Estratto dell'articolo di Lara Sirignano per www.corriere.it
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L’ultima inchiesta su corruzione e su un presunto patto elettorale politico-mafioso arriva ai vertici della Regione siciliana . I carabinieri del Comando provinciale di Catania hanno notificato la sospensione per un anno dall’esercizio delle funzioni pubbliche al vicepresidente Luca Sammartino , uno degli esponenti di maggior rilievo della Lega in Sicilia, e assessore all’Agricoltura. Ex Pd, ex Udc, ex Italia Viva, recordman di preferenze elettorali, Sammartino è accusato di corruzione.
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L’indagine, coordinata dalla Dda del capoluogo etneo, coinvolge 30 persone. Per undici- politici, funzionari comunali e imprenditori – il gip ha disposto la misura cautelare. Le accuse sono gravi: dal voto di scambio all’estorsione aggravata dal metodo mafioso, dalla corruzione, all’istigazione alla corruzione e alla libertà degli incanti. In carcere è finito anche il sindaco di Tremestieri Etneo Santi Rando, mentre al suo antico rivale, poi alleato, Mario Ronsisvalle, sono stati concessi i domiciliari
[…]
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In una nota, Sammartino ha annunciato le sue dimissioni da assessore e vicepresidente regionale. «Ho scritto al presidente della Regione, Renato Schifani, per rimettere l’incarico di assessore regionale e vicepresidente della Regione dopo essere stato raggiunto da misura cautelare interdittiva in relazione a un’ipotesi di reato lontana nel tempo. Ringrazio il presidente per la fiducia dimostrata nei miei confronti e per il lavoro svolto fin qui». Aggiungendo a sua difesa: «Tengo a sottolineare che non sono coinvolto in ipotesi di reato di mafia né di voto di scambio, sono sereno e certo che emergerà la mia totale estraneità ai fatti, risalenti a cinque anni fa, che con stupore leggo mi vengono contestati […] ».
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Sammartino avrebbe incontrato, nel 2015, esponenti di spicco del clan Santapaola. Lo ricostruisce il collaboratore Silvio Corra le cui dichiarazioni, alcune su fatti appresi direttamente e altri “de relato”, sono ritenute attendibili dalla Procura di Catania. Corra era entrato in Cosa nostra nel 2004 grazie alla sua parentela con il cognato Angelo Santapaola, già responsabile dell’associazione sino al suo assassinio nel settembre 2007. Dopo la sua scarcerazione, nel 2013, era diventato uomo di fiducia del reggente dell’epoca, Francesco “Colluccio” Santapaola, e gestiva la cosiddetta “carta delle estorsioni”. Ha iniziato a collaborare con la giustizia il giorno di Ferragosto del 2020, mentre era libero.
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Nel provvedimento cautelare la Procura ricostruisce un episodio in cui Corra aveva personalmente accompagnato l’esponente di vertice dell’associazione mafiosa, Francesco “Colluccio” Santapaola, a casa di Vito Romeo per riunioni tra loro ed esponenti politici, e in particolare il candidato sindaco di Tremestieri Etneo, Santi Rando, un cognato di Romeo e un’altra persona di cui forniva una descrizione fisica, ma di cui non sapeva altro. Corra aggiungeva che in un paio di occasioni a queste riunioni aveva visto arrivare anche un altro soggetto che, «nell’album fotografico esibitogli, riconosceva nella fotografia raffigurante l’effige di Sammartino, ma di cui non sapeva il nome», ricordando di averlo visto una-due volte. Alla riunione Corra non ha partecipato, ma avrebbe appreso poi da Romeo che avrebbero appoggiato il candidato sindaco.
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Dall’inchiesta è emerso inoltre che lo storico avversario di Rando, Mario Ronsisvalle, titolare di una farmacia a Tremestieri, avrebbe dirottato il suo sostegno politico appoggiando Sammartino alle elezioni al Parlamento Europeo del 2019, dove venne eletta la candidata Caterina Chinnici, ex magistrato e figlia del giudice istruttore ucciso da Cosa nostra, allora appartenente alla compagine politica del vicepresidente della Regione che in quel periodo militava nel Pd, e alle elezioni amministrative del comune di Tremestieri Etneo, dove venne confermato nella carica di sindaco Rando.
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In cambio, secondo i pm, grazie all’intervento del politico (ora) leghista, avrebbe ottenuto una delibera che stabiliva che le farmacie presenti sul territorio comunale dovessero essere sei e non sette, «in contrasto – scrivono i magistrati - con i primari interessi della popolazione del comune ad una maggiore e più equa distribuzione del farmaco».
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