Estratto dell'articolo di Alberto Mattioli per la Stampa
vittorio grigolo
Che Vittorio Grigolo fosse il tenore più tenore che ci sia, l’archetipo, l’idea aristotelica del tenore, il tenore al quadrato, lo si sapeva. Il recital di domenica alla Scala l’ha confermato. Istrione, piacione, esibizionista, estroverso, esuberante, per lui si potrebbe dare fondo al dizionario dei sinonimi. Veniva in mente il tenore Lagardy descritto da Flaubert mentre canta «Lucie de Lammermoor» al teatro di Rouen davanti a Emma Bovary affascinata: «il y avait du coiffeur et du toréador».
Il programma, per cominciare. Macché Lieder o romanze da camera: arie d’opera, e solo arie. E che opere: tutta italiana la prima parte (infatti «La favorite» era in traduzione, poi «Il corsaro», «Luisa Miller», «Ballo in maschera» e «Trovatore»), tutta francese la seconda («Faust», «Manon» – entrambe le arie – «Carmen», «Werther»).
vittorio grigolo
Come fuori programma, due cambi d’abito come le primedonne, prima frac e poi smoking con camicia nera, gag continue, spostamenti di leggio da una parte all’altra del palcoscenico senza ragioni apparenti, curiose sparizioni in quinta fra un cantabile e una cabaletta, overacting continuo, recitativi cantati a una signora in palco di proscenio, botta e risposta con un’altra signora che lo aveva invitato ad andare a studiare, balletti, perfino un pensiero per la mamma che attende ansiosa notizie della serata alla Scala «con il rosario in mano», altro che Don Josè, signora mia.
vittorio grigolo
La stranezza più strana è l’attrazione per la cassa del pianoforte, contro la quale un paio di volte Grigolo si è rannicchiato come se volesse entrarci: un’attrazione fetale. E poi naturalmente battute e fervorini per il pubblico, con l’invito anche a cantare in coro «Non ti scordar di me», unico bis, accolto da un tenore anonimo da un palco: insomma, più che un recital di canto alla Scala, un happening.
È però un peccato che lo showman prevalga sul tenore perché Grigolo avrebbe davvero tutto: una bellissima voce calda e piena da vero tenore italiano, per cominciare, volume, acuti facili e timbrati, bell’aspetto, e perfino un certo talentaccio interpretativo un po’ brado ma insomma non refrigerante come per molti suoi colleghi attuali. E non manca nemmeno di finezze, quando vuole. Tenta perfino i trilli in «Ah sì ben mio coll’essere», e il primo gli riesce pure. Sarebbe anche un vero musicista. Il problema è che spesso se ne scorda, fra attacchi fantasisti e pause prolungate oltre ogni umana idea, mentre esplora le corde del pianoforte (e tutti: che succede? Avrà perso qualcosa? Si sarà dimenticato le parole?).
grigolo
Dà l’impressione di un canto casuale, dove ci sono parlati, effetti da crooner, improvvise alternanze di piano e di forte e qualche frase davvero bellissima frullati insieme senza ragione, come se decidesse lì per lì, in corso d’opera, cosa fare. Il risultato è che si ascoltano diverse cose belle, alcune meno belle (per esempio, la romanza della “Miller”) ma non c’è un solo brano convincente e rifinito dall’inizio alla fine. In compenso ci si diverte per due ore, perché nel suo strabordare Grigolo è di un candore tale che non si può fare a meno di trovarlo simpatico, il teatro è più affollato di quanto non succeda di solito alle Liederabend e gli applausi fioccano, mentre lui ringrazia grigoleggiando nei due modi abituali: o con il gesto di strapparsi il core e buttarlo al pubblico o inginocchiandosi sul sacro palco tipo, appunto, Des Grieux a Saint Sulplice. Fino alla fine, insomma, la parola d’ordine è: sobrietà. Che spreco, però. Con un po’ più di autodisciplina, Grigolo avrebbe davvero potuto diventare un tenore storico, invece che restare un tenore di successo. Detto questo, avercene.
VITTORIO GRIGOLO
(...)
vittorio grigolo a riveder le stelle grigolo
VITTORIO GRIGOLO VITTORIO GRIGOLO VITTORIO GRIGOLO vittorio grigolo VITTORIO GRIGOLO VITTORIO GRIGOLO VITTORIO GRIGOLO