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    LEGA-TELI! - PER RISPONDERE ALLE BORDATE DI GIORGETTI CHE CONTINUA AD INVITARLO AD ENTRARE NEL PPE, SALVINI SI È AFFRETTATO A UNA VIDEO-CHIAMATA A TRE CON IL PREMIER UNGHERESE ORBAN E QUELLO POLACCO MORAWIECKI - IL SUO OBIETTIVO E' CREARE UN CONTENITORE DELLE DESTRE EUROPEE MA BISOGNA FARLO ENTRO METÀ DICEMBRE SE VUOLE PARTECIPARE ALLA SPARTIZIONE DEGLI INCARICHI A METÀ GENNAIO - VERDERAMI: "GIORGETTI TEME CHE IL CARROCCIO, INCAPACE DI RINNOVARSI, RESTI FUORI DAL RECINTO EUROPEO E DAL MAIN STREAM INTERNAZIONALE. LA SUA PREOCCUPAZIONE NON È FINIRE ALL'OPPOSIZIONE, È L'ESCLUSIONE"


     
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    1 - «NELLA LEGA COMANDO IO». IL PIANO PER ANDARE AL VOTO CHE SPAVENTA LE TRUPPE

    Marco Conti per “il Messaggero”

     

    giancarlo giorgetti e matteo salvini 1 giancarlo giorgetti e matteo salvini 1

    «La linea la do io», sarà l'incipit con il quale Matteo Salvini avvia oggi l'assemblea federale. Ma l'interesse non è sul chi ma sul dove l'attuale segretario intende portare una Lega che in Italia sostiene il governo dell'ex banchiere centrale e a Bruxelles si affanna per costruire un'alleanza con partiti sovranisti che non si sopportano l'uno con l'altro.

    Qualche certezza in più potrebbe arrivare dall'Assemblea programmatica che Salvini intende convocare a Roma per l'11 e il 12 dicembre nel tentativo di ricompattare il partito ed evitare «distinguo e malintesi».

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    LA SFIDA

    Per rispondere alle bordate di Giancarlo Giorgetti che continua ad invitarlo ad entrare nel Ppe, Salvini si è affrettato ieri a mettere in piedi una video-chiamata a tre con il premier ungherese Viktor Orban e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.

     

    Tramontata l'idea di comporre un unico gruppone con i conservatori di Ecr, Salvini lavora per mettere insieme gli ungheresi di Orban con i polacchi di Pis e il Rassemblement national di Marine Le Pen, lasciando fuori i filo-nazisti di Afd. Molti sono però i nodi irrisolti, a cominciare dal rapporto che i quattro hanno con la Russia.

     

    viktor orban viktor orban

    Il tempo però stringe perché a Bruxelles a metà dicembre il gruppo dovrà essere formalizzata se vuole ottenere gli incarichi che vengono spartiti a metà gennaio. Anche se Salvini oggi darà l'operazione per fatta, avendo anche parlato al telefono con Giorgia Meloni che è presidente di Ecr e che patirebbe l'uscita dei polacchi, i problemi sono tutt' altro che risolti e lo schiaffo a Giorgetti rischia di trasformarsi in un boomerang mentre FI - che non si affanna di certo per aiutare l'ingresso della Lega nel Ppe - tira un sospiro di sollievo.

     

    matteo salvini e giancarlo giorgetti 8 matteo salvini e giancarlo giorgetti 8

    Comunque vada la Lega rischia l'emarginazione - come accaduto ad inizio della legislatura Ue - o di ritrovarsi in compagnia di due leader, Orban e Morawiecki, prossimi alle elezioni in patria (in Ungheria il prossimo anno, in Polonia nel 2023) e che già si preparano ad una campagna elettorale tutta contro Bruxelles.

     

    L'assemblea di oggi è destinata comunque a non riservare sorprese per Salvini anche se qualche parola d'ordine, come il no al reddito di cittadinanza, verrà rilanciato mentre è sfumato - per la gioia di Riccardo Magi, deputato di +Europa - il blitz messo a punto con FdI che puntava a rendere inutilizzabili le firme raccolte per i referendum sulla caccia e sulla liberalizzazione della cannabis.

     

    roberto maroni e umberto bossi roberto maroni e umberto bossi

    Mentre non si sa se l'invito al Federale di oggi è stato allargato anche a Umberto Bossi, di sicuro vi parteciperà Giancarlo Giorgetti che, pur non avendo ambizioni di leadership, ha piantato ieri l'altro una serie di paletti sul prosieguo della legislatura e su ciò che dovrebbe fare la Lega, che costringeranno Salvini a venire allo scoperto soprattutto su un passaggio decisivo: come portare Mario Draghi al Quirinale senza interrompere la legislatura.

     

    Sul punto Salvini continua a non offrire garanzie ai suoi interlocutori. Berlusconi, non potrà mai dire pubblicamente che Salvini è «inaffidabile», come invece ha fatto anche ieri Luigi Di Maio, ma con i suoi continua a rimpiangere sia Bossi che Maroni. In attesa di entrare nel vivo della partita del Colle, il Cavaliere è riuscito a tenere compatto il centrodestra avanzando la sua candidatura che per ora serve a tenere Draghi a Palazzo Chigi.

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    Pur guidando la Lega, decidendo all'impronta quando è il giorno della lotta o quello del governo, resta in Salvini la tentazione di cogliere l'occasione del trasloco di Draghi al Quirinale per andare al voto un anno prima, in modo da sbarrare la strada all'ascesa di Giorgia Meloni ed evitare anche il cambio della legge elettorale.

