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    "IL CASO DOPING? QUANTE CATTIVERIE SU DI ME, MI INSULTANO ANCORA. SOLIDARIETÀ A SINNER" – SARA ERRANI, CHE STASERA, DOPO L’ORO OLIMPICO CON JASMINE PAOLINI, GIOCHERÀ LA FINALE DI DOPPIO MISTO AGLI US OPEN CON VAVASSORI, RACCONTA LA VICENDA CHE LE COSTO’ UNA CONDANNA PER COLPA DI UN FARMACO USATO DALLA MAMMA -  “MI CONTESTANO ANCHE IL SERVIZIO CON LA BATTUTA DA SOTTO. NON MI IMPORTA PIÙ NIENTE DI QUELLO CHE PENSA LA GENTE. SONO FELICE DI NON PENSARCI PIÙ” - VIDEO


     
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    Paolo Rossi per “la Repubblica” - Estratti

    sara errani andrea vavassori sara errani andrea vavassori

     

    Undici finali Slam, buttale via. Sara Errani, la “piccolina” dello storico gruppo azzurro della Fed Cup (Pennetta, Schiavone, Vinci), ha fatto tanta strada. Di lei si è parlato sempre un po’ di meno di quel che meritasse, eppure nel 2012 è stata finalista al Roland Garros, poi finalista a Roma, numero cinque del mondo in singolo e numero uno del mondo in doppio, con annesso Career Grand Slam(vincitrice di tutti gli Slam in doppio con Roberta Vinci).

     

    Quest’anno la ciliegina sulla torta dell’oro olimpico a Parigi con Jasmine Paolini e ora quest’altra storica prima volta, la finale Slam nel doppio misto agli Us Open con Andrea Vavassori: all’Italia mancava. In realtà si è parlato di lei di più per il caso doping in cui restò impigliata, colpa di un farmaco usato dalla mamma.

     

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    Accadeva sei anni fa: condannata, Sara urlò (sottovoce, a modo suo) di essere vittima di un’ingiustizia.Trentenne, si immaginò alla fine della carriera. Invece oggi può togliersi qualche sassolino e permettersi di esprimere solidarietà verso Sinner e il suo caso del Clostebol.

    «Non ho dubbi su di lui, sono felice che per Jannik tutto il processo abbia funzionato nel migliore dei modi».

     

    Sara, che anno pazzesco per lei.

    «Lo vivo in maniera meravigliosa. Una stagione incredibile: giocare con Jasmine (Paolini, ndr ),i miglioramenti…. abbiamo trovato i nostri meccanismi».

     

    (…)

    Ma come ha fatto? Passare da una finale Slam contro Sharapova ai tornei minori?

    «Accettandolo. Sapendo che i tempi sono cambiati. Ma quello che io cercavo era ritrovare buone sensazioni col tennis, riscoprire emozioni, viverle. Sinceramente non mi aspettavo di viverle così forti, però dentro di me in fondo ci speravo. Non a questi livelli, però si va in campo per sentire sulla pelle le emozioni».

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    Ne è valsa la pena, e ha fatto trionfare quel suo tennis antico: smorzate, controtempi e pallonetti.

    «Ognuno ha le sue caratteristiche, il tennis di questi tempi ormai è sempre più uno sport di potenza e tutti tirano più forte che possono,purtroppo. La gente non va mai a rete, non ha il tempo di scendere, i punti sono sempre velocissimi. Ma io ho il mio modo. So di non poter usare l’arma della potenza, quindi devo compensare con altro».

     

    E come ci riesce?

    «Io il tennis lo vivo, lo gioco con intelligenza tattica, come se fosse una partita a scacchi, non come tirare pallate. Questo è il mio modo di vedere il nostro sport. Che va in un’altra direzione. Chissà se un giorno tornerà a essere come era prima. Magari».

     

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    E finalmente si è tolta qualche sassolino.

    «Rivincite? Non lo penso. La cosa bella è che mi sto godendo tutto per me stessa. Questo è quello che più mi rende felice: non mi importa più. Ho sofferto tanto per tante cose, e le ho accusate. Ma ora la cattiveria nei miei confronti mi scivola addosso, sono cresciuta sotto quell’aspetto, ho imparato da quello che ho vissuto, sono felice di vivere e godermi le gioie per me stessa, senza rabbia repressa».

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    Complimenti.

    «Ricevo ancora tanti messaggi sgradevoli, ma non mi toccano. Non capisco quelli che si arrabbiano, che contestano».

    La insultano?

    «Sì, per dire, anche perché ho fatto un servizio battendo da sotto. Ma io stavo solo cercavo di trovare un mio modo, superare le difficoltà per sconfiggere i miei fantasmi. Ripeto, in qualche modo ci sono riuscita e non mi importa più niente di quello che pensa la gente. Sono felice di non pensarcipiù».

     

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