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    SCALERA, GIU’ DALLE SCALE! L’EX NUMERO DUE DEL GABINETTO DEL MEF CHIAMATO DAI FRIEDKIN A GESTIRE LE RELAZIONI ISTITUZIONALI (E LA QUESTIONE STADIO), È STATO CACCIATO DALLA ROMA. ORA CHE ALLA PROPRIETÀ AMERICANA IL NUOVO IMPIANTO INTERESSA MOLTO MENO, SCALERA È DIVENTATO SOLO UN COSTO DA ABBATTERE – DOTTO PUNGE ABRAHAM E ZANIOLO: “MANCANO DI QUELLA LUCIDITÀ CRIMINALE CHE FA LA DIFFERENZA TRA UN BUON CALCIATORE E UNO GRANDISSIMO”


     
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    STEFANO SCALERA STEFANO SCALERA

    Arriva il primo esonero nella As Roma. Stefano Scalera, l’ex numero due del gabinetto del Mef chiamato dai Friedkin a gestire le relazioni istituzionali, è stato cacciato dalla società di calcio. Scalera era arrivato dal Tesoro soprattutto per tessere le fila delle relazioni con i palazzi romani in vista del nuovo progetto per lo Stadio della Roma, ma a quanto pare alla proprietà americana adesso lo stadio interessa molto meno e Scalera è diventato solo un costo che è meglio abbattere.

     

     

     

     

    JOSE’ DENTRO LA NEBBIA

    Giancarlo Dotto per il "Corriere dello Sport"

     

    ryan e dan friedkin ryan e dan friedkin

    Solo pessime notizie. E il sospetto che torna a galla più acido che mai di una squadra largamente imperfetta, satura di talenti intermittenti, quasi mai decisivi quando la posta si fa bollente. Sconfitta tremenda. Peggiore del Bodo, peggiore del Verona o del Venezia. Intanto perché ennesima e poi perché arriva tra il capo e il collo tenerissimi di una buona inerzia, a smentire brutalmente l’idea, chiamatela da oggi illusione, dell’aver trovato anche tatticamente il bandolo per un avvenire di stagione meno balbuziente. Se davvero hai ambizioni forti non puoi lasciare tre punti a questo Bologna. Punto. Il resto è nebbia oltre che noia. Il resto è dicembre.

     

    Troppo avanti per tornare a immaginare cose belle e buone. Inutile prendersela anche con il disperatamente mediocre Pairetto (ecco un nome che, da padre a figlio, suona male), capace d’inventarsi il giallo ad Abraham per uno scontro involontario e di non darne un secondo solare a Soriano per un intervento da dietro. 

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      Ecco l’altra orrenda notizia. Cancellato l’inglese dal match fondamentale di sabato e fuori lo stesso Karsdorp, finito in una mischia di frustrazione. Malessere che parte da lontano, dal gol di Svanberg, arrivato come un cigno nero in una partita completamente sotto controllo, demoralizzante come pochi, per quanto in cuor tuo sai che sta nell’ordine del ci provi cento volte riesci una. Frustrazione che si allunga sulle occasioni mancate, grazie anche a un portiere, ex di solida memoria, appena sufficiente per 36 partite, gigantesco nelle altre due. A continuare con i danni muscolari. L’ultimo di El Shaarawy, quello più on fire dei giallorossi, fuori anche lui per l’Inter. L’altra pessima notizia. Aggiungi l’assenza conclamata di Pellegrini e, da qui a sabato, avrai solo incubi. 

     

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    Detto questo, tutto questo, riconosciuta e apprezzata una volta di più la disposizione alla lotta della squadra, resta l’evidenza di un insieme forse sfortunato, certamente tartassato da grotteschi omini fischianti ma, altrettanto certamente, difettoso di suo all’origine. Che, per la quarta volta su quattro, perde quando va sotto nel primo tempo. A Bologna è mancata la personalità, sono mancate le iniziative, gli estri e gli strappi capaci di atterrare avversari mediocri ma solidi e destini contrari. Abraham e Zaniolo hanno cuore e colpi ma sono mancati anche ieri di quella lucidità criminale che fa la differenza tra un buon calciatore e uno grandissimo. Il primo nel rapporto tortuoso con lo specchio in quanto porta. Il secondo nelle scelte, spesso dettate da un superomismo “risolvo io, solo contro tutti”.  

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    L ’ex Chelsea in particolare si agita troppo, disperde il talento nel disordine e nella scompostezza, che è prima nella testa (eccesso di emotività?) e poi nei movimenti. Anche ieri, occasioni e assist sprecati. Se aggiungi al Tammy che non conclude e al Nico che non sprigiona un Miki che non inventa, Stephan fuori, quel Perez dentro ma come fosse fuori, siamo all’apoteosi del vorrei ma non posso. 

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    Alla vigilia del match da emicrania con Inter e a due turni da quello da mal di denti con l’Atalanta, è dura pensare positivo. 

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