     

    Una voglia che Salvini tiene coperta - che potrebbe saldarsi a quella parte di Pd e M5S che ha fretta di cambiare gruppi parlamentari che non controlla - ma che la Lega del Nord, guidata dai governatori, Fedriga e Zaia, non condividono per le ricadute che l'instabilità avrebbe sui progetti del Pnrr. La blindatura del partito, completata da Salvini con il commissariamento delle federazioni regionali, rende priva di pathos l'assemblea di oggi.

    fedriga fedriga

     

    Non c'è da attendersi una conta interna ma sarà importante vedere sino a quanto Salvini lascerà spingere il processo a Giorgetti che i suoi accusavano ieri di «lavorare contro la Lega con l'obiettivo di prendere il posto di Draghi a palazzo Chigi» facendo riferimento anche al recente viaggio del ministro a Washington. Marco Conti

     

    2 - LA STRATEGIA DEL MINISTRO, CHE INCALZA IL LEADER: È L'UNICA MANIERA PER NON PERDERE LE ELEZIONI

    Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

     

    zaia zaia

    Da grande Giorgetti vorrebbe fare il superconsulente che gira il mondo pagato a peso d'oro. In subordine potrebbe fare il presidente del Consiglio. Nel frattempo però il ministro dello Sviluppo economico ha un problema con l'eterogenesi dei fini, perché bisogna dargli credito quando dice che la sua ultima sortita «non era contro Salvini ma per far ragionare Salvini».

     

    Solo che Salvini - raggiunto da una gragnuola di colpi alla Bud Spencer - non l'ha inteso come l'avvio di una discussione nel partito. A meno di non dar ragione a un autorevole dirigente della Lega, secondo il quale «si è creata un'incomunicabilità con Matteo, che come una rockstar è sempre in tournée».

     

    E siccome Giorgetti ha sempre riconosciuto il ruolo del segretario, ma ha anche promesso di dire sempre come la pensa, è tornato a ripetere la sua tesi. E cioè che «la Lega così non funziona», che «il centrodestra così non funziona», che «di questo passo regaleremo il Paese alla sinistra»: «Non so se Matteo lo capirà - ha spiegato ieri a un interlocutore - ma è l'unico modo per non perdere le prossime elezioni».

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    L'obiettivo non è contrapporsi a Salvini ma indicare un percorso diverso da quello finora battuto, che sta portando a un esaurimento della spinta propulsiva. E questo è un danno per la Lega e la coalizione: «Una volta, quando c'erano delle difficoltà, Berlusconi si prendeva da parte Bossi e le risolveva. Ora dobbiamo risolverle da soli». Ma Giorgetti vede un problema nel problema: «I tempi della transizione politica sono un po' come i tempi della transizione ecologica.

     

    MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI

    Bisogna capire se il tempo necessario a realizzare i cambiamenti sarà compatibile con il tempo che abbiamo a disposizione. Non so se ci riusciremo». I «cambiamenti» di cui parla sono imposti dalla nuova fase che il governo di unità nazionale sta affrontando e che si trasformano in una sfida per i partiti. E allora - a suo giudizio - bisogna comprendere la novità, «per entrare in sintonia con il Paese, per intercettare il voto che si è rifugiato nell'astensionismo».

     

    Il ministro teme che se il Carroccio non fosse capace di rinnovarsi, e rimanesse fuori dal tradizionale recinto europeo e dal main stream internazionale, potrebbe diventare una moneta fuori corso. La sua preoccupazione non è finire all'opposizione, perché la Lega con i suoi amministratori resta sempre un partito di governo.

     

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    Il rischio è l'esclusione: ecco il motivo della battaglia per l'avvicinamento al Ppe. A cui però Salvini già risponde con il progetto di un rassemblement europeo insieme ad Orbán e Morawiecki, che a Giorgetti appare - più che una strada - un vicolo cieco. Il futuro si incaricherà di stabilire chi avrà avuto ragione, mentre nel Carroccio si avvertono forti scricchiolii. Non sono il preludio di una scissione, ma di una sorta di «D-day che arriverà - secondo uno dei maggiorenti leghisti - se i sondaggi calassero sotto il limite di guardia. E a quel punto il primo segnale verrebbe dalla Lombardia».

     

    GIANCARLO GIORGETTI E MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI E MARIO DRAGHI

    Se così stanno le cose, è chiaro perché Giorgetti difende il premier. Ma anche in questo caso la sua presa di posizione potrebbe provocare un'eterogenesi dei fini, mettendo in difficoltà proprio Draghi, con cui vanta un rapporto consolidato. Fu Giorgetti a portare l'allora ministro dell'Interno Maroni a Bankitalia per fargli conoscere Draghi.

     

    Fu Giorgetti a raccontare a Salvini cosa gli avesse detto Draghi poco prima che nascesse il governo giallo-verde. Ed è stato sempre Giorgetti a spingere per l'ingresso della Lega nel gabinetto di Draghi. La tesi sul semipresidenzialismo de facto esposta dal ministro, e che ha scandalizzato (quasi) tutto il Palazzo, nasce dalla sua esperienza politica, dalla conoscenza dei reali rapporti che spesso intercorrono tra il Colle e palazzo Chigi.

     

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    E sono inoltre il frutto di riflessioni sulla crisi del sistema, «dopo che Mani Pulite ha cancellato la Prima Repubblica e i partiti si sono trasformati in comitati elettorali», sempre più poveri di classe dirigente. E adesso «c'è rimasto solo Draghi come riserva della Repubblica». Perciò Giorgetti frigge quando assiste a certe scene nel governo: «Fate, fate. Prima o poi quello s' inc... e se ne va. E ci lascia tutti col sedere per terra».

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