1 - "LADRI DI DEMOCRAZIA" SALVINI PRONTO A RILANCIARE CON UNA RAFFICA DI QUESITI
Amedeo La Mattina per ''la Stampa''
zingaretti di maio
Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti ora dicono avanti tutta con la nuova legge elettorale proporzionale. Niente maggioritario, nemmeno nella versione più soft del vecchio Mattarellum che aveva il 75% di collegi uninominali. È un modo per neutralizzare Matteo Salvini e la sua ambizione di premiership con «pieni poteri», sostenuta da una maggioranza parlamentare molto vasta. Con il sistema che la Lega voleva introdurre, bocciato dalla Corte Costituzionale, il centrodestra avrebbe infatti potuto ottenere il 66-67% di seggi parlamentari con il 45% di voti.
corte costituzionale 1
Ecco la paura dell' ex ministro dell' Interno, quella di un «complotto» per fermarlo, depotenziarlo. Con il proporzionale il Carroccio, Fratelli d'Italia e Forza Italia dovranno fare una corsa elettorale con liste separate. Dopo il voto dovranno sommare i voti che potrebbero non essere sufficienti a battere gli avversari o comunque per governare con tranquillità.
Non a caso prima della decisione della Consulta e in queste ore tutti gli esponenti leghisti e di Fdi sostengono che in questo modo la Corte avrebbe spianato la strada all'instabilità politica, all'inciucio, al ritorno alla Prima Repubblica. Salvini accusa i «ladri di democrazia ai danni del popolo italiano: è il vecchio sistema che si difende con Pd e 5Stelle attaccati alle poltrone e prova a tornare indietro di trent' anni con leggi proporzionali che aiutano i partitini ma danneggiano il Paese. Occasione persa, ma ci riproviamo fin da domani».
VIGNETTA BENNY - DI MAIO E ZINGARETTI
La Lega rilancia con una raccolta di firme su un ddl costituzionale per il presidenzialismo, ma l' idea è di promuovere tanti altre consultazioni popolari. Le otto Regioni a guida centrodestra, e le altre che verranno conquistate nelle prossime settimane e mesi, verranno chiamate a chiedere altri referendum, come è stato fatto con quello per il maggioritario. Si potrebbe seguire questa strada contro alcune leggi che il governo giallorosso e la sua maggioranza intendono approvare. Una strategia referendaria per mettere il popolo contro «i ladri di democrazia», che però dovrà sempre fare i conti con la Consulta.
il confronto tra stefano bonaccini e lucia borgonzoni a cartabianca
È una mossa per rilanciare ma che nasconde una difficoltà e il timore di trovarsi con le armi spuntate. Soprattutto di trovarsi di fronte ad avversari che serreranno i ranghi con un accordo che guardi al 2023. Salvini si troverebbe a fare una lunga traversata nel deserto anche in caso di sconfitta del candidato Dem Bonaccini in Emilia-Romagna. Sempre che questo accada.
Se invece il 26 gennaio a perdere dovesse essere la leghista Borgonzoni, allora sarebbe un doppio colpo per il capo del Carroccio, il quale potrebbe consolarsi con la più probabile vittoria in Calabria. In quella Regione tuttavia a vincere sarebbe Jole Santelli di Forza Italia. E nelle altre sfide regionali in primavera i candidati potrebbero non essere della Lega: in Puglia sulla rampa di lancia c' è Fitto, candidato di Giorgia Meloni, mentre in Campania sarà Berlusconi a decidere chi sarà a correre per il centrodestra.
SALVINI CON UNA COPIA DI REPUBBLICA CHE TITOLA CANCELLARE SALVINI
Entro gennaio poi verrà al pettine il nodo dell'autorizzazione a procedere chiesto dalla procura di Catania che accusa l'ex ministro dell' Interno di sequestro di persona per aver tenuto circa 120 migranti sulla nave Gregoretti. Superata la diatriba in Giunta, sarà comunque l' aula del Senato a decidere e i numeri della maggioranza sono tutti contro Salvini, che andrà a processo.
Il leghista potrà usare tutto questo nella sua campagna elettorale. Potrà gridare contro il furto di democrazia, andare avanti a colpi di referendum, sostenere che la sua unica colpa è di avere difeso i confini italiani, accusare i suoi avversari di volerlo liquidare per via giudiziaria (incombe pure l' inchiesta sui finanziamenti russi). Ma i suoi avversari proveranno a farlo arrivare alle elezioni politiche con il fiatone e con la proporzionale.
marta cartabia 2
2 - LA CANDIDATA AL QUIRINALE AFFOSSA LA LEGGE CHE PUÒ ROVINARLE I PIANI
Alessandro Rico per ''la Verità''
La Corte costituzionale boccia il referendum elettorale: «Quesito eccessivamente manipolativo». Ci sono volute 9 ore di camera di consiglio perché passasse la linea dettata sabato scorso, sul Corsera, dall'ex giudice della Consulta, Sabino Cassese: la proposta della Lega di eliminare la parte proporzionale del Rosatellum rendeva necessario ridisegnare i collegi uninominali e, a questo scopo, rinviava a una legge di delega al governo, che però era stata pensata per attuare la riforma costituzionale con cui è stato ridotto il numero dei parlamentari.
Mattarella
Insomma, una disposizione ideata per un fine, usata per attuarne un altro: è per tale ragione che Cassese riteneva il referendum inammissibile. Ed è a questo che ha fatto riferimento la Corte, parlando di «eccessiva manipolatività del quesito», tale da rendere «non autoapplicativa» la norma risultante.
