jerome adams
«Sarà una nuova Pearl Harbor, un nuovo 11 settembre». Non usa giri di parole il capo della sanità pubblica americana Jerome Adams che, nel weekend più nero da quando in America è esplosa la pandemia, conferma che la settimana in arrivo sarà la più dura, la più triste. Sette giorni, forse più, in cui gli americani assisteranno ad una drammatica escalation dei contagi e delle vittime da coronavirus.
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Un'accelerazione che di fatto è già cominciata, con oltre 3.000 morti tra venerdì e domenica (che portano il bilancio complessivo a oltre 9.000) e almeno 322.000 casi accertati di pazienti positivi: più del doppio di Spagna e Italia, quattro volte la Cina. Che la situazione sia tutt'altro che sotto controllo ormai non lo nega nemmeno Donald Trump che, alla vigilia della domenica delle Palme, ha detto alla nazione di aspettarsi «molte vittime» nelle prossime settimane e di preparasi a una Pasqua in casa: «Io vedrò la messa dal mio laptop», ha detto.
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«Stiamo lottando per tenere a freno i contagi, ma dire che la situazione è sotto controllo sarebbe dire il falso», ha ammesso Anthony Fauci, il superesperto della task force anticoronavirus della Casa Bianca troppe volte rimasto inascoltato da parte del tycoon. Solo dopo la prossima settimana o forse un pò di più, ha spiegato il virologo, la curva dei contagi potrebbe «appiattirsi», raggiungere il picco, ma non ancora piegarsi. A preoccupare c'è sempre New York, che registra circa la metà dei casi e dei morti dell'intero Paese e dove Trump, raccogliendo in parte l'appello del sindaco Bill de Blasio, ha deciso di schierare l'esercito.
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Son oltre mille i soldati inviati dal Pentagono, personale militare anche specializzato che verrà impiegato lì dove nella Grande Mela c'è più bisogno, dagli ospedali ai servizi sociali per aiutare la popolazione più debole e in difficoltà. Ma nelle ultime ore sale il timore per quello che sta accadendo in molte aree del Paese, con lo svilupparsi di nuovi violenti focolai, anche nel District of Columbia dove si trova la capitale federale Washington.
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E poi la Pennsylvania il Colorado, tutte situazioni esplosive che vanno ad aggiungersi agli 'hot spot' già consolidati di New Orleans, di Chicago, di Detroit e di tutta la California, da Los Angeles a San Francisco. Nonostante ciò, in America non esiste un vero e proprio lockdown, con il modello Italia e Spagna finora mai preso in considerazione. E con l'ordine di stare a casa limitato a una parte del Paese e che varia da Stato a Stato, con una risposta a macchia di leopardo criticata da medici e scienziati. Sulle origini della pandemia in Usa, poi, si addensano le ombre di una situazione mal gestita fin dall'inizio, nonostante l'immediato blocco dei voli dalla Cina più volte evocato dal presidente americano.
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Da quando l'emergenza coronavirus è esplosa almeno 430.000 persone sarebbero giunte negli Usa su voli diretti dalla Cina, 40.000 negli ultimi 2 mesi, dopo che Washington ha varato la stretta sui viaggi.
Lo riporta il New York Times, secondo cui i passeggeri sono di nazionalità diverse e sbarcati a Los Angeles, San Francisco, New York, Newark Chicago, Seattle e Detroit. In migliaia sono arrivati da Wuhan e molti voli sono continuati fino alla scorsa settimana da Pechino a Los Angeles, San Francisco e New York, con passeggeri esenti dal divieto di ingresso negli Usa.
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«Vediamo la luce in fondo al tunnel», ha aggiunto Trump, nonostante gli otre 335.000 casi e i 9.500 morti in Usa siano bilanci destinati paurosamente a salire nei prossimi giorni, come oramai la stessa amministrazione americana ammette. «Se tutto va bene - ha però aggiunto il presidente Usa - in un futuro non troppo distante saremo orgogliosi del lavoro che noi tutti abbiamo fatto».
Donald Trump, nonostante lo scetticismo degli esperti, insiste sull'uso di alcuni farmaci antimalaria come la clorochina per curare il coronavirus, anche se non ci sono prove che funzioni. «Non abbiamo nulla da perdere e non abbiamo tempo da perdere, la gente muore, non abbiamo tempo per sperimentare», afferma il presidente americano.
anthony fauci
Da "Adnkronos"
L'uscita dall'emergenza, secondo Fauci, si vedrà quando assisteremo a «un ribaltamento drastico delle cifre e il numero dei contagi si avvicinerà allo zero. Dobbiamo però pensare a lungo termine. Il pianeta è grande e se controlleremo il virus qui, ma non in altri Paesi, quando abrogheremo le misure restrittive il rischio di una ripresa della pandemia sarà concreto. Per fortuna tra un anno o poco più avremo un vaccino valido». Ora «la questione momento è cruciale» e anche se «tra pochi mesi l'epidemia sarà sotto controllo, la minaccia del virus non sparirà».
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Rispetto alle sue giornate, Fauci dichiara che «siamo in guerra. Penso che generali e leader in combattimento si sentano così. Ci sono molte cose da fare e ogni cosa è una goccia nel mare». E ammetta che il ritardo dei tamponi «è stato un problema enorme. Non eravamo pronti perché il nostro sistema non è costruito per emergenze del genere».
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E ora lo scenario che teme di più è «la carenza di medicine e quella di rifornimenti alimentari, l'interruzione della catena di distribuzione. Se interrompiamo tutto in modo drastico, l'impatto sulla società potrebbe essere catastrofico. Certo faremmo un considerevole passo avanti per contenere il virus, forse due, ma dobbiamo tenere conto delle ripercussioni».
Per quanto riguarda l'ipotesi di applicare una quarantena totale, Fauci afferma che «se la gente rispetterà le modalità di isolamento sociale otterremo un lockdown funzionale senza dover ricorrere a provvedimenti drastici come quelli adottati in Cina».
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Dice di sentirsi «un generale» Antony Fauci, lo scienziato italoamericano che dagli anni Ottanta guida l'Istituto nazionale di malattie infettive negli Stati Uniti e che ogni giorno in diretta tv aggiorna gli americani sulla diffusione del coronavirus. «Una catastrofe di dimensioni globali», ha definito la pandemia in corso durante un'intervista al New York Times, rispetto alla quale «avremmo potuto agire molto meglio. Ma i virus agiscono silenziosi.
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Oggi facciamo i conti con un virus in America da molto tempo». Rispetto all'approccio adottato da Donald Trump nell'emergenza, Fauci afferma che «il presidente ha uno stile tutto suo, lo sanno tutti. Quando gli parlo di questioni concrete, ascolta. Penso che abbia sempre capito la gravità della situazione», ma allo stesso tempo «non posso intervenire sullo stile comunicativo del presidente».
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