Felice Manti per "il Giornale"
santoro quarta repubblica
A volte ritornano. L' ultima sera in cui Michele Santoro aveva varcato gli studi Mediaset c' era ancora la lira. Ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica, l' ex conduttore di Samarcanda e Moby Dick è sembrato perfettamente a suo agio. Il suo libro sul pentito di mafia Maurizio Avola ha spaccato l' antimafia rossa, i giornali si sono messi a cercarlo, ha dispensato interviste e commenti taglienti sulla giustizia. Santoro è così, prendere o lasciare.
Ricorda quando a 18 anni la sua casa era stata perquisita per alcune soffiate su Piazza Fontana «Avevo 18 anni, vidi la polizia alle 5 del mattino, con i mitra. Mio padre ferroviere, mentre rovesciavano i cassetti di mia madre con dentro le mutande, mi guardava, come a dire cosa hai fatto, poi ha capito».
MICHELE SANTORO - NIENT'ALTRO CHE LA VERITA
Si parla di mafia e di giustizia. La tesi che dietro le stragi di Capaci e Via D' Amelio non ci fossero i servizi segreti, sostenuta da Avola con colpevole (e sospetto) ritardo, non trova aderenze con carte e atti dei tribolati processi sulle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tanto che ancora l' altro giorno a Tommaso Labate del Corriere della Sera Santoro si era arreso all' evidenza: «La mano sul fuoco non la metto per nessuno».
Quale migliore scenario, quello di un giustizialismo alle corde con i suoi esponenti finiti nella polvere, per sparigliare le carte? «Cosa nostra è sparita nel nulla? Noi non sappiamo cos' è diventata, parliamo di quello che era trent' anni fa». Poi difende Avola: «Ha ucciso 80 persone ma non è un mostro - e Porro lo contesta subito - Il bene e il male non sono così separati, sono bivi nei quali ci troviamo». Sulle stragi di Capaci e Via d' Amelio assolve il Cavaliere: «La mafia non ha preso ordini da Berlusconi. La sua statura come politico è fuori discussione, come i suoi giganteschi conflitti d' interessi». Poi si rimangia l' idea che i servizi non c' entrassero nulla. «Non ci sono le prove».
michele santoro
Dopo aver ipotizzato un possibile format Rai-Mediaset come quello con Maurizio Costanzo negli anni '90 su Libero Grassi - suo pallino anche nel libro - scorrono le immagini del linciaggio mediatico contro Falcone. «Pensavo che si fosse fatto strumentalizzare con il Palazzo e da Andreotti, ormai non più organico a Cosa nostra. Ho sbagliato», è la sua scusa. Al direttore del Giornale Sallusti che lo rimprovera di aver già dato credito a pentiti come Massimo Ciancimino Santoro risponde che senza i pentiti non sapremmo niente.
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«Sì, ma di quelli affidabili, ribatte Sallusti». «Ma io non posso verificare, tocca alla magistratura farlo», sibila. «Non ha certo bisogno di dimostrare quanto è autorevole nell' antimafia - dice al Giornale il massmediologo Klaus Davi - Anche se la sua provocazione su Avola può essere discutibile lui l' ha usata per riproporsi nel sistema mediatico e ha vinto anche questa volta.
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Che la sua tesi sia vera o meno è totalmente ininfluente. Con tutto il suo peso ha saputo imporre il suo racconto a un mondo, quello degli antimafiosi, che era diventato asfittico e autoreferenziale, sterile».
E quando Porro lo accusa di aver dato spazio ai grillini, come «quelli che applaudivano i nemici di Falcone» lui si inalbera. «Era l' Italia delle battaglie referendarie, del maggioritario, dell' antimafia come frontiera indispensabile». Non è vero, dice ancora Sallusti, hai creato tu la cultura del sospetto, il giustizialismo, l' odio mediatico. «Mai stati forcaioli», ribatte Santoro. Sallusti e Porro sorridono. Sipario.
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