quel corpo che non è più al cimitero perché io ho fede. Ma subito ci siamo preoccupati degli altri figli. Pensiamo di aver fatto un bel lavoro con loro. Io ho fatto finta di essere meno piegato dalla vicenda, ma ero quello più sconvolto. E ora con il sorriso positivo affronto la vita. Come dico anche alle mie nipoti: entusiasmo e passione per assaporare gli attimi e affrontare anche i grandi problemi».
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Suo figlio Gianluca è agente internazionale di calcio. È nato a maggio del 1987, proprio nell’anno dello scudetto del Napoli. Ma tifa per l’Inter….
«Non glielo perdonerò mai (ride, ndr). È un bravissimo ragazzo, ha 35 anni ed ormai avviato nella sua carriera. Un giorno lo portai alla Pinetina e c’era Ronaldo il fenomeno. Da allora si è innamorato dei colori nerazzurri».
la dedica di diego maradona a salvatore bagni
L’addio a Napoli è stato traumatico con la famosa rivolta.
«La gente ha capito quello che è successo realmente. Eravamo stati indicati come i capi di quella rivolta. Ma combattemmo una battaglia tutti insieme. Si disse che io avevo un ginocchio fuori uso. In verità avevo solo un’infiammazione. Ma io sono sempre stato diretto e non ho mai nascosto nulla. Le cose andarono così come ho raccontato più volte».
Napoli le è rimasta nel cuore ed è tifoso degli azzurri.
«Si sono un tifoso e lo ammetto senza remore. A Napoli c’è un affetto, un amore che non si può far capire alla gente che viene da fuori. Devo ringraziare sempre i napoletani che mi trattano come se avessi giocato ieri sera. Amo tutte le zone di Napoli: ho abitato a Posillipo in via Petrarca ma mi piace frequentare e stare a contatto con la gente: mi arricchisce ogni conoscenza. Fuori dal campo vado d’accordo con tutti, ma in campo no: ero pessimo e qualche espulsione in carriera l’ho ricevuta».
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Cosa pensa della politica gestionale di De Laurentiis ?
«Il presidente è un amico. Lui è stato chiaro nel voler ridurre e il monte ingaggi. La gente è arrabbiata, secondo me, perché c’è stata ancora una volta la possibilità di vincere e solo per questo sembra un po’ distaccata, ma è naturale che accadano queste cose con un tifo così caldo come quello napoletano. Ma è anche stupido pensare che il presidente non voglia vincere: non esiste questa cosa».
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I nodi per i rinnovi di Mertens e Koulibaly stanno un po’ influendo sul mercato del Napoli. Lei da dirigente cosa farebbe?
«Ibra ha rinnovato adesso a 40 anni e non vuole smettere con cinque anni di più rispetto a Mertens. Sta dimostrando e ha dimostrato di essere giocatore vero. Non penso sia una questione di soldi, si sente ancora calciatore. Interrompere un discorso del genere ci penserei due volte. Lui è giocatore ed ama Napoli come Koulibaly e anche oltre. Io andrei incontro alle sue esigenze».
Con Diego Armando Maradona ha avuto un rapporto speciale.
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«Ho avuto la fortuna più di tutti gli altri e per tutta la sua vita di frequentarlo. Chi lo critica o lo ha criticato per il suo passato non ha capito nulla di Diego. Per tanti anni è stato ospite a casa mia. Un uomo generoso, altruista e umile. L’ho ammirato tantissimo ho lottato con lui per cercare di aiutarlo. Io ho un senso dell’amicizia infinito, la parola amicizia per me è una cosa importantissima tanto è vero che ancora frequento i miei compagni dell’oratorio. In un momento negativo gli abbiamo aperto la porta di casa. Si sentiva a suo agio».
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Eppure qualcuno ha malignato su un rapporto che si sarebbe logorato nel tempo.
«Tutte cavolate. Gli feci prendere un contratto con la Rai per Ballando con le Stelle. Fece solo tre puntate, poi abbandono per fare la Noche Del DieZ In Argentina. La Rai a quel punto non pagò. Qualcuno vicino al suo entourage insinuò che io avessi preso qualcosa dalla Rai ma invece non ci fu nessun pagamento proprio per l’interruzione dell’esibizione di Diego. L’unica persona che ci ha rimesso con Diego invece di guadagnare sono stato io. Da quando avevo 18 anni non ho mai avuto bisogno di nessuno. Ho chiamato il suo avvocato dell’epoca e ho chiarito tutto. Io l’ho trattato da Diego e lui mi rispettava da Salvatore. Sarà sempre nel mio cuore e lo ricorderò sempre con il sorriso e la gioia che sapeva dare a tutti, non solo sul campo di gioco»
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