Al netto dei giudizi tecnici, è indubbio che, con questa decisione, la Consulta soccorre il governo giallorosso. Il connubio tra taglio delle poltrone e introduzione dei collegi uninominali, infatti, avrebbe reso molto più difficile conquistare un seggio. Pertanto, in caso di accoglimento del referendum, i parlamentari che avessero temuto per la loro rielezione sarebbero stati tentati di accelerare la caduta dell'esecutivo, per tornare alle urne con il vecchio sistema.
marta cartabia 6
Il parere della Corte costituzionale è stato accolto con stizza dal diretto interessato, Roberto Calderoli: «Il quotidiano Repubblica scriveva: "Cancellare Salvini". Con la decisione negativa della Consulta sul referendum possiamo scrivere: "Cancelliamo il popolo"». Adirato Matteo Salvini: «È una vergogna, è il vecchio sistema che si difende: Pd e 5 stelle sono e restano attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: così è il ritorno alla preistoria della peggiore politica italica».
giorgia meloni ospite di fuori dal coro
Anche quest' ultimo, in fondo, era un punto qualificante della tesi di Cassese: far scegliere il sistema di voto agli elettori non è una cosa «saggia», aveva scritto. Certe cose è meglio lasciarle agli esperti. Era impensabile, ha scritto Stefano Folli, che la Corte trasformasse «l'Italia, dall' oggi al domani, in una Gran Bretagna del Mediterraneo». Anche se gli italiani, il maggioritario, lo invocano da un trentennio. Addirittura, l'avvocato delle Regioni che avevano sottoscritto il quesito, Giovanni Guzzetta, ha ventilato il sospetto che la Consulta abbia messo la pietra tombale sui referendum elettorali.
PAOLO GENTILONI
Nessuno stupore da parte di Giorgia Meloni: sentenza prevedibile, a suo avviso, poiché il quesito era sgradito alla sinistra. Lo stop all'iniziativa promossa da Calderoli è un fatto talmente importante per la maggioranza, che persino Paolo Gentiloni non ha resistito alla tentazione di accantonare l'opportuno aplomb istituzionale da commissario Ue. Soltanto perché il referendum è stato «inventato da Salvini», la sua bocciatura è «una buona notizia anche per chi non ama il proporzionale».
Giubilo pure in casa pentastellata. Sulla falsariga del leader azzoppato, Luigi Di Maio («Seguiamo la strada del proporzionale»), il ministro grillino per le Riforme, Federico D'Incà, ha tessutole lodi del Germanicum, in grado di garantire, a suo parere, «un sistema politico più coeso e governi più stabili». O, semplicemente, di blindare un cordone sanitario in chiave anti leghista.
dario franceschini ritiro del pd all'abbazia di contigliano 3
È in questo complesso gioco di equilibri che s'inserisce la decisione dei magistrati della Consulta. Il parere di ieri era il primo grande banco di prova per la neopresidente, Marta Cartabia, che dalle sorti del Conte bis è toccata molto da vicino. Più volte indicata come potenziale premier di un governissimo, la giudice è gradita a Matteo Renzi e soprattutto a Sergio Mattarella. Sarebbe una garanzia di continuità rispetto all' orientamento europeista dell'establishment nostrano, però con una dose di femminismo e un pizzico di populismo (basti pensare alla sua recentissima scelta di «aprire» la Corte al dialogo con le associazioni).
Insomma, la Cartabia (il cui novennio alla Corte scade tra un anno) sarebbe la candidata perfetta per succedere all' attuale capo dello Stato. Ma affinché queste ambizioni siano soddisfatte, è cruciale che la maggioranza giallorossa regga fino al 2022.
E che dunque possa lanciare la sua Opa sul Colle, com' era stato nei piani di Renzi fin da quando, la scorsa estate, spiazzò il segretario dem, Nicola Zingaretti, con la pazza idea del governo insieme ai 5 stelle.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta: Zingaretti ha sposato le idee di Dario Franceschini sull' alleanza permanente con il Movimento. Tant' è che ieri, su Twitter, ha dimenticato la vocazione maggioritaria del suo partito, commentando: «Un altro bluff di Salvini è caduto. Ora avanti per cambiare davvero l' Italia».
carlo calenda direzione del pd 4
Adesso, paradossalmente, è Renzi che sta facendo traballare Giuseppe Conte. Al Bullo non va a genio la soglia di sbarramento del Germanicum al 5%. Però è difficile pensare che pugnali Giuseppi, almeno finché non avrà la certezza di poter sostituire i pentastellati con altrettanti centristi favorevoli alle larghe intese pur di arginare Salvini. Le reclute, in teoria, arriverebbero dalla diaspora di Forza Italia, dal «fronte repubblicano» che spazierebbe da Carlo Calenda a Mara Carfagna. Per ora, le capogruppo di Camera e Senato del partito del Cav, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini, chiedono al centrodestra di presentare una proposta unitaria di legge elettorale.
MARA CARFAGNA PAOLA TAVERNA
Eppure, finanche in caso di ammucchiata, la presidente della Corte costituzionale non sarebbe inidonea all' ascesa al Colle. Sarà per questo miscuglio tra pure questioni giuridiche e prosaiche manovre politiche, che il verdetto sul referendum leghista, inizialmente previsto per il 15, è arrivato con un giorno di ritardo, dopo una lunga camera di consiglio e senza unanimità, sebbene con una maggioranza definita, da fonti Ansa, «solida e ampia». È lecito supporre che, tra le toghe, non tutti fossero bendisposti a respingere il quesito sul maggioritario, servendo un simile assist al governo e alimentando le aspirazioni quirinalizie della Cartabia. Qualche giorno fa, dopo aver illustrato le geometrie sottostanti al battesimo di fuoco del mandato della nuova presidente della Consulta, La Verità si era chiesta se a prevalere sarebbero state le ambizioni personali o la volontà popolare. Ça va sans dire: era una domanda retorica.