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    COME MAI SALVINI E GIORGETTI HANNO PASSATO UN'ESTATE DA GEMELLI DIVERSI? IACOBONI: "DAL GREEN PASS AL CASO DURIGON, DAL DECRETO COVID AL MANIFESTO SOVRANISTA E AL RAPPORTO PERSONALE CON DRAGHI, NON C’È TEMA SU CUI IL MINISTRO NON SI SMARCHI DAL SEGRETARIO" - LA TATTICA È UN PO’ QUELLA DI MARCIARE DIVISI PER COLPIRE UNITI, "MA C’È ANCHE ALTRO", DICE UN LEGHISTA CHE LI CONOSCE BENE: FORSE GIORGETTI NON STA MEDIANDO CON DRAGHI COME DOVREBBE, E ORA...


     
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    Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it

     

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    È vero, Giancarlo Giorgetti anche nell’ultima segreteria della Lega ha voluto che uscisse questa sua frase, «storicamente chi prova a dipingere due Leghe lo fa solo per attaccarci». Però la sensazione di un dualismo sempre più forte tra lui e Salvini è rafforzata dalla sequenza di questi giorni, e queste ore.

     

    Matteo e Giancarlo, Giancarlo e Matteo. Un po’ è un gioco delle parti, che alla fine consente alla Lega di coprire fasce diverse e anche distanti di elettorato. Ma un po’, giura una fonte leghista, no: e le differenze stanno anche nei dettagli. De minimis  fabula narratur.

     

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    Anche oggi, per dire, ci sono due Leghe parallele in viaggio in Umbria: il segretario va ad Assisi dove incontra a colazione il candidato sindaco Marco Cosimetti (e poi aperitivo all'Hotel Porziuncola), il ministro va a Nocera Umbra a incontrare lavoratori, imprenditori e professionisti, con la governatrice della Regione Umbria, Donatella Tesei. Poi però fanno insieme l’incontro con gli industriali umbri. Relativamente poco interessati agli attacchi salviniani alla ministra Lamorgese.

     

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    Giorgetti serve a Salvini, ma è chiaro che ormai ha uno spazio di manovra tutto suo, anche e forse soprattutto nel rapporto con Draghi, oltre che negli indici di gradimento dell’ambasciata americana.

     

    Sul green Pass, Giorgetti è per l’estensione dell’obbligo, Salvini no. E vince Giorgetti. Salvini anche in Umbria la prima cosa che ha detto è stata su Lamorgese, «faccia la ministra dell'Interno se vuole farlo, altrimenti lasci il posto a chi mette la sicurezza degli italiani al primo posto», Giorgetti ha vietato che si chiedano le dimissioni della ministra.

     

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    Tra i salviniani c’è anche chi sospetta che Giorgetti «non stia facendo il lavoro di mediazione con Draghi in cui è abilissimo». In sostanza starebbe lasciando troppo spago a Draghi, e troppo poco alle battaglie identitarie della Lega. Che il Capitano ha riassunto così: «La nostra priorità è rateizzare e rottamare le cartelle Equitalia, non lo ius soli, il ddl Zan o la legge elettorale».

     

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    Ma è un po’ che va avanti così. A luglio, all’indomani della sottoscrizione da parte del Capitano del Manifesto dei sovranisti, assieme a Giorgia Meloni, Marine Le Pen e Viktor Orban, il ministro per lo Sviluppo cominciò manifestando scarso entusiasmo (eufemismo) nei confronti dell’iniziativa salviniana (in realtà era stato mandato avanti Lorenzo Fontana).

     

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    «Dico la verità, non ho fatto a tempo a leggerlo», rispose Giorgetti ai cronisti che lo attendevano a Varese; dove peraltro il ministro si era recato per firmare i referendum sulla giustizia dei radicali.

     

    E poi: Giorgetti e i veneti (si legga: il governatore Luca Zaia) hanno scaricato Claudio Durigon, favorendone l’espulsione dal governo. C’è chi dice, per un puro riallineamento di poteri dentro la Lega, più che per una genuina riscoperta del tema un po’ abborracciato dell’antifascismo militante.

     

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    Oppure il Covid: mentre la Lega presenta emendamenti al decreto all'esame della Camera (emendamenti che poi ritirerà, salvo però votare quelli dell’opposizione di Fratelli d’Italia), il ministro per lo Sviluppo va al Salone del Mobile e dice che «per la ripresa delle attività economiche bisogna garantire condizioni di sicurezza», e che appunto, «il green pass è una misura che va esattamente in questa direzione, quindi ne prevedo un'ulteriore estensione».

     

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    Pochi giorni fa c’è chi ha letto una contromossa salviniana in una cena al Circolo Aniene, dove Salvini è andato ad attovagliarsi udite udite con Malagò (non un amico della Lega), cena propiziata da Francesco Zicchieri, deputato già vicepresidente della Lega a Montecitorio. Malagò è considerato però, più ancora che distante dalla Lega, soprattutto un rivale, nelle politiche sullo sport, di chi? Di Giorgetti.

     

    giancarlo giorgetti e matteo salvini giancarlo giorgetti e matteo salvini

    Giorgetti ormai si defila sempre («questo dovete chiederlo a Matteo» è a questo punto la sua frase cult) quando gli chiedono delle differenze, o di temi che li dividono, o semplicemente del perché Salvini invochi, un giorno sì e l’altro pure, un tavolo con la ministra Luciana Lamorgese su sicurezza e ordine pubblico, e Giorgetti non gli faccia mai sponda. Al punto che invece il refrain di Salvini è diventato: «Di questo parlerò con Draghi». Come se il filtro di Giorgetti non bastasse più per fare gli interessi della Lega salviniana nel governo.

     

    giancarlo giorgetti a cernobbio giancarlo giorgetti a cernobbio

    Persino ieri, quando il segretario ha di nuovo attaccato la ministra Lamorgese, in serata Giorgetti si limitava a dire che «in questi momenti di campagna elettorale c'è sempre qualche gomitata tra i partiti e in un governo così largo che va da destra a sinistra è abbastanza fisiologico e naturale».

     

    Uno accelera, l’altro smussa. Uno va con gli industriali, l’altro con i sovranisti. Matteo col popolo, Giancarlo (che però è figlio di un pescatore) con le élite. Se non fosse (anche) un gioco delle parti, si direbbe che la Lega pragmatica e vogliosa di ripartire dopo il Covid si trattiene a stento dal presentare un conto al Capitano, che ogni tanto insegue elettorati e percorsi periclitanti.

     

    SALVINI E GIORGETTI SALVINI E GIORGETTI

    C’è paradossalmente solo un uomo che li tiene strettissimamente uniti: si chiama Mario Draghi. Matteo che vuole mandarlo al Colle per poi avere mano libera verso il voto, Giancarlo che vorrebbe che restasse a Palazzo Chigi, ma se andasse al Colle «ci vorrebbe dopo una forte legittimazione popolare» per il premier successore, ossia il voto.

     

    Perché questa, come dice Giorgetti, «è una maggioranza chiaramente anomala, non è un’unità nazionale ma è su Draghi, una persona fisica». Draghi che, forse solo, può far marciare divisi ma per colpire uniti persino Matteo e Giancarlo.